Netanyahu spinge per un conflitto senza fine a Gaza

da Valigia Blu

Netanyahu spinge 

per un conflitto senza fine a Gaza

19 Marzo 2025
Israele ha ripreso gli attacchi su larga scala a Gaza con un’ondata di bombardamenti aerei e colpi di artiglieria su tutto il territorio già devastato. Secondo le autorità palestinesi, ci sono stati più di 400 morti e centinaia di feriti. Tra le vittime ci sarebbero alcuni alti funzionari di Hamas e molti civili, tra cui donne e bambini. Altre 58 persone sono state uccise in due attacchi successivi tra il 19 e il 20 marzo. Gli ospedali e le squadre di protezione civile dicono affermato di essere sopraffatti.
Israele ha anche emesso ordini di evacuazione per alcune parti della parte settentrionale e centrale di Gaza, facendo pensare anche a un attacco di terra. Centinaia, forse migliaia, di palestinesi nel territorio che solo di recente sono tornati alle loro case, spesso in rovina, sono di nuovo in movimento.
Erano settimane che il governo israeliano minacciava di lanciare un’offensiva. Le autorità israeliane hanno giustificato l’attacco dicendo che era loro obiettivo colpire la leadership di Hamas che secondo loro stava riprendendo il controllo di Gaza. Secondo loro, quest’azione favorirà il rilascio di altri ostaggi. Una supposizione contestata da molte famiglie di ostaggi israeliani.
Più concretamente, ricostruisce un articolo del GuardianIsraele ha potuto attaccare perché dopo settimane di tregua ha reintegrato scorte, munizioni e armamenti, in parte grazie alle forniture statunitensi. Gli aerei e altre attrezzature sono stati riparati. Le truppe si sono riposate.
Perché l’attacco è avvenuto proprio adesso? Secondo l’opinione di alcuni esperti, ci sono almeno tre motivazioni: la prima è che Netanyahu non ha mai avuto alcuna intenzione di passare alla seconda fase del cessate il fuoco, che avrebbe significato il ritiro delle forze israeliane da Gaza, lasciando di fatto Hamas come governatore de facto; poi, c’è il pieno sostegno dell’amministrazione Trump per rinnovare gli attacchi contro Hamas; infine, ci sono i fattori politici interni, considerato che Netanyahu aveva bisogno del sostegno degli alleati di destra per mantenere la sua leadership e questi alleati si erano fortemente opposti a una fine permanente delle ostilità a Gaza.
“Il governo israeliano non ha mai nascosto il suo desiderio di ricominciare la guerra”, scrive Dahlia Scheindlin su Haaretz. “Per mesi è stato chiaro che questo governo avrebbe alla fine chiesto agli israeliani di tornare a combattere, attraverso una vera e propria ripresa della guerra, per attuare i suoi piani di sgombero di Gaza o per eseguire l’occupazione di Gaza”, nonostante un sondaggio di fine febbraio da parte dell’Israel Democracy Institute aveva rilevato che quasi il 75% degli intervistati era a favore dell’avvio della seconda fase del cessate il fuoco concordato a gennaio, e solo un quarto (24%) era a favore di un ritorno a intensi combattimenti. “Netanyahu vuole una guerra infinita a Gaza che la maggior parte degli israeliani non vuole più combattere”, conclude Scheindlin.
Nei giorni scorsi un rapporto della Commissione d’inchiesta internazionale indipendente delle Nazioni Unite sul Territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme Est, presentato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha descritto in dettaglio la violenza sessuale e riproduttiva di Israele: come l’uccisione di donne incinte, lo stupro di detenuti maschi con oggetti che vanno dalle verdure ai manici di scopa, la distruzione di una clinica di fecondazione in vitro con i suoi 4.000 embrioni. La guerra alla capacità dei palestinesi di riprodursi è stata definita “atto di genocidio”.
Il rapporto descrive in dettaglio gli attacchi ai reparti di maternità e ad altre strutture sanitarie per le donne, la distruzione di una clinica di fecondazione in vitro e i controlli sull’ingresso di cibo e forniture mediche a Gaza. Queste azioni sono state equiparate a “due categorie di atti di genocidio nello statuto di Roma e nella convenzione sul genocidio, tra cui l’imposizione deliberata di condizioni di vita volte a provocare la distruzione fisica dei palestinesi e l’imposizione di misure volte a prevenire le nascite”, ha dichiarato il Consiglio per i diritti umani in un comunicato stampa sul rapporto.
Inoltre, secondo quanto riportato dal rapporto, le forze di sicurezza israeliane hanno costretto i palestinesi a spogliarsi forzatamente e a subire molestie comprese le minacce di stupro e le aggressioni sessuali. Il “modello di violenza sessuale” utilizzato dalle forze israeliane, compresi i casi di stupro e di tortura sessuale, costituisce un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità, ha rilevato la commissione che ha aggiunto: “La frequenza, la prevalenza e la gravità dei crimini sessuali e di genere perpetrati in tutto il Territorio Palestinese Occupato portano la commissione a concludere che la violenza sessuale e di genere è sempre più utilizzata come metodo di guerra da Israele per destabilizzare, dominare, opprimere e distruggere il popolo palestinese”.

