“Vieni Donald, ci sono tanti soldi da fare in Russia”. La vera arma segreta di Putin

da www.huffingtonpost.it/
19 Febbraio 2025

“Vieni Donald,

ci sono tanti soldi da fare in Russia”.

La vera arma segreta di Putin

di Gianni Del Vecchio
Mosca mette sul tavolo un business da 324 miliardi per le imprese americane se si arriva alla pace in Ucraina, si cancellano le sanzioni e si ritorna a fare affari. Musica per le orecchie di Trump, che in risposta umilia Zelensky, “un dittatore senza consenso, un comico mediocre che ha mandato a morire milioni di persone inutilmente”.
La scena è di quelle che un giornalista sogna per tutta la vita. La racconta il reporter del New York Times, Anton Troianovski, inviato a Riad, in Arabia Saudita.
È appena terminato uno degli incontri più importanti degli ultimi anni, molto probabilmente destinato a entrare nei libri di storia. Si sono parlati dopo tre anni di silenzio Usa e Russia, è il primo contatto ad alti livelli dallo scoppio della guerra in Ucraina, un momento propedeutico al meeting diretto fra i due presidenti, Donald Trump e Vladimir Putin. Come succede in questi casi, si sono succeduti diversi tavoli, con delegazioni a geometria variabile. In uno di questi non s’è parlato di pace in Ucraina ma di affari. Dal lato americano c’erano Marco Rubio, segretario di Stato, Mike Waltz, consigliere per la Sicurezza nazionale e Steve Witkoff, inviato per il Medio Oriente; dal lato russo Yuri Ushakov, consigliere per la politica estera e soprattutto Kirill Dmitriev, oligarca e capo del fondo sovrano russo,il salvadanaio personale di Putin.
Ebbene, Dmitriev – che parla fluentemente inglese visto che ha studiato ad Harvard e Stanford negli anni 90 ma soprattutto ha lavorato per le società di consulenza Goldman Sachs e McKinsey – avvicina il cronista del Nyt e gli mostra un foglio con una tabella. Il titolo della tabella è eloquente: “Perdite di aziende statunitensi per settore”. All’ultima riga c’è il totale: 324 miliardi di dollari. In particolare, il settore “IT e media” ha perso 123 miliardi di dollari, il settore “Consumer e Healthcare” 94 miliardi e il settore “Finance” 71 miliardi. Dmitriev poi gli spiega come si arriva a questa cifra così alta: in pratica ha stimato quanto le aziende americane hanno perso lasciando il mercato russo mettendo assieme la svendita degli asset, le svalutazioni e i profitti mancati. Un’analisi puntuale in pieno stile McKinsey. In effetti, tante società a stelle e strisce se ne sono andate in fretta e furia dalla Russia dopo lo scoppio della guerra a causa delle sanzioni, come successo ad esempio a McDonald e Caterpillar. Insomma, il messaggio che Dmitriev ha voluto lanciare agli americani è abbastanza chiaro: se facciamo pace, potete tornare a fare soldi a Mosca. Una valanga di soldi: 324 miliardi di dollari.
Quella di Putin a Trump sembra la classica proposta che non si può rifiutare. Lo zar russo sa che questo è il modo migliore per trattare con il presidente americano, che ragiona solamente sulla base del tornaconto politico o commerciale, in una pura logica business, c’è accordo o non c’è accordo. I valori condivisi, le storiche alleanze, l’idem sentire delle democrazie liberali contano poco o nulla: se mi conviene fare affari con un autocrate come Putin lo faccio, se devo maltrattare i leader europei perché ne lucro un vantaggio lo faccio, se devo mandare al macello Volodymyr Zelensky e il popolo ucraino perché in questo momento intralciano la mia narrazione da macho vincente lo faccio. Il peggior dittatore può essere il miglior amico e il leader più coraggioso e liberale il peggior nemico. Vale tutto. Modello Trump, o meglio modello Putin.
Non è un caso che anche oggi, appena sveglio, con una raffica di post sul suo social Truth, Trump ha praticamente demolito Zelensky, capovolgendo la realtà. Per lui il leader ucraino è un dittatore che non vuole indire elezioni, un debole che ha il 4 per cento di consenso, un comico mediocre che ha fatto un pessimo lavoro e che ha mandato a morire milioni di persone inutilmente. In pratica, il presidente Usa dice di Zelensky cose che potrebbe dire Putin, o forse pure peggio. E tutto perché legittimamente l’ucraino non vuole sottomettersi a una pace palesemente ingiusta, fondata sulla perdita del 20 per cento del proprio territorio e su nessuna reale garanzia per la sicurezza di quel che resterà del suo paese. Ma anche perché ha rifiutato il deal ai limiti dell’estorsione che voleva Trump: il 50 per cento delle materie prime critiche su suolo ucraino a compensazione dei presunti 500 miliardi di dollari che sono costati agli Usa per sostenere Kiev nei tre anni di guerra. E qui l’aggettivo “presunti” è fondamentale perchè stando ai calcoli di Zelensky – validati dalle cifre ufficiali del dipartimento di stato americano – il fardello per i conti pubblici è stato di soli 100 miliardi di dollari (piccolo inciso: 100 miliardi sono comunque tanti e dovrebbero zittire tutti quelli che in questi anni hanno sostenuto che l’America si sarebbe arricchita con la guerra, anche perché le maggiori vendite di gas gnl all’Europa non possono compensare tutti quei soldi a fondo perduto).
Ma tant’è, è il trumpismo in purezza, signori. E tutto il mondo ci dovrà fare i conti nei prossimi quattro anni. Se volete qualcosa dall’America e non siete una superpotenza che lui rispetta, bè, mettete le mani al portafogli o in alternativa calate il capo e accettate di fare ciò che lui vuole. In Europa ancora non lo hanno capito fino in fondo.

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