Condannando la Mistica, la Chiesa si è suicidata

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Condannando la Mistica, la Chiesa si è suicidata

Credevo che le nuove generazioni del clero non solo fossero più aperte ad un rinnovamento radicale della Chiesa, ma si mettessero in prima linea nella lotta perché la religione carnale lasciasse il posto alla riscoperta di quel mondo interiore, già scoperto dagli antichi filosofi greci, ma poi bloccato dall’avanzare implacabile di una mastodontica istituzione ecclesiastica che, pur di garantire la propria sopravvivenza, ha messo una montagna di sassi sopra la voce della coscienza.
La realtà della Mistica è stata condannata, quasi spenta da scomuniche ecclesiastiche che hanno lasciato un vuoto, come se anche lo Spirito santo ne rimanesse colpito a morte.
La Chiesa, condannando la Mistica medievale, ha condannato se stessa, ovvero la sua ragion di essere, che non sta nel suo organismo carnale, ma nella realtà interiore del Cristo risorto.
Il Cristianesimo, quello che è nato sulla Croce, non è una religione, ma è lo Spirito, dono del Cristo morente.
La Chiesa, fattasi religione, ha tradito la passione, morte e risurrezione di Cristo, ovvero il Mistero pasquale.
Tra Cristianesimo e Mistica c’è quel legame profondo che c’è tra Cristo risorto e Spirito santo.
Per la sua stessa natura, ogni cristiano è mistico. Ma c’è di più. Indipendentemente da ogni elemento religioso, perciò da ogni credenza, ogni essere umano è mistico.
La Chiesa, avendo condannato la Mistica, ha tradito il suo essere cristiana, ovvero di Cristo.
Tra Cristianesimo e Chiesa cattolica si è aperto un varco che resterà incolmabile fin tanto che non si farà mistica, ovvero non si aprirà al mondo dello Spirito, presente in ogni essere umano.
Attutire ogni giudizio solo perché bisogna rispettare tutto quel bene assistenziale che la Chiesa ha fatto lungo i millenni, dalla risurrezione di Cristo in poi, significherebbe ancora non voler capire che il vero Bene è l’Unico Uno Necessario, ma in quanto Assoluto, ovvero sciolto da ogni condizionamento, anche del tipo religioso, e perciò in quanto Essere in tutta la sua radicalità spirituale.
Ogni struttura religiosa serve solo in funzione del Bene Sommo, che è l’Assoluto, ovvero purissimo Spirito, che è l’essenza di ogni essere umano.
E qui nasce il problema che riguarda la fede pura e la credenza religiosa. La fede pura riguarda anzitutto lo Spirito: è lo spirito dell’essere umano che è in contatto diretto con il mondo del Divino.
La credenza religiosa riguarda appunto la religione come quell’insieme di riti e di pratiche devozionali, di atti o di gesti che ogni religione s’inventa o enfatizza per dare credibilità alla sua presunta efficacia taumaturgica, che in realtà consiste nel promettere grazie a buon mercato, che però rimangono sterili proprio perché legate a qualcosa di esteriorità tutta carne.
E allora come si può ancora dare credibilità agli inganni di una religione che svuota l’interiorità dell’essere per farne un suddito carnale, caricandolo di leggi assurde tali da creare una marea di peccati assurdi?
E pensare che basterebbe così poco per essere “felici” (nel senso della beatitudine evangelica), ovvero “gustare” nell’interno del nostro essere quel Divino che dà quella libertà di spirito, con cui affrontare ogni potere, fosse pure quello del più grande tiranno.
20 giugno 2020
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