E ora?

Questo attacco sembra aver compromesso ogni possibilità di fine delle ostilità iniziate a ottobre 2023. La nuova offensiva è arrivata 16 giorni dopo la fine delle prima delle tre fasi del cessate il fuoco concordato a gennaio. Le tre fasi avrebbero dovuto portare alla fine definitiva della guerra, al ritiro totale di Israele da Gaza e alla liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora tenuti prigionieri da Hamas dal suo attacco a sorpresa del 7 ottobre 2023 in Israele in cui sono state uccise 1.200 persone. L’offensiva israeliana, seguita a quell’attacco, ha ucciso più di 48.700 persone.
Hamas sostiene che Israele abbia rotto l’accordo non mantenendo l’impegno preso in precedenza di passare alla seconda fase. Israele ha invece proposto di prolungare la prima fase di 30-60 giorni, per consentire il rilascio di altri ostaggi in cambio di prigionieri palestinesi. Hamas ha respinto la proposta. Il governo israeliano sostiene che Hamas abbia rotto il cessate il fuoco rifiutando il rilascio di nuovi ostaggi.
La triste realtà è che la fragile pausa di due mesi delle ostilità è ormai finita. Sembra molto improbabile che si possa raggiungere presto un accordo che ponga fine ai nuovi attacchi israeliani. Anzi, i funzionari israeliani hanno affermato che si tratta solo dell’inizio di un’offensiva potenzialmente molto più ampia che continuerà fino a quando Hamas non rilascerà i 59 ostaggi israeliani ancora trattenuti a Gaza, di cui si presume che più della metà siano morti. Ciò comporterebbe inevitabilmente un numero considerevole di vittime civili, ulteriori sfollamenti di massa e ancora più distruzione.
La crisi umanitaria a Gaza è stata solo in parte alleviata da un massiccio afflusso di aiuti durante il cessate il fuoco. Due settimane fa, Israele ha imposto un blocco totale sul territorio, sostenendo che Hamas stava sfruttando gli aiuti a proprio vantaggio e aveva violato l’accordo. Circostanza negata da Hamas. Secondo i funzionari umanitari, le agenzie umanitarie e i negozi a Gaza hanno attualmente scorte di generi di prima necessità che dureranno circa tre settimane, ma la nuova violenza renderà la distribuzione molto più difficile.

Se tutti coloro che tacciono sulla distruzione di Gaza parlassero

Nessun crimine è stato documentato come quelli commessi dagli israeliani a Gaza, scrive Owen Jones in un editoriale sul Guardian. Eppure in pochi stanno chiamando questo crimine così evidente per quello che è. Le generazioni future potrebbero chiedersi: “Come è stato possibile che un crimine così osceno sia stato facilitato per così tanto tempo?”
Lo hanno documentato gli esperti. Rapporto dopo rapporto, sappiamo che Israele ha distrutto infrastrutture civili: case, ospedali, scuole, università, moschee, chiese; ha distrutto l’83% di tutta la vita vegetale, oltre l’80% dei terreni agricoli, il 95% del bestiame, oltre l’80% delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie. Israele ha deliberatamente e sistematicamente reso Gaza inabitabile.
Grazie ai telefoni cellulari e a Internet, nessun crimine nella storia è stato documentato così bene dalle sue vittime mentre accadeva. Come hanno fatto per 529 giorni, i sopravvissuti di Gaza pubblicano le prove del loro sterminio sui social media, sperando, invano, che si risveglino abbastanza coscienze da porre fine al caos genocida. Un bambino morto in una tutina arcobaleno; un padre in lutto che gioca con la treccia di sua figlia per l’ultima volta; intere famiglie coperte di sudari, le loro linee di sangue cancellate dal registro civile.
E nessun crimine è stato confessato dai suoi autori come questo. Israele ha annunciato un blocco totale di tutti gli aiuti umanitari in arrivo a Gaza 17 giorni fa, una violazione incontrovertibile del diritto internazionale.
Da Amnesty International a studiosi come Omer Bartov, il professore israelo-americano di fama mondiale di studi sull’Olocausto e il genocidio, c’è un consenso tra gli specialisti del settore sul fatto che Israele stia commettendo un genocidio. Nessuno nella politica occidentale o nei circoli mediatici può dire: “Non sapevo cosa stesse realmente accadendo”.
In un mondo razionale, i sostenitori di questo abominio sarebbero considerati mostri che non hanno posto nella vita pubblica. “Dopotutto, non si può giustificare il genocidio ruandese e aspettarsi qualcosa di diverso dall’essere considerati dei paria. Ma sono stati proprio coloro che si sono opposti alla depravazione di Israele a essere stati messi a tacere, censurati, licenziati, arrestati e, nel caso del laureato della Columbia Mahmoud Khalil, detenuti e potenzialmente deportati”, scrive ancora Owen Jones.
“Capovolgendo tutto, l’attacco più sfacciato e sistematico alla libertà di parola in occidente dai tempi del maccartismo ha raggiunto il suo obiettivo principale: un silenzio diffuso su un crimine di proporzioni storiche tra coloro che hanno potere e influenza. Ci sono politici che hanno chiamato inequivocabilmente questo crimine per quello che è, ma sono emarginati e puniti”.
Se tutti coloro che sono a conoscenza di quello che sta accadendo a Gaza si facessero sentire “i ministri si dimetterebbero dai governi, i giornali e i notiziari non solo darebbero risalto alle atrocità commesse da Israele, ma le definirebbero correttamente come crimini efferati, sottolineando con insistenza che bisogna fare qualcosa di drastico per fermarli. Le richieste di un embargo sulle armi e di sanzioni contro Israele diventerebbero impossibili da ignorare”, osserva ancora Own Jones.
“Porre fine al silenzio non significa piangersi addosso e dire banalità su quanto si sia tristi per la morte dei civili: significa chiamare un crimine per quello che è e chiedere che chi lo ha facilitato ne risponda”.

