20 settembre 2015: Quarta dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore
1 Re 19,4-8; 1Cor 11,23-36; Gv 41-51
Il vero profeta resta sempre solo
Il primo brano della Messa è tolto dal primo libro dei Re. Ecco il contesto. Il profeta Elia si era opposto alla idolatria, sfidando ben 450 sacerdoti di Baal, il Dio fenicio. E li aveva sconfitti con il fuoco venuto dal cielo. Ma la successiva ed eccessiva vendetta di Elia, che aveva ritenuto di vendicare l’onore di Dio uccidendo i sacerdoti di Baal e il fatto che poi il suo popolo, dopo un momento di esultanza, era tornato ad essere soggetto al re e alla moglie Gezabel, fecero sì che Elia si trovasse solo, minacciato di morte.
Ancora oggi ci sembrano per lo meno “strani” certi comportamenti “voltagabbana” del popolo. Dal vocabolario: «Voltagabbana è colui che cambia opinione e idee, per opportunismo, per tornaconto personale, con grande facilità e leggerezza». Ma la storia è piena di questi atteggiamenti da banderuola di un popolo che passa da una sponda all’altra, da un potere all’altro, sempre e in ogni caso dalla parte dei vincenti, dei più forti o di coloro che promettono mari e monti. Lo stesso Gesù Cristo è stato barattato con Barabba proprio da quel popolo che, come dirà poi il brano del Vangelo, era arrivato perfino al punto di volerlo fare re. Il popolo è soggetto agli umori più imprevedibili: oggi sembra sostenere la tua politica, e poi ti tradisce passando ad un nuovo imbonitore. Come si fa a parlare di democrazia, quando il popolo non usa la testa, ma semplicemente segue i borbottii della pancia? Sarò pessimista: per me la democrazia è solo il sogno degli idealisti, e, finché non avremo un popolo che sappia usare la propria testa, dovremo farne a meno, lasciandoci guidare dai più saggi del momento.
Elia alla ricerca del vero volto di Dio
Ad Elia, dunque, non rimase che fuggire verso il monte Sinai alla ricerca del vero volto di Dio: da una parte, tradito dal suo popolo, e dall’altra confuso da quel Dio che egli aveva difeso, sfidando i profeti di Baal. Ma chi era in realtà questo Dio, così geloso da non volere altri dei? Forse Elia si era immaginato un Dio troppo umano, un Dio certamente unico, ma in fondo in fondo non tanto diverso dalle altre divinità. Dio gli aveva proprio chiesto di essere vendicato da chiedere l’uccisione dei profeti di Baal? Quale era il senso dell’Alleanza con il Signore? Elia era sì fedele all’Alleanza, ma non riusciva a comprendere le vere strategie del suo Dio.
Elia sta attraversando il deserto, credendo così di sfuggire alle ire della regina, ma incontra forse il rischio peggiore: quello di una crisi esistenziale tale da portarlo a desiderare la morte. Morire a causa di un ideale è martirio, ma morire a causa di una delusione, che cos’è? Un fallimento, solo un fallimento. Tradito dal popolo, perseguitato dal potere, ed ora abbandonato da Dio.
Ed ecco la sorpresa, l’imprevisto: entra in scena il vero Dio. Il Dio che lo aveva abbandonato era il dio falso, uno tra i tanti dei di Baal. Ora il vero Dio inizia a manifestarsi. E lo fa con un gesto apparentemente facile: gli fa trovare accanto “una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua”. Certamente, non è un lauto pranzo, ma basta poco per riprendere coraggio, e tornare a camminare. Sì, basta poco! Dio non compie mai miracoli per toglierci la nostra responsabilità, e portarci di colpo alla meta.
Dio non compie miracoli per alleggerirci il cammino
Elia deve fare con le sue gambe tutto il cammino verso il monte Sinai. Non viene sollevato su ali di aquila, né dispensato dalla fatica del camminare su un terreno inospitale. Però scopre che il Signore si fida di lui e lo attende sul monte. Commenta don Raffaello Ciccone: «Finché il cristiano ha la certezza di possedere la “virtù” ed è sicuro della sua “verità” in tasca, finché il sacerdote è sicuro di sé, del suo ruolo e della sua influenza, c’è ancora posto per Dio? Queste sicurezze e queste certezze sono troppo umane per essere segno di Dio. Quando invece tutto ciò crolla improvvisamente – e ogni vita conosce questo smarrimento –, quando le virtù che si credeva di possedere diventano, ad un tratto, peccati e viltà, quando le verità tranquillanti e i luoghi comuni e le regole di società e i diritti di casta sono ad un tratto messe in discussione, Dio può finalmente agire».
