Il bene comune e le scelte radicali

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Il bene comune e le scelte radicali

Più il bene comune si riduce a quel pragmatismo magari rivestito di qualche buona intenzione o di tanta buona fede, con cui si incartano ben bene ogni piccineria ideologica, più ci si autoinganna o ci si autogiustifica, tenendo il piede in più scarpe, tanto si dice: “Della mia vita privata faccio ciò che voglio!”.
E così ci si sdoppia, generando un equivoco di fondo: voler fare credere che il bene comune abbia una doppia casa!
Il bene comune esige scelte ben precise, scelte, e più la mia idea di bene comune è nobile, più le scelte diventano radicali: scelte che impongono rinunce radicali.
Penso soprattutto a quanti hanno delle responsabilità nel campo politico o amministrativo, chiamati per missione a gestire in totale dedizione di servizio quel bene che, tanto più è illuminato dall’intelletto attivo, tanto più impone sacrifici, purificazioni, quel distacco sempre più radicale dai più o meno giustificabili campanilismi, che sono come un paravento di stridenti personalismi, più o meno mediatici.
Ingenuità perdonabile?
Sarei anche tentato di chiudere un occhio, ma il bene comune non me lo perdonerebbe: sa benissimo che il suo peggior pericolo è proprio la mancanza di chiarezza, per cui si enfatizza quella pretesa, anche rivendicata spudoratamente, di giocare con i sentimenti o le emozioni personali, in una totale di confusione di idee per cui tutto viene messo nello stesso calderone, da cui uscirà una schifosa poltiglia.
Nessuno pretende di essere così radicali da sentirsi già perfetti, ma che si tenda alla radicalità e al Meglio sempre Meglio, questo sì: il bene comune non lascia tranquillo nessuno, tanto più se ci si mette su un piedistallo, o, meglio, se sul piedistallo si mette quell’ego che è la rovina di ogni bene, comune o non comune che sia.
20 maggio 2023
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