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18 Giugno 2024
Salvare la vita ai migranti
cattivi, razzisti, bugiardi
di Michele Brambilla
Il libro di Caterina Bonvicini descrive un mondo mai idilliaco, spesso deludente: le Ong imbroglione, i migranti falsi e violenti. Ma proprio lì è il significato vero: nessuno va redento, in mare tutti vanno salvati. Tutti gli esseri umani. E basta
Un’altra barca di migranti si è rovesciata in mare, al largo della Calabria, ci sono più di sessanta dispersi e si sa che cosa si intende, in questi casi, per dispersi. Qualcuno tornerà a dire che un po’ è colpa anche delle Ong, perché illudono questi disperati di poter essere salvati, mentre invece bisognerebbe bloccare le partenze, aiutarli a casa loro, eccetera.

Suggerisco a tutti, e specialmente a coloro che hanno questi dubbi, la lettura di un libro di Caterina Bonvicini: Molto molto tanto bene, uscito da poco per Einaudi (197 pagine, 18,50 euro). È una storia vera, anche se i nomi dei protagonisti sono di fantasia.
L’autrice è, nell’ordine: una scrittrice; una donna dichiaratamente di sinistra; una di quelle persone che da anni viaggiano sulle navi delle Ong nel Mediterraneo. Ci sarebbero tutti gli ingredienti per far sospettare, a molti, che il suo libro sia un’apologia delle Ong, un’accusa contro l’Occidente razzista, mentre i migranti sono tutti puri. E invece.
Caterina Bonvicini, per fortuna e anzi per merito suo, non contempla nella narrazione quella brutta cosa che a destra chiamano “il politicamente corretto”.
Dice subito che quello delle Ong non è un mondo di eroi senza macchia: “Si trovano alleati oppure nemici. Flotta civile? Non sempre. A volte può essere anche molto incivile. Una Ong ha venduto a un’altra per centinaia di migliaia di euro una nave da buttare. Concluso l’affare, hanno brindato ai polli che avevano pagato per affondare o restare in porto. (…) Al di là dei gesti crudeli o generosi, c’è comunque una competizione, molto simile a quella che esiste in tutti gli altri campi”. Perché il Mediterraneo, scrive Bonvicini, “non è un mondo equo, non lo è nemmeno dalla parte di chi combatte la grande iniquità. È un mondo come tutti, e basta”.
E infatti pure il razzismo c’è anche lì, sui barconi come nel mondo, fra gli immigrati come fra i bianchi contro i neri: “I bengalesi odiano gli egiziani, perché li sfottono e li bullizzano. (…) Le donne libiche (…) sono riuscite a creare un’apartheid”. Perfino le bambine libiche “indicano i neri e storcono la faccia, chiudono il pugno e spingono il pollice verso il basso. (…) È impossibile anche organizzare un banale girotondo” perché le piccole libiche “si rifiutano di prendere per mano i loro coetanei subsahariani”.
Caterina Bonvicini e suo marito Riccardo decidono di accogliere una mamma ivoriana di ventidue anni e i suoi due bambini; affittano per loro una bella casa a Roma e anche una in Toscana per le vacanze, con la piscina. Danno loro tutto quello che possono: agi, confort, e molto molto tanto bene. Offrono loro una possibilità di salvezza.
Ma questa giovane mamma ivoriana racconta a Caterina e Riccardo un sacco di balle, se ne va, finisce nei guai e si rifà viva con altre balle, li tira matti, poi se ne va di nuovo e per sempre. Ed è vero che ha avuto una storia tragica – è quasi certamente una malata psichiatrica – ma a Caterina vengono tanti dubbi: che cosa, di ciò che costoro raccontano, è vero? E che cosa è falso? Si sfoga con un’amica. “Sai a cosa penso? A tutti quelli che ci insultano sui social. Prenditeli a casa tua. Tu lo fai e loro se ne vanno”.
Ma… Ma?
Ma il senso di tutto sta nelle parole di Chiara, un’amica alla quale Caterina scrive: “L’equipaggio è favoloso, ma come naufraghi c’è di meglio. Forse non riesco più ad amare le persone che ho salvato”. Chiara le risponde: “Cate, chi ha detto che bisogna amarle? Bisogna salvarle e basta, che ti piacciano o no”.
Bisogna salvarli, questi migranti sui barconi, e basta. Quando vedi che sono in acqua, non puoi stare a farti domande, non puoi discettare sui rapporti con la Libia e su come accoglierli e su quale Paese li può ospitare. A tutto questo devono pensare altri. Primun vivere, deinde philosophari.
Quelli delle Ong – belli, brutti, simpatici, antipatici – fanno la prima cosa, la cosa più importante: salvare la vita. Di esseri umani. La vita.
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