Né virgole né congiunzioni. I figli di WhatsApp arrivano all’università, ma non sanno più scrivere un testo complesso

da La Repubblica
18 DICEMBRE 2023

Né virgole né congiunzioni.

I figli di WhatsApp arrivano all’università,

ma non sanno più scrivere un testo complesso

di Emanuela Giampaoli
Errori di grammatica, punteggiatura sbagliata, povertà di lessico e poche letture: “Con chat e social i nostri ragazzi non sanno usare la lingua”. Lo studio guidato dal linguista Nicola Grandi in 45 atenei
Scrivono, costantemente. Messaggi brevi, spezzettati, arricchiti di emoticon. Frasi non per forza stringate ma immediate, ispirate dal momento, sollecitate dall’interlocutore. Con il risultato che nessuna generazione ha mai scritto tanto quanto i ventenni di oggi. Tra chat e social è un profluvio di parole quotidiane. Quando però devono dare forma a un testo complesso, si arenano. Anche gli studenti universitari. Si perdono nel mare della punteggiatura, tentennano nella sintassi.
È il risultato di uno studio che ha coinvolto 2.137 studenti di 45 atenei italiani. A guidarlo Nicola Grandi, ordinario di glottologia e linguistica a Bologna, capofila del progetto condotto insieme agli atenei di Pisa, Macerata e all’università per stranieri di Perugia. «Nel febbraio 2017 — spiega Grandi — una lettera inviata da seicento professori al presidente del consiglio, al ministro dell’istruzione e al parlamento denunciava le carenze linguistiche degli studenti, messi sotto accusa per l’italiano scritto con errori “appena tollerabili in terza elementare”. Il documento mi colpì, anche perché non si basava su alcun dato scientifico».

Una media di 20 errori in ogni elaborato

Così Grandi e il suo gruppo di lavoro sono voluti andare a fondo con il progetto Univers-Ita, la prima ricerca sistematica condotta in Italia sulle capacità di scrittura di chi è iscritto a un corso di laurea. A ogni partecipante è stato chiesto di redigere un testo formale tra le 250 e le 500 parole, un elaborato in cui si doveva mettere nero su bianco la propria esperienza durante il lockdown (era la primavera del 2021).
Gli scritti sono stati poi corretti in base a numerosi parametri, tra cui lessico, sintassi e punteggiatura. Con il risultato che per ogni elaborato sono presenti in media 20 errori, di cui la metà di punteggiatura.
«L’abitudine alla scrittura in ambito informale — osserva Grandi — sembra aver pervaso l’ambito formale. Una sorta di parlato digitato, con una assai limitata articolazione sintattica e una struttura dell’argomentazione abbastanza “spezzettata”».

La punteggiatura, questa sconosciuta

Testi carenti di sintassi, coerenza, scelte lessicali. E l’uso di punti e virgole ne è la manifestazione più evidente: «D’altronde la punteggiatura non è, come spesso si insegna, solo un fatto grafico, ha un forte valore testuale, cioè scandisce l’organizzazione del testo. Ed è risultata molto deficitaria».
D’altronde scorrendo i risultati della ricerca solo il 17,5% del campione legge più di dieci libri in un anno, mentre il 52% si cimenta a malapena con cinque volumi in 12 mesi. Altro dato sorprendente è che gli studenti di area scientifica sono più bravi nella redazione di un elaborato rispetto agli umanisti. E, più in generale, chi frequenta un ateneo del nord ha un lessico più variegato rispetto a chi è iscritto in un’università del centro Italia.
Nessuna sorpresa invece per quanto riguarda la provenienza: chi viene dal liceo se la cava meglio con le parole. E tra questi chi conosce lingue antiche fa in media 2,46 errori in meno. Da notare poi che il numero di strafalcioni commessi cala progressivamente passando da studenti provenienti dalla classe socioeconomica bassa a quelli di medio alta, per poi aumentare nuovamente tra chi appartiene ai ceti più agiati.

“Scuola e università devono insegnare a usare una lingua”

Quasi tutti — otto su dieci — dichiarano però di sentirsi abbastanza o molto sicuri nello scrivere. Senza però saper distinguere i contesti. «La grammatica che usiamo per redigere una tesi di laurea è diversa da quella che usiamo quando digitiamo un messaggio su WhatsApp. Ma saper usare una lingua significa proprio questo: compiere scelte adeguate alla situazione comunicativa. Che è quello che scuola e università dovrebbero insegnare, anche se quasi mai lo fanno».

La scrittura informale dei social

Secondo i dati emersi da una mappatura di 62 corsi di laurea sono infatti appena 14 gli insegnamenti finalizzati a rafforzare le abilità di scrittura. «Fino a pochi anni or sono, si producevano scritti quasi esclusivamente in un ambiente, per così dire, protetto e sorvegliato, cioè a scuola. Testi destinati ad essere corretti, progettati avendo ben presente che sarebbero stati “vagliati” e corretti. Le relazioni tra pari erano invece dominio incontrastato dell’oralità. E la scrittura informale, non pianificata, di fatto non esisteva. Oggi con la tecnologia siamo di fronte a uno scenario totalmente differente, con cui occorre confrontarsi».

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