Le prime comunità tra vecchie tradizioni e la Novità evangelica
Passiamo al secondo brano della Messa. San Paolo scrive la sua prima lettera ai cristiani di Corinto attorno all’anno 56 d.C., quindi a trent’anni circa dalla morte e risurrezione di Cristo. L’intento dell’Apostolo consiste nel rafforzare la fede dei primi cristiani. È interessante, e da tener presente, questa caratteristica dell’apostolato di Paolo, che non si limitava a convertire al cristianesimo i pagani, a creare delle comunità cristiane, ma si preoccupava soprattutto perché queste si consolidassero nella fede nel Cristo Risorto.
Noi crediamo solitamente che i primi cristiani fossero tutti entusiasti e coerenti nella loro pratica cristiana, ma non era così. San Paolo nelle sue lettere sottolinea più volte le loro debolezze, i loro tradimenti, le loro crisi, anche gli scandali, soprattutto la fatica enorme da parte di questi neo convertiti a lasciare le loro vecchie tradizioni, le loro abitudini e i loro attaccamenti alle antiche divinità.
San Paolo, più che a un lavoro personale, si dedica a interviene soprattutto nelle assemblee pubbliche, in particolare quando la comunità si ritrova nell’Eucaristia. Capitava che proprio durante l’eucaristia ci fossero strani comportamenti, che sconfessavano il cuore del mistero eucaristico, ovvero il dono di Cristo sulla croce per l’umanità intera. Il momento eucaristico diventava, invece, l’occasione di ingiustizie e di egoismi vergognosi, a discapito di quella fratellanza che era il Messaggio più radicale del Cristianesimo.
Fractio panis per sé o per tutti?
Bisogna ricordare che la Comunità di Corinto era composta, nella quasi totalità, da gente povera: braccianti, scaricatori del porto, schiavi. I ricchi erano pochi, ma si facevano notare per la loro arroganza: quando si trovavano per lo “spezzare del pane” (così era chiamata inizialmente l’eucaristia), già nel primo pomeriggio si abbandonavano a gozzoviglie, mentre i “fratelli” (così erano chiamati all’inizio i cristiani) erano al lavoro. Quando, sfiniti dalla fatica, questi ultimi si presentavano per la celebrazione, erano accolti quasi con disprezzo.
Paolo, allora, era preoccupato di chiarire il significato dello spezzare il pane. “Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere?”, ovvero: “Se avete voglia di mangiare e bere, state a casa vostra” (11,22). Certi cristiani di Corinto avevano trasformato la cena del Signore in un segno menzognero che non poteva essere accettato.
Lo spezzare lo stesso pane non indicava già l’unione di tutti i membri nell’Umanità redenta da Cristo? Come si può mangiare lo stesso pane, e poi dividersi, odiarsi, costruirsi un mondo tutto proprio, chiuso all’Umanità?
C’è pane e pane
Una brevissima riflessione sul brano del Vangelo della Messa. Pensate alla parola “pane”: quanta e quale importanza ha nella Bibbia! Elia si nutre di un po’ di focaccia per riprendere il cammino. Chi non ricorda le parole del Deuteronomio (8,3), riprese poi da Gesù per contrastare la tentazione del demonio nel deserto: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio!»?
Ora Gesù dice, scandalizzando tutti i presenti: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo… Io sono il pane della vita… ». Come abbiamo visto, l’eucaristia era chiamata dai primi cristiani: “Fractio panis”. Nel “Padre nostro” preghiamo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Gli esegeti fanno notare che l’aggettivo originale greco, “epioùsion”, tradotto in italiano come “quotidiano” in realtà significa “supersostanziale”, ovvero pane sostanzioso, essenziale, pane necessario, non superfluo. Solo una domanda: qual è oggi il vero pane necessario? Solo quello che nutre il nostro corpo o la nostra pancia? Come nutriamo la nostra mente? Come nutriamo il nostro essere interiore?
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