Omelie 2022 di don Giorgio: SECONDA DI AVVENTO

20 novembre 2022: SECONDA DI AVVENTO
Bar 4,36-5,9; Rm 15,1-13; Lc 3,1-18
Seconda di Avvento. Anche in questa domenica e per la prossima settimana, siamo e saremo invitati a riflettere su brani della Bibbia, che attingono, essendo Parola di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, alla Sorgente di Grazia che disseta le esigenze più pure del nostro essere interiore.
Il primo brano è tolto dal libro di Baruc, composto solo di cinque capitoletti, dunque molto breve, ma interessante. La Liturgia ci ripresenta da leggere e da meditare gli ultimi versetti del capitolo quarto e tutto il quinto capitoletto, che è la conclusione del libro.
In sintesi, possiamo dire che l’autore sacro ha una visione meravigliosa: dopo momenti duri e drammatici, ecco finalmente il tempo della gioia e della libertà. Da notare le immagini molto espressive per indicare l’apertura di nuovi orizzonti.
La prima di queste immagini è oriente: “Guarda verso oriente, Gerusalemme… “. Oriente significa “là dove il sole sorge”, ovvero l’origine del giorno nuovo. Ogni giorno è racchiuso tra oriente e occidente: tra il sorgere del sole e il suo tramonto (occidente è “là dove il sole tramonta).
Dunque, l’invito del Signore, tramite il suo profeta, è guardare verso oriente, là dove sorgerà un nuovo giorno, e il giorno nuovo è la Sorpresa divina. Ad ogni sorgere del sole le speranze rinascono come augurio di una nuova vita.
Dio promette la risurrezione dopo ogni tramonto, dopo ogni disfatta, dopo ogni sconfitta: il male sembra vincente, in realtà ad ogni tramonto segue un’alba nuova.
Ma qui stavolta non si tratta di piccole o di naturali risurrezioni, come quando in seguito ad ogni caduta ci si rialza, tornando al posto di prima. No, qui il profeta annuncia una grande novità: “osserva la gioia che ti viene da Dio. Ecco, ritornano i figli che hai visto partire, ritornano insieme riuniti, dal sorgere del sole al suo tramonto, alla parola del Santo, esultanti per la gloria di Dio”.
Ecco, ritornano i figli che hai visto partire. I figli di chi? Di Gerusalemme, la città simbolo di ogni città santa, della città del bene, della città di Dio.
Nei testi profetici Gerusalemme è sempre simbolo della città ideale, a cui tutti prima o poi tornano. Non è Gerusalemme o Roma o Costantinopoli in senso fisico. È la Città che non ha porte per chiudere, ma è una Città aperta a tutti coloro che vogliono tornare.
Ogni volta che la politica o la religione chiude una città quasi per difendersi dagli stranieri che vogliono tornare, si estingue per quel sovranismo che impone chiusure. D’altronde, come si può concepire una umanità divisa tra patrioti e nemici della patria. Dire umanità è dire apertura a tutti, in quanto tutti siamo figli di Dio.
E allora possiamo dire che l’oriente è apertura totale, mentre l’occidente è agonia di chiusura. Quando apriamo la finestra e vediamo sorgere il sole, dovremmo sentirci rinascere perché le porte dell’infinito si aprono per noi, per tutti.
Ed ecco le prime parole del capitolo quinto. “Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre”.
Un esegeta chiarisce: “Gerusalemme è invitata a deporre la veste rituale del lutto e ad assumere quella gloriosa delle nozze: si parla infatti di manto e di diadema, considerati simbolicamente come segno dell’amore divino che trasforma la sua creatura, avvolgendola con la sua luce e la sua salvezza”.
Vi faccio notare che nel brano per ben sette volte si evoca il termine “gloria”, che indica la presenza luminosa, potente ed efficace di Dio. Come la sposa regina nel giorno delle sue nozze, Gerusalemme riceverà due nomi nuovi che ne rappresentano il destino a cui è avviata: “Pace di giustizia e Gloria di pietà”. Sono i grandi valori, di cui la Città santa dovrà essere testimone nel mondo e nella storia.
Anzitutto “Pace di giustizia” richiama il nome attribuito alla città in Isaia 1,26 («allora sarai chiamata “Città della giustizia”, “Città fedele”»). Indica che la pace di cui godranno gli ebrei e tutti i popoli della terra sarà frutto della giustizia che deve regnare nei rapporti umani. In modo analogo, il secondo nome assegnato alla città (“Gloria di pietà”) ricorda che la “gloria” è radicata nella pietà, cioè nel timore di Dio, che riassume i doveri del popolo di Israele nei confronti di Dio.
Ed ecco che ora la visione del profeta si fa maestosa. Il profeta immagina Gerusalemme, personificata come una donna, che si eleva a spiare l’orizzonte, in attesa del ritorno dei suoi figli dispersi per il mondo. Se ne erano andati, lontano dalla loro città, incalzati dai nemici, ora ritornano mentre Dio stesso si premura di approntare per loro una strada pianeggiante, simile alle “vie sacre” che precedevano i templi antichi, sulle quali incedevano le processioni dei fedeli. Anche nel libro di Isaia, precisamente nel Deutero-Isaia, troviamo immagini simili, riprese nel brano del Vangelo di oggi.
Ogni immagine ha la sua storia e un suo senso. Il profeta Baruc evidenzia la provvidenza di Dio che apre le strade al popolo che torna alla sua patria. Nel Vangelo di Luca, che riprende il testo di Isaia, è il profeta che invita il popolo a tornare alla essenzialità, togliendo ogni ostacolo alla venuta del Signore.
A me piace l’immagine della Città santa, personificata come una donna, che vede il ritorno dei suoi figli, già purificati, già essenziali per la sofferenza che hanno sopportato nella fede in quel Dio che, se punisce con l’esilio, riconduce poi in patria.
Forse si tratta di due visuali diverse: la visione dell’antico profeta è la gioia di un ritorno in patria, mentre Giovanni il Battista invita la folla a pentirsi moralmente per tornare al suo Dio. E per tornare a Dio bisogna vivere l’esperienza del deserto, che gli antichi ebrei avevano provato, prima di arrivare alla terra promessa, e anche a Babilonia, la città del male, dell’assenza di Dio.
Si torna a casa, ancora oggi. Si torna dall’esilio, dall’essere fuori casa. Ma ci si chiede se veramente la società di oggi, nel suo insieme, anche di credenti che dicono di credere nel Cristo risorto, non sia ancora in una alienazione carnale. Condurla nel deserto è necessario, per spogliarla di una carnalità esasperante. Solo così si torna a casa. Ma non basta ciò che predicava Giovanni il Battista. Forse è un inizio, solo un inizio. Poi capiremo la differenza radicale tra l’insegnamento di Cristo e del Battista. Cristo non ha predicato in senso moralistico. La morale cambia, quando cambia il modo di pensare. Il Battista battezzava con acqua, Cristo battezzerà in Spirito santo e fuoco. Sta qui la differenza radicale tra un battesimo rituale e il battesimo di fuoco, nello Spirito divino.

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