3 Commenti

  1. Luigi ha detto:

    Don Giorgio se può essere d’aiuto pubblica questa lettera che un sacerdote nel ’67 aveva inviato al direttore di una rivista: “Voglio una Chiesa povera, senza oro, senza argento, senza conti correnti, senza fastose apparecchiature, senza costosissimi addobbi. Voglio una Chiesa che distribuisca tutto quello che può ricevere. Non sono un eccentrico, non sono un prete di sinistra. Sono un giovane servo del Signore che vorrebbe sentire il Signore più vicino, e vorrebbe che Lo sentissero più vicino tanti infelici che sono nel mondo, malati non solo di miseria ma di sfiducia, di incredulità, di solitudine e di tristezza. Mi sembra che di questo abbiamo soprattutto bisogno, in questo tempo, in questo mondo. Quanti cuori tornerebbero a Dio davanti all’esempio di una Chiesa povera, veramente povera, senza mezzi termini! Si può dir Messa senza oro e senza argento. L’oro e l’argento onorano il Signore? La nostra povertà, la più totale, la più assoluta, l’onorerebbe assai di più. Vivo in parrocchia da quattro anni e non mi sento un pastore di anime. Mi sento un impiegato, la rotella di un meccanismo, manovro registri e schedari, “organizzo” cerimonie nuziali, discuto con gli sposi le decorazioni floreali e il prezzo delle stesse: la tariffa. Non sono un ribelle, signor Direttore. Sono un povero timido prete che tante sere piange come un ragazzo perché gli sembra che tutto, intorno a lui, sia falso e sbagliato. Se parlo di queste cose con gli altri sacerdoti, essi mi rispondono, chi con tristezza, chi con ironia, che non sarò io a cambiare gli uomini e il mondo. Ma se vogliamo che gli uomini e il mondo cambino, dobbiamo cambiare noi, tocca a noi dare l’esempio, sbarazzarci di tutto e vivere letteralmente di carità. Tocca a noi pagare gioiosamente questo prezzo perché nella chiesa sia visibile il Vangelo vivo, a consolazione di tutti i sofferenti, a conforto di tutti gli infelici. Non mi illudo sull’esito che potrà avere. Ma penso che tutti abbiamo il dovere, oggi, di uscire da assurdi riserbi che sono vere e proprie ipocrisie. O forse ritiene indelicato e inopportuno che un sacerdote apra il suo animo con i lettori di un giornale? Sono un servo che si confessa: vorrei amarvi di più perché il Signore sia amato e capito di più. Non voglio fare l’impiegato della Chiesa: voglio essere l’uomo che Dio ha mandato tra voi per soccorrervi quando siete stanchi, per abbracciarvi quando siete infelici. Questa è la chiesa che è nel mio cuore. Questa è la chiesa che tanti di voi attendono di vedere… Non sarà stata inutile questa lettera che scrivo con profondo dolore ma con infinita speranza, perché nulla è inutile. Datemi la povertà, date Dio a tanti uomini disperati. Perdonatemi questo sfogo e pregate per me.” Risposta del direttore: “Ci sono preti che trattano Dio come se fosse il padrone della ditta e gli fanno costosissimi quanto inutili regali proprio come l’impiegato sempliciotto che aspira al posto di capufficio. Noi siamo liberi di combinarne d’ogni fatta e colore, ma siamo incapaci di compatire un prete che crede di servire Dio caricando l’altar maggiore di candelabri d’argento alti un metro. Non è un malfattore, questo prete. È solo un ingenuo fanciullo. Non le pare? Non basterà un decreto del Papa per dare la povertà alla Chiesa. E la povertà, per regnare, non ha bisogno di decreti. Lei può praticarla da domani mattina. Troverà derisioni, contrasti, malintesi. Metta tutto nel conto e continui per la sua strada. Non avrà la vita facile. Nessuno che abbia cercato o soltanto tentato di farci vedere il Vangelo vivo ha avuto la vita facile. Ma il mondo è andato avanti e andrà avanti perché qualcuno ha cercato, perché qualcuno ha tentato. Grazie per averci aperto il suo cuore, per averci mostrato qualcosa di tanto puro e bello. Ci sentiamo tutti meno soli e meno stanchi dopo aver letto una lettera come la sua”.

  2. simone ha detto:

    Mi sembra che così la Chiesa stia tradendo il suo mandato.
    Che non è quello di dare continuità ad una tradizione oppure garantire il sostegno economico di un’istituzione.
    Il mandato è quello di evangelizzare ossia di portare alle genti la “buona notizia”. La “buona notizia” è che Dio è con noi, dalla nostra parte.
    Di certo non lo si fa mettendo regole, precetti o imponendo percorsi blindati.
    Tutto questo lo si fa per mantenere il potere o meglio il controllo sulla vita delle persone.
    Oggi la gente trova gioia in altre cose; nel protagonismo, negli eccessi, nel consumismo, nel benessere.
    Sembra che la gioia sia qualcosa di effimero che dura pochi istanti e che va costantemente ricercata a costo di calpestare qualsiasi indicazione morale.
    Vale solo il proprio benessere a discapito di chiunque; ripeto un benessere temporale, effimero, privo di ogni morale.
    Questo non ha niente a che vedere con la gioia; la gioia vera.
    Col sentirsi amati, valorizzati; col riuscire a superare muri e barriere superficiali per accedere ad una realtà più grande.
    Certo la Chiesa fa del bene e nessuno lo nasconde ma il bene più grande è quello di vedere la gente felice. Aiutare la gente a superare gioie illusorie per accedere ad una gioia più grande.
    Che deriva da una presenza e da una certezza; lo Spirito del Risorto vive in noi. Questo è il suo compito, condurre le persone ad un incontro capace di cambiare la vita. Non so quale sia la strada migliore; di certo la pastorale delle cene, dei precetti, delle minacce o del non perdete la Messa della domenica non serve a niente.

