Madre Teresa, l’altra faccia della medaglia

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Madre Teresa di Calcutta, morta nel 1997 e beatificata in tempi record nell’ottobre 2003 da Giovanni Paolo II senza attendere i cinque anni per l’apertura del processo canonico, sarà proclamata santa da Papa Francesco domenica 4 settembre di quest’anno. La cerimonia è prevista a Roma, in piazza San Pietro, e non in India come avevano chiesto i vescovi di quel Paese.
Sottopongo alla vostra lettura alcune pagine che ritengo interessanti che ho tratto dal libro (che consiglio vivamente di leggere)  “AVE MARY – E la Chiesa inventò la donna” di Michela Murgia.

Teresa, l’altra faccia della medaglia

Quando nel settembre del 1997 si spense Anjeza Gonxhe Bojaxhiu, la suora albanese nota al mondo come Madre Teresa di Calcutta, Lady Diana Spencer era morta da nemmeno una settimana nell’incidente automobilistico del tunnel dell’Alma a Parigi. Sui giornali le loro foto erano spesso affiancate, e anzi ne circolavano alcune dove la bella principessa del Galles e la vecchia religiosa curva sui suoi anni camminavano fianco a fianco, come se avessero avuto simbolicamente qualcosa da spartire. Da un certo punto di vista era vero: a dispetto delle loro opposte esistenze, entrambe erano icone efficacissime di femminilità. Diana era l’incarnazione della principessa triste delle fiabe, immaginario dentro cui l’avevano preceduta donne tragiche come Grace Kelly e Soraya di Persia. Ma di quale narrazione era portatrice la piccola suora di Calcutta? La risposta è tutt’altro che irrilevante, perché suor Teresa non è un modello tra i tanti, ma la donna cristiana più famosa al mondo dopo la Madonna.
La sua storia è sintetizzabile nella frase: «Si occupava dei poveri». Anzi, dei più poveri tra i poveri, come lei stessa amava dire, che in India non le mancavano di sicuro. Lebbrosi, bambini abbandonati, fuori casta a vario titolo ed emarginati da ogni cerchia civile trovavano in lei una mano accogliente e un aiuto concreto. Per portare avanti questa visione totalmente oblativa della propria consacrazione, Madre Teresa fondò le Missionarie della carità, un ordine riconoscibile dal candido sani indiano e noto soprattutto per l’attività di conforto ai deboli e ai sofferenti, ma di natura principalmente contemplativa: dei suoi cinque rami, ben tre sono dediti alla sola preghiera, supporto spirituale considerato fondamentale per il lavoro di chi si occupa attivamente dei poveri. L’opera di Madre Teresa e delle sue suore è encomiabile, ma, come quella di molti missionari di frontiera al servizio degli ultimi, sarebbe rimasta circoscritta al suo ambito se i mezzi di informazione non avessero cominciato a occuparsi di lei con sempre maggiore insistenza, intuendo il portentoso potenziale mediatico del suo carisma spirituale. Era la santa vivente che i media desideravano. Anche la Chiesa, però, aveva bisogno di qualcosa di importante da Madre Teresa.
Minutissima, tutta curva su se stessa, costantemente con le mani giunte e soprattutto vecchia, vecchissima, la suora di Calcutta incarnava alla perfezione l’altra faccia del modello bidimensionale femminile del cattolicesimo. Su un lato della medaglia stava la donna giovane, modestamente bella e interiormente pura, attiva nella fertilità e passiva nel carattere, sposa fedele e madre fino alle estreme conseguenze; sull’altro la donna anziana libera dagli obblighi della propria sessualità, ma comunque vincolata a quelli della fede, devotamente contemplativa dello sposo divino e maternamente caritatevole verso i suoi figli mondani. Entrambi i modelli sono consacrativi (vocazione materna e vocazione alla vita religiosa) e hanno il pregio impagabile di non chiedere alla Chiesa spazi diversi da quelli del servizio.
