Don Luca Favarin, chi è il prete ribelle sospeso a divinis: le battaglie per i migranti, i ristoranti e le coop
dal Corriere della Sera
CURIA
Don Luca Favarin,
chi è il prete ribelle sospeso a divinis:
le battaglie per i migranti, i ristoranti e le coop
Padova, l’annuncio su Facebook: «Tutto questo senza che una volta, una sola volta in 20 anni, l’istituzione ecclesiastica sia venuta in comunità»
di Pierfrancesco Carcassi
La Chiesa padovana ha sospeso don Luca Favarin, il prete in guerra con la Diocesi per la gestione delle sue attività di accoglienza dei migranti. Lo ha comunicato lui stesso sulla propria pagina Facebook: «Da oggi… sospeso a divinis ai sensi del can. 1333.1 del diritto canonico… Sic transit gloria mundi… ma resta e resterà sempre la felicità e la forza di una vita che ci coinvolge per servire e amare con serenità e un cuore abitato dalla gioia…», ha scritto Favarin che nello stesso post restituisce una stoccata neanche troppo velata: «Umiliazione? Frustrazione? Io oggi mi sento come Mosè che, spalle a un luogo diventato ormai di potere e oppressione, guarda in avanti alla ricerca di una terra promessa…». Da ora perde ufficialmente le sue funzioni di prete e non potrà celebrare la messa.
Le tensioni
Le tensioni tra Favarin e la Diocesi non sono un fulmine a ciel sereno. Negli ultimi giorni si erano acuite, come riportavano i resoconti che il sacerdote affidava ai social. Il casus belli è la gestione dell’accoglienza dei migranti messa in piedi da Favarin: tra le sue attività a Padova si contano, oltre al villaggio Kidane, in cui accolgono i migranti, anche il bar Versi ribelli che si trova vicino al cinema Astra, la Caffetteria al Museo Eremitani e il Ristorante etico Strada Facendo. Una rete in cui la Chiesa padovana vedeva un indirizzo troppo «lucrativo». «Pur riconoscendo lo spirito umanitario e solidale che anima l’operato di don Luca Favarin, da parte sua non si è trovata condivisione di metodo – comunicava una nota – la Diocesi pertanto non può essere coinvolta nelle sue attività, che vengono ad assumere carattere imprenditoriale». Dopo l’ultimo incontro, che sarebbe dovuto essere di chiarimento, Favarin parlava di «uno stop definitivo senza appello» che sembrava nell’aria. E che alla fine si è verificato. «Se per gestire le emergenze con questi metodi dovrò rinunciare all’abito, lo farò», aveva detto lui qualche giorno fa.
«Mai venuti a vedere in 20 anni»
Nel messaggio con cui ha annunciato la sospensione, Favarin ha lamentato una mancanza di interessamento da parte dei suoi superiori. «Tutto questo senza che una volta, una sola volta in 20 anni, l’istituzione ecclesiastica sia venuta in comunità, mi siano state chieste le ragioni, abbiano ascoltato le radici cristiane, ecclesiali e comunitarie con cui facciamo le cose.. senza guardare ma solo vedendo dalla finestra del palazzo. Si accoglie questo in silenzio e senza rabbia alcuna».
I numeri
Negli ultimi giorni sono emersi numeri importanti sulla cooperativa che fa capo a don Luca nelle vesti di presidente. Il valore della produzione registrati in bilancio è passato da 1,7 milioni nel 2019 a quasi 1,5 milioni nel 2020 per precipitare a 515 mila euro nel 2021. Nonostante questo crollo, però, l’utile è salito dai 65 mila del 2020 ai 306 mila dello scorso anno. Tra l’altro il brusco calo di fatturato appare come solo un effetto contabile, da attribuire a una cessione di ramo d’azienda dalla coop madre, Percorso Vita, alla neocostituita (a fine 2020) Percorso Altro. Oggi don Luca è impegnato in tre realtà societarie: oltre alle prime due, la Percorso terra che si occupa di agricoltura. Tra le sue attività si contano, oltre al villaggio Kidane, in cui accolgono i migranti, anche il bar Versi ribelli che si trova vicino al cinema Astra, la Caffetteria al Museo Eremitani e il Ristorante etico Strada Facendo.
Decreto della Curia di Padova
In merito a don Luca Favarin
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da wwww.repubblica.it
Padova, don Luca Favarin:
“Tolgo gli ultimi dalla strada
ma la diocesi caccia me e salva i preti
che sniffano e vanno a prostitute”
di Enrico Ferro
Intervista al sacerdote sospeso “a divinis”: “Il vescovo voleva mettere le mani nei nostri bilanci che sono trasparenti. Ed è a disagio quando parlo dei diritti Lgbt e del fine vita”
18 Dicembre 2022
Padova – Dopo più di 20 anni nell’accoglienza dei migranti, don Luca Favarin, il prete degli ultimi, capelli lunghi e sciarpa arcobaleno sempre al collo, è stato sospeso “a divinis” dalla Diocesi di Padova. Significa che non potrà più celebrare messa, battezzare, confessare, sposare. Lui se ne va sbattendo la porta, dopo un confronto duro con il vescovo Claudio Cipolla, che non condivide la modalità di quel sistema di accoglienza. Don Favarin ha aperto bar, tavole calde, mense, ristoranti, addirittura un villaggio per minori non accompagnati. Le sue idee hanno incontrato il favore dell’imprenditoria progressista padovana e questo ha generato, negli anni, una realtà che si sostiene e funziona. Una realtà che produce utili. Ma la Diocesi padovana non transige: “Non possiamo essere coinvolti nelle sue attività a carattere imprenditoriale”. E quindi addio, ognuno per la propria strada.