    Un canto allo Spirito, seppur per ragazzi, spiega bene l’essenza di questo Spirito:

    “Luce di verità , fiamma di carità , vincolo di unità , Spirito Santo Amore. Dona la libertà , dona la santità , fa’ dell’umanità il tuo canto di lode.”

    E’ uno Spirito che ci conduce alla verità, che ci spinge alla carità che ci unisce nonostante le differenze. E’ uno Spirito che ci rende liberi e che ci guida all’incontro pieno con Dio.

    Tutte queste cose poco collimano col pensiero della Chiesa.
    La Chiesa ama il gregge uniforme, capace di dire solo di sì, adorante delle parole che partono dal pulpito. Un gregge incolore che sia facile da controllare in base ai propri interessi. Alla Chiesa piace la superiorità del vescovo che sta in cattedra, che non può essere contraddetto che è il “Dio in terra”.

    L’istituzione si scontra con il Divino.
    Io sto bene dove trovo pastori umili che con dolcezza provano a raccontare il loro cammino. Sto bene perchè mi sento amato immeritatamente. Sento una presenza dentro di me…
    Non credo di esser riuscito ad arrivare a fondo, di averlo conosciuto profondamente. Però sento una profonda distanza tra quello che sento e quello che vedo. Tra la profondità e bellezza dell’incontro interiore e la carnalità e superficialità di questi riti esteriori.
    Dico sempre che la nostra è una fede da “raccolta a punti”. Pensiamo che il paradiso si ottenga con la presenza in Chiesa la domenica…se la tessera punti è piena siamo di certo ammessi.

    Insomma oggi il tema della salvezza è alquanto trascurato. Abbiamo ancora bisogno di un Dio per salvarci?

  3. Luigi ha detto:

    Don Giorgio, hai ragione. Il suicidio viene dall’anoressia del Corpo mistico della Chiesa degli inizi del secolo ben vista da don Abramo Levi. La causa era la distinzione della Chiesa visibile in Chiesa docente e Chiesa discente. Questa insensatezza è iniziata passo dopo passo dal Medioevo obliterando la Chiesa Corpo mistico. Nel Medioevo il Corpo mistico della Chiesa era visibile con papa Gregorio Magno: “La Scrittura cresce insieme a chi la legge”. Ecco alcune sue parole: “So infatti che spesso molte cose che nella Santa Scrittura da solo non riuscivo a capire, le ho comprese quando mi sono ritrovato in mezzo ai miei fratelli. Grazie a questa conoscenza, ho cercato di capire anche per merito di chi mi veniva data una tale intelligenza” … “Con la Grazia di Dio, avviene che aumenti l’intelligenza e diminuisca la superbia, mentre per causa vostra imparo ciò che a voi insegno perché, ve lo confesso candidamente, il più delle volte con voi ascolto quello che a voi dico” … “Se il mio uditore, o lettore, che certamente potrà comprendere il senso della Parola di Dio in un modo più profondo e più vero di quanto ho fatto io, non troverà di suo gradimento le mie interpretazioni, tranquillamente lo seguirò come un discepolo segue il suo maestro. Ritengo come un dono tutto ciò che egli potrà sentire e comprendere meglio di me. Quanti infatti ripieni di fede ci sforziamo di far risuonare Dio, siamo organi della Verità, ed è in potere della verità che essa si manifesti per mio mezzo agli altri, o, che per gli altri, giunga a me. Essa certamente è uguale per tutti noi, anche se non tutti viviamo allo stesso modo” … “Alcune volte la Parola di verità viene comunicata per i meriti del predicatore e del popolo, altre volte viene sottratta per l’indegnità dell’uno e dell’altro. Nell’incertezza poi, o nel dubbio di essere o non essere illuminati dalla verità, una cosa rimane ed è che tutti insieme, dottore e comunità, camminiamo ben fissi nell’umiltà, perché in questa vita presente tanto più si è compenetrati di verità, quanto più si è convinti di non poter accedere da se stessi all’intelligenza della Parola di Dio”. Benedetto Calati, conoscitore di Gregorio Magno: “E’ l’intelligenza della Parola che edifica il cristiano, è il progresso degli eletti nella fede che a sua volta matura il mistero contenuto nella Parola di Dio, è così che la comunità dei fedeli può essere norma della vitalità della Parola di Dio”.

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