Quando le donne si immolano nel volontariato, nella cura operosa del prossimo sofferente e nella maternità vissuta come dimensione esclusiva della propria femminilità, la Chiesa non lesina loro visibilità, arrivando a portarle sugli altari come esempio per tutte le altre. Madre Teresa, che di questa interpretazione sacrificale della femminilità si poteva considerare l’eccellenza, poté essere beatificata già cinque anni dopo la morte, grazie alla speciale autorizzazione di Giovanni Paolo II che aggirò l’obbligo di aspettare dieci anni prima di investigarne le virtù spirituali. Come già detto, nel calendario dei santi non c’è invece traccia delle moltissime donne che, come i santi e beati maschi, hanno dato la propria testimonianza di fede in spazi di vita politica, sociale, scientifica, professionale o comunque fuori dal limitato spettro di possibilità della sposa/madre/suora.
La santificazione mediatica di Madre Teresa mentre era ancora in vita e la sua progressiva trasformazione in icona mondiale della carità hanno offerto alle donne l’ennesimo esempio estremo di femminilità di servizio che nell’amore all’altro realizza l’annullamento di sé, proprio come aveva già indicato la glorificazione di Gianna Beretta Molla. Sarebbe però riduttivo per spiegare la benevolenza straordinaria che ben due papati riservarono a questa suora, e solo a questa. Madre Teresa faceva infatti qualcosa di più che soccorrere i poveri in India: si era assunta il compito di essere la testimonial di alcune delle più impopolari battaglie morali che la Chiesa portava avanti nel mondo, impegnandosi nell’impresa con una credibilità per molti versi superiore a quella del papa stesso: era donna, era priva di potere gerarchico, era povera e dei poveri si occupava.
Quando nel 1979 le fu assegnato il premio Nobel per la Pace, Madre Teresa usò quell’attimo di estrema visibilità planetaria per pronunciare un durissimo discorso contro l’aborto che lasciò attoniti per l’imbarazzo i presenti alla cerimonia. In forza dell’intervento, il Movimento per la vita la nominò presidente onoraria. Le sue posizioni ostili alla contraccezione e al divorzio erano ben note e continuamente ribadite, sia in occasione di battaglie pubbliche nelle quali non esitava a prendere posizione, sia nei numerosi discorsi che le capitava di pronunciare incontrando i grandi della Terra. Madre Teresa per la Chiesa cattolica non rappresentava solo una campionessa di carità, era soprattutto una vestale della sua dottrina morale sulla vita, quella che maggiormente interferiva con la libertà delle donne di disporre di se stesse.
Per la Madre dei poveri di Calcutta l’esistenza delle donne è ordinata a due soli scopi ineludibili, ben esposti nella sua lapidaria frase: «È questo il destino di noi donne, per questo siamo state create: per essere il cuore del focolare o il cuore della madre Chiesa». Dove mai Giovanni Paolo II avrebbe trovato una sintesi più efficace per spiegare il nocciolo della “Mulieris Dignitatem”, e una incarnazione del concetto di «genio femminile» più credibile e disinteressata di Madre Teresa? Nella piccola suora di Calcutta c’era già tutto: era la prova provata che nell’ordine naturale del mondo le donne sono il cuore che serve e gli uomini la testa che ordina.
Il soccorso della teologia maschilista
Madre Teresa non si era inventata niente esprimendo la convinzione che il mestiere femminile nell’economia strutturale della Chiesa fosse fare l’angelo del focolare. La suora albanese si limitava a esporre con parole proprie – e a praticare – una teoria che nel mondo cattolico era prassi da secoli, e che in Giovanni Paolo II (e nella sua “Mulieris Dignitatem”) aveva trovato un difensore di grande efficacia. Perché difesa oramai andava davvero, quella posizione. Se infatti fino alla metà del secolo scorso la marginalità femminile non aveva avuto bisogno di particolari elaborazioni teologiche, dopo le lotte femministe e le trasformazioni sociali, culturali ed economiche, la questione del ruolo della donna nella società e nella Chiesa si era imposta come uno dei temi più scottanti del post Concilio, costringendo “obtorto collo” anche le gerarchie a interrogarsi su quanto potesse essere evangelicamente fondato continuare a pensare la donna solo nei termini del silenzio, del servizio e del nascondimento. L’apporto delle teologhe avrebbe potuto essere fondamentale per sviluppare percorsi ecclesiali più liberanti e rispondenti al tempo e al Vangelo, ma ancora una volta, quando venne il momento di fare le scelte, non fu la loro elaborazione a prevalere. […]

