Conta di più il posto di lavoro o la vita?

 

di don Giorgio De Capitani

Vorrei dire anch’io due parole sulla morte, avvenuta all’alba di domenica 19 agosto, di Angelo Di Carlo, 54 anni, che l'11 agosto scorso si era dato fuoco davanti a Montecitorio, per protestare contro il suo stato di disoccupazione, visto che da anni lottava con la precarietà. Così è stata data la notizia dai mass media, anche con un certo rilievo, più dopo la morte che dopo il tentato suicidio: questo fa già capire tante cose. Se fosse sopravvissuto, il suo gesto che voleva essere dimostrativo sarebbe caduto nel nulla. Comunque, già il giorno dopo, i giornali si sono occupati di tutt’altro. Come al solito.

Ma non è di questo che vorrei parlare. Anche a rischio di farmi odiare, penso che il suicidio di Angelo Di Carlo andrebbe riletto e ridimensionato, senza per forza attribuirgli quel significato-simbolo di un mondo tale di precariato da portare al dramma umano di porre fine alla propria esistenza. Coloro che riescono a sopravvivere, nonostante tutto, lottando ogni giorno contro delusioni e fallimenti, sarebbero meno eroi di coloro che invece si lasciano sopraffare da una crisi economica che è stata creata da un capitalismo sfrenato, complice anche un mondo operaio che, pur di tenere il proprio posto di lavoro, ha taciuto collaborando con la propria manodopera a produrre materiale inquinante o addirittura criminoso?

A me sembra che il gesto di suicidio di chi perde il proprio posto giustifichi il fatto che ciò che conta è il suo lavoro, indipendentemente dalla fabbrica. In altre parole, ciò che conta è lavorare, se poi la fabbrica produce veleno, chissenefrega?

Se Angelo Di Carlo, tanto per fare un esempio concreto, avesse trovato lavoro presso l’Ilva di Taranto, magari non si sarebbe posto alcun problema, e per lui l‘esistenza meritava di essere vissuta, senza pensare che in tal modo avrebbe messo a rischio la salute di un’intera città.

Certo, io non ho il diritto di condannare chi ha scelto liberamente di suicidarsi, posso anche capirne le ragioni – che comunque sono complesse, difficili da valutare, talora meno idealiste di quanto si pensi -, ma non accetto che il gesto venga quasi enfatizzato o addirittura miticizzato come quello di un eroe che lotta contro questa bastarda società. Ma questa bastarda società non è anche opera di chi subisce tutto, purché abbia ciò che egli ritiene necessario per vivere, non importa come, questa esistenza di merda? E allora basta il posto di lavoro assicurato per non farmi sentire in colpa di fronte ad una struttura capitalistica che sfrutta operai e impiegati, creando a proprio piacimento benessere e malessere?

Chi rinuncia a lottare non è un eroe, ma una vittima di quello stesso capitalismo di cui si è sempre pronti a parlar male, ma che in realtà condiziona il nostro vivere e il nostro morire. Ma nessun operaio si pone la domanda: io lavoro per chi e per che cosa? E se perde il posto di lavoro, perché mette a repentaglio la propria esistenza? Conta di più il posto di lavoro o la propria vita?

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=YQRX7P-a_ug[/youtube]

2 Commenti

  1. Giuseppe ha detto:

    È un fatto che un suicidio pone sempre degli interrogativi, se poi avviene pubblicamente perché l’autore cerca di attirare l’attenzione su di sé o su qualcosa che ritiene ingiusto, allora è praticamente inevitabile che dia adito alle considerazioni e riflessioni più disparate, aprendo un dibattito convulso in cui ognuno si sente in diritto di pontificare. Sono dell’opinione che la vita di ognuno di noi è una cosa strettamente privata, anche se vivendo in un’epoca in cui gran parte di noi sono condizionati dalla smania di apparire a tutti i costi e dall’impulso irrefrenabile di mettere in piazza (strillando) gli affari propri, penso di essere rimasto uno dei pochi a sostenerlo. La fatica di vivere e il dolore acurto che si prova ad affrontare quotidianamente situazioni difficili, o addirittura disperate, è difficilmente compronsibile per chi non condivide queste situazioni di disagio, per questo motivo ritengo che sia necessario non giudicare e soprattutto non condannare a priori in nome di principi ed ideali religiosi puramente teorici. La vita umana è sacra, su questo non c’è alcun dubbio, ma la dignità dell’individuo è altrettanto importante.

  2. Gianni ha detto:

    La morte per suicidio ha cause diverse..
    di oggi la notizia di uno che a 10 anni si è buttato dalla finestra per aver bisticciato con la madre……
    Ma, forse, possiamo dire che oggi è sopratutto l’attuale modello di sviluppo economico a causare diversi tipi di morte.
    Ci sono i morti per suicidio.
    Non dico per essere eroi, ma spesso perchè taluni, più deboli psicologicamente di altri, non reggono certe situazioni.
    Poi ci sono i morti diretti in fabbrica, per inquinamento, e quelli, sempre diretti, che abitano nei pressi dell’industria inquinante.
    Ci sono anche i morti indiretti, come quelli che muoiono per disastri naturali.
    MA tali disastri idrogeologici sono conseguenti all’abbandono dei terreni, una volta occupati dall’economia agricola, e quindi sono anche questi disastri legati all’abbandono dei terreni a favore dello sviluppo industriale.
    Credo quindi sia il modello complessivo di sviluppo economico,a dover essere rivoluzionato, o quanto meno riformato.
    Per chi fosse interessato a leggersi la mappazza costituita dall’ultimo provvedimento del riesame sull’ILVA, che spiega bene talune cose, ecco il link:
    http://affaritaliani.libero.it/static/upload/moti/motivazioni.pdf

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