Luca Favarin, qual è il motivo di questa frattura con la Diocesi di Padova?
“La Chiesa mi contesta sul piano metodologico: è il modo in cui si lavora con i poveri che non va. Noi pensiamo che i poveri non siano sono solo destinatari di attenzione e carità, ma sono anche artefici di qualità, con percorsi di autonomia. Per noi i migranti devono essere protagonisti dell’accoglienza”.
Ed è così diversa dall’accoglienza organizzata dalla Diocesi?
“Noi non possiamo aspettare l’elemosina della gente. La nostra attività deve essere solida, solo così si sostiene. Con cosa pago gli operatori? Con le Ave o Maria? Con cosa do da mangiare ai ragazzi? I nostri dipendenti sono tutti pagati con contratti nazionali, è tutto trasparente. È un’attività imprenditoriale? Sì, è un’attività imprenditoriale. Non è la sacrestia, ma credo sia comunque il cortile della chiesa”.
Generalmente la Chiesa tende a inglobare attività come la sua. Come mai stavolta è successo il contrario?
“Non c’è mai stato un confronto sul merito ma solo sulla parte economica. Loro volevano mettere mano sui nostri bilanci che sono trasparenti: li abbiamo affidati a Confcooperative proprio per non avere problemi con la gestione del denaro”.
Quante cooperative avete e con quale volume d’affari?
“Abbiamo Percorso Vita, Percorso Altro e Percorso Terra: il volume d’affari è di circa 1 milione e 700 mila euro l’anno. I soldi vengono reinvestiti nell’attività: non ci sono consulenti da pagare o gettoni di presenza, e nemmeno compensi per consiglieri del cda”.
Chi la paga?
“Ogni Comune che affida a noi un minore paga una retta. Ogni anno togliamo dalla strada 160 ragazzi. Arrivano che sono criminali, analfabeti, abusati. Noi lavoriamo con l’inserimento scolastico e poi lavorativo. Abbiamo aziende amiche che li assumono, che li testano. Alla fine del percorso vengono inseriti in società con un loro lavoro e una casa”.
Non pensa che la Diocesi sia a disagio per il fatto che lei lavora con imprenditori di sinistra?
“Certo, lavoro con imprenditori di sinistra e questo li mette a disagio. Come li mette a disagio quando parlo dei diritti della comunità Lgbt o del fine vita. Ma come posso essere testimone dell’inclusione e poi avere atteggiamenti escludenti?”.
Ha mai avuto modo di far vedere ai responsabili della Diocesi come lavorate?
“Il vescovo Claudio Cipolla non è mai venuto qua a vedere i minori che noi togliamo dalla strada. Non si è mai sporcato le scarpe. Abbiamo professionisti che lavorano giorno e notte: psicologi, educatori, perfino criminologi”.
Come mai ha deciso di fare il primo passo per l’uscita dallo stato clericale?
“Ormai mi avevano estromesso da tutto: dicevo solo una messa a settimana, la domenica. Altri preti sniffavano e andavano a puttane, e nei loro confronti hanno avuto molto più riguardo. Io faccio accoglienza e per questo sono stato allontanato. Mi sono stancato di sopportare.”.
Secondo lei papa Francesco è d’accordo con la linea intransigente della Diocesi di Padova?
“Mi dicono di andare a parlare con il Papa ma io non lo farò mai. Sono un pacifista. Non faccio la guerra, nemmeno al vescovo che mi vuole cacciare”.
Consentitemi un commento frivolo.
Ho seguito poco la vicenda, ho letto gli articoli riportati qui ma conosco poco i personaggi (il don e il vescovo) quindi fatico a farmi un’idea precisa.
Però mi sembra ci siano i soliti elementi cardine per la chiesa: il potere o controllo e i soldi.
Adoro quando un vescovo per giustificare il suo operato snocciola gli articoli del diritto canonico. Mi ricorda l’azzeccagarbugli, una figura comica.
Uscendo dell’ironia qui siamo davanti ad un prete che fa del bene concretamente. Certamente spingendosi oltre quello che la Chiesa ritiene lecito. Ma un buon vescovo, a mio avviso, dovrebbe far di tutto per dialogare con lui e se necessario coprirlo e limare certi eccessi. Invece i vescovi son diventati funzionari che vigilano sull’applicazione del diritto canonico e uniformano la carità delegandola a cooperative sociali. Insomma hanno interessi pure sulla carità.