3 Commenti

  1. Antonio ha detto:

    Santo, lui Papa, subito, che decide di canonizzare lei subito, con connessi trionfalismi e cerimonie sui megaschermi mondiali con connessi giri di soldi e conseguenti, vertiginosi, ragionamenti socio-psico-filosofico-teologico… che fanno venire le vertigini e una certa nausea… Quando sarebbe, invece, tutto così semplice: ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, l’anima e la mente e il prossimo come (non più di…) te stesso. Ma questo sembra davvero troppo banale: meglio gli orgiastici bagni di folla e il trionfalismo imbesuente le masse, favorito dalla globalizzazione della fama e del danaro conseguente: di essere santi, di essere grandi, di essere riveriti, di essere idolatrati… per la maggior gloria di Dio! Scusate, davvero sono nauseato

  2. Giuseppe ha detto:

    Raccontano che papa Roncalli, citando Pio X, affermasse che la donna ideale è quella che “la tasa, la basa e che la staga in casa”. Eppure lo stesso Giovanni XXIII, ricordò più volte nel suo breve pontificato che erano ormai maturi i tempi in cui il ruolo della donna non solo nel mondo, ma anche nella Chiesa, avrebbe avuto un peso fondamentale. Certo, di madre Teresa di Calcutta non si può dire che bene, ma è pur vero che la sua devozione e la sua esperienza a contatto con i più miserabili la portassero a mettersi in una condizione subalterna al servizio di una Chiesa da sempre maschilista, tant’è vero che i benpensanti consideravano addirittura scandaloso l’accostamento alla principessa Diana. Tuttavia nella storia della Chiesa c’erano già state in passato sante come Caterina da Siena e Teresa d’Avila che non avevano avuto alcun timore di far sentire la propria voce ad onta di questo maschilismo imperante, tant’è vero che vengono venerate come “Dottore della Chiesa”, titolo normalmente riconosciuto solo a personaggi eminenti di grande spessore morale e teologico, come San’Agostino, San Girolamo e San Tommaso d’Aquino. Sono passati 50 anni dal concilio ecumenico promosso da papa Giovanni XXIII e portato a compimento da Paolo VI, ma malgrado ciò la ventata di rinnovamento che scosse la Chiesa cattolica sembra essersi, almeno in parte, placata e alcuni argomenti, come ad esempio il ruolo della donna o l’obbligo del celibato, sono rimasti in sospeso, né sembra che ci sia l’intenzione da parte dell’apparato ecclesiale di affrontarli nel breve periodo.
    Ben vengano le sante come l’umile missionaria macedone, ma quando si consentirà alle donne di rivestire cariche di primo piano in seno alla Chiesa e si smetterà di precludergli la strada per il sacerdozio? Se siamo tutti uguali davanti al Creatore, perché la Chiesa che ne conserva l’eredità continua ad operare certe discriminazioni?

  3. GIANNI ha detto:

    Ovviamente, per comprendere a fondo il testo della Murgia, bisognerebbe leggerlo tutto.
    Mi pare comunque di capire ( non ho letto il libro) da questo breve estratto che l’autrice esprima..come dire..una sorta di dissenso critico verso l’ideale di donna fatto proprio dal cattolicesimo.
    Sopratutto con riferimento ad un ideale di donna remissiva, caritatevole, angelo del focolare e via dicendo.
    Ovviamente ognuno può pensarla come gli pare, ma io credo che si oltrepassino, in questo modo, certi concetti, oltre a non considerare la realtà teologica del cattolicesimo stesso.
    Mi spiego.
    Ovviamente, quando ognuno dice che vorrebbe una certa chiesa, fatta così e non cosà, esprime un desiderio, ma non va mai dimenticato che una religione, ed il cattolicesimo lo è, ha per sua natura quello di definire una serie di principi in materia di fede e di morale, che in questo caso non sono definiti democraticamente, o assemblearmente.
    Se questo fosse, allora sarebbe un’altra religione, o confessione, che già esiste.
    Ma comunque definiti, gli ideali fatti propri da una religione non sono sufficienti a definire stati di beatitudine o di santità.
    Nel considerare i casi di beatificazione e santificazione, non va mai dimenticata la natura stessa del processo canonico, perchè se si trattasse solo di idealizzare una certa tipologia di figura, allora perchè sceglierne una e non un’altra dello stesso tipo? Perchè non un’altra suora?
    La mera attenzione mediatica, come dovrebbe sapere chi si occupa del tema, non supererebbe lo scoglio del cosiddetto avvocato del diavolo che, in antitesi al postulante, impedirebbe di cogliere i presupposti per una risposta positiva da parte dei giudici, risposta che presuppone appunto un certo numero di fatti accertati come miracolosi.
    L’essenza, anche giuridica, dell’istituto, come noto alla congregazione per le cause dei santi, è quella di una prossimità tale alla dimensione metafisica, per cui si riconosce l’intercessione fattiva di certi fatti miracolosi.
    Diversamente, qualsiasi ideale di virtù sarebbe mera occasione di introduzione di una causa, che verrebbe rigettata.
    E’ questo l’aspetto più interessante, a mio avviso, cioè non l’ideale, condiviso o meno, che riconduce a principi di morale cattolica, ma l’aspetto come dire..paranormale, metafisico.
    Ricordiamo cosa succede in diversi casi, quando si riapre la tomba ella persona , ricordiamo ad es. di don Bosco i casi di bilocazione ed altri fatti straordinari, legati alla sua presenza nel seminario di Bordighera, per citare un caso di fatti veramente eccezionali come la bilocazione.
    Su madre Teresa vi erano stati diversi dubbi, in riferimento al presunto miracolo, legato alla sparizione improvvisa di un tumore dall’addome di una paziente, ma certo alcuni fatti andarono accertati, per arrivare ad un esito positivo della causa.
    Altra probabile inesattezza è quella di pensare che spetti al papa questo compito di beatificare o santificare, mentre può abbreviare i termini, ma la decisione spetta sempre alla congregazione, e senza prove nessuno arriva alla beatificazione o alla santificazione.
    E’ questo che appassiona maggiormente di questi procedimenti.
    Caso forse unico al mondo in cui contano non tanto i fatti umani, o non solo questi, quanto le manifestazioni..come dire..paranormali o metafisiche, a dire che l’uomo prende atto di una volontà divina, a prescindere da quello che ne potrebbero pensare gli uomini.
    Pertanto, si può condividere o meno ciò che la chiesa dichiara proprio ideale morale ed esistenziale, ma nè la chiesa, nè gli uomini possono in tal caso, sostituirsi al giudizio divino.
    Un caso tipico di sovvertimento della tradizionale giustizia umana, in cui fatti paranormali solitamente non vengono presi in considerazione.
    Nel concetto cattolico è evidente che si ritene che DIo conosca la realtà, e non ascolti intercessione se non di coloro che egli ritenga degni, appunto i beati ed i santi.

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