Unità.tv
20 luglio 2017
Bambini vittime di abusi a Ratisbona?
Per Mario Adinolfi
sono solo vittime di qualche schiaffo
Il direttore della Croce commenta l’indagine chiamata a far luce sulle vicende del coro di Ratisbona
C’è la notizia e poi c’è la sua interpretazione. La notizia: nei giorni scorsi è stato reso pubblico il rapporto compilato da Ulrich Weber, un avvocato incaricato dalla Chiesa di far luce sullo scandalo delle violenze nel Coro del Duomo di Ratisbona, il più antico coro di voci bianche del mondo. I dati forniti da Weber sono agghiaccianti: 547 bambini sarebbero stati vittime di violenza nell’arco di tempo che va dal 1945 ai primi anni ’90.
Oltre ai numeri elevati, la notizia ha destato scalpore per il coinvolgimento di Georg Ratzinger, fratello del papa emerito Benedetto XVI, che ha diretto il coro per 30 anni, dal 1964 al 1994. Nella conferenza stampa di presentazione del rapporto, Weber ha attribuito a Georg Ratzinger la colpa di “aver fatto finta di non vedere, e di non essere intervenuto nonostante sapesse”. Altra cosa importante da precisare: secondo l’indagine i bambini avrebbero subito violenze corporali e sessuali.
Questa è la notizia. Si parla di accuse pesanti e documentate. Accuse che hanno portato all’identificazione di 49 responsabili. Poi c’è l’interpretazione dei fatti. Nei giorni scorsi Mario Adinolfi, direttore del quotidiano cattolico La Croce e fondatore del Popolo della Famiglia, è intervenuto in due occasioni sulla sua pagina Facebook per invitare a «vergognarsi» gli autori di questo «gioco sporco e anche un po’ vile, per macchiare la Chiesa e indirettamente Papa Benedetto XVI».
Il perché? Per Adinolfi la vicenda di Ratisbona sarebbe, in sostanza, un’esagerazione. In fondo anche a lui, quando era studente in una scuola cattolica, capitò «di prendere qualche schiaffo» ma – ha spiegato – la formazione «era di assoluta eccellenza», perché «si doveva studiare come matti e i prof erano severissimi». «Qualcuno – ha continuato il giornalista nel suo post su Facebook – potrebbe ricordare quegli anni come ‘un inferno’ e sono certo che un magistrato solerte nel 2017 troverebbe centinaia di ragazzi ‘vittime di violenze’ tra quelli passati in mezzo secolo nella mia scuola». «A Ratisbona – è stata la sua conclusione – hanno fatto questo gioco».
Per Adinolfi il report di 440 pagine può essere liquidato con un post amarcord di qualche battuta. Si può anche far finta di non tener conto delle parole di Gerhard Ludwig Müller, teologo che fu vescovo di Ratisbona dal 2002 al 2012, che in un’intervista al Corriere della Sera ha detto di aver «sperimentato», in questi anni, «la vergogna per quanto accaduto nella Chiesa». Anche l’alto prelato è stato al centro del rapporto di Weber. L’avvocato lo ha infatti accusato «debolezza strategica, organizzativa e comunicativa». La replica Müller è insieme una difesa e un’ammissione di ciò che avvenne: «In realtà, fui io ad avviare il processo di informazione», rivendica Müller. «Incaricai un team di esperti – continua – perché investigassero su fatti che sono accaduti cinquant’anni prima del mio mandato come vescovo di Ratisbona. Nel sito web della diocesi c’è una grande documentazione con tutti i passi del nostro lavoro. In questa prima fase, fra il 2010 e il 2012, si fece tutto ciò che era possibile e necessario».
Secondo lui anche prendere degli schiaffi sarebbe lecito e normale.
Un noto personaggio una volta gli ha proposto di andare in analisi, ma lui ancora non ci sente.
Riconosco la mia ignoranza e la grave colpa di non conoscere Mario Adinolfi, pazienza, cercherò di farmene una ragione. Perciò, per saperne di più sono andato a scartabellare qua e là. Potrei, ovviamente, anche sbagliarmi, ma da quello che sono riuscito a capire mi sembra uno spirito inquieto, alla Giuliano Ferrara tanto per farci un’idea. In lui si agitano diverse anime dai sentimenti contrastanti che l’hanno portato a scelte anche molto diverse tra loro e, di conseguenza, perfino opposte. È stato radicale, democristiano e, moderatamente di sinistra, baciapile osservante e contestatore ante litteram e mille altre cose. Ha lavorato per la radio (anche per Radio Maria) e per la televisione e ha collaborato con diverse testate giornalistiche, divenendo alla fine direttore del giornale cattolico Croce, che ha avuto una brevissima vita cartacea ed ora è online, anche se le sue pubblicazioni sono alquanto discontinue.
Va da sé che in un’epoca come questa, in cui chiunque, grazie ai social, si sente in diritto di urlare ai quattro venti le proprie idee e opinioni, anche se non conosce un amato bene dell’argomento che sta affrontando, un personaggio del genere sia molto ricercato e il suo parere sui fatti di cronaca venga richiesto con insistenza. E non poteva mancare, così, un commento sulla vicenda di Ratisbona.
Con tutto il rispetto per le opinioni altrui, però, ho l’impressione che Adinofi, forse perché c’è un evidente coinvolgimento di ecclesiastici navigati e perfino del fratello di Benedetto XVI, abbia voluto minimizzare la vicenda riconducendola a degli episodi di routine, di quelli che si verificano abitualmente negli istituti in cui si impartisce un’educazione severa e rigorosa e, a volte può accadere che parta qualche tiratina d’orecchi o qualche sberla, comunque sempre giustificata da comportamenti indisciplinati.
E allora, mi chiedo, la relazione dell’avvocato Weber è solo un mucchio di fandonie? E tutte le testimonianze raccolte sono frutto della fantasia o di esagerazioni delle persone coinvolte? E perché la diocesi ha ritenuto opportuno ordinare un’indagine approfondita, se non aveva nulla da nascondere? Si può anche essere fideisti bigotti e non credere che i chierici e i consacrati siano capaci di compiere atti orrendi e disgustosi, ma i fatti, caro Adinolfi, sono lì a raccontarci una realtà ben diversa. L’essere umano è fragile e facilmente preda di passioni e di stati d’animo spesso incontrollati e l’abito talare o il saio non sono un’arma o uno scudo tanto forti da poterlo impedire, almeno non sempre…
Ancora una volta contano solo i fatti, non le teorie.
Pertanto vanno escluse ipotesi precostituite sia in un senso che nell’altro.
IN questo caso Adinolfi sostituisce la propria esperienza con quella in questione.
MA chi dice che tutti i casi siano uguali?
Occorre valutare solo sulla base di prove e di testimonianze di persone presenti all’epoca.
Altrimenti si corre lo stesso rischio che l’articolista della rete l’abuso, anzi il presidente, corre nell’accusare.
La mia impressione è che ci siano persone che, per motivi opposti, vogliano ad ogni costo abbracciare una tesi, sia in un senso che nell’altro, e quindi non tengano conto della necessità di prove, vuoi per accusare, che per assolvere.