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da AVVENIRE
19 marzo 2025
Medio Oriente.

Il parroco di Gaza:

«Le bombe, un incubo per i 500 civili 

che ospitiamo»

Lucia Capuzzi
Padre Gabriel Romanelli racconta la nuova offensiva di Israele sulla Striscia. «Non c’è nessun luogo sicuro, eppure restano tutti qui con noi». Il grazie a Francesco: ci dà speranza tra le macerie
«Ci ha svegliato il tonfo delle bombe. Non lo sentivamo da due mesi. Ma il rumore è inconfondibile. Siamo balzati in allerta. Alcuni ordigni sono caduti molto vicini, a circa trecento metri. Grazie a Dio, stiamo bene. Non siamo stati colpiti nemmeno dalle schegge. Ma la gente è sgomenta. Ci giungono notizie di operazioni ovunque, centinaia di morti, un migliaio di feriti. Nessuno sa quello che accadrà. Non vogliamo nemmeno pensare alla ripresa della guerra…».
Nella concitazione generale, la voce di padre Gabriel Romanelli resta pacata. È fondamentale per cercare di alleviale l’angoscia della comunità. Cinquecento cristiani, cattolici e ortodossi, diverse decine di disabili, anziani e bambini, assistiti dalle suore di Madre Teresa che, ammassati, ormai da diciassette mesi, nel complesso della parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza City. Nelle ultime otto settimane di “silenzio” delle armi, una ventina di famiglie aveva cercato di tornare ai propri villaggi, sistemandosi in quello che era rimasto della propria dimora o da parenti. Ora, però, tanti si sono affrettati a tornare alla chiesa. «Si sentono più protetti qui, anche se non c’è alcun luogo sicuro nell’enclave. Ma questa è ormai la loro casa – dice ad Avvenire il sacerdote del Verbo Incarnato, in uno spagnolo dall’inconfondibile accento argentino ¬–. E quando si ha paura, si va a casa».
La gente ne ha tanta: ieri è stato un giorno lungo per la Striscia. Il più lungo dal 19 gennaio. E, addirittura, il più cruento dal novembre 2023: almeno 404, secondo i dati del ministero della Sanità, controllato da Hamas. «Per placare l’ansia, nella parrocchia, cerchiamo di tenere le persone occupate, soprattutto giovani e bimbi». Nella pagina Facebook, che la Sacra Famiglia utilizza per comunicare con il mondo, scatti e video narrano la vita quotidiana degli sfollati, tra gruppi di cucito, maglia e creazione di piccoli oggetti con il poco disponibile. Gli aiuti del Patriarcato di Gerusalemme, hanno, però, consentito di andare avanti e di supportare i civili della zona.
Padre Gabriel si è inventato perfino una scuola per i ragazzi della parrocchia. Ieri, però, non c’è stata lezione. «A causa della situazione. Erano troppo scossi». Eppure, anche in questo momento di nuova difficoltà come nel precedente anno e mezzo, il “piccolo gregge” della Sacra Famiglia riesce a non cedere alla disperazione. «Grazie alla preghiera costante. E alla vicinanza di papa Francesco. Non posso descrivere con le parole quanto sia importante il suo sostegno continuo. È la nostra principale fonte di consolazione. Anche durante la prova della malattia, ci ha chiamato dal Gemelli. È stato bello sentire la sua voce: nella sofferenza, ha pensato a noi. La gente qui lo considera un amico. Preghiamo per lui, per il suo pieno recupero, ogni giorno».
Un affetto più volte manifestato. Appena qualche settimana fa, il sacerdote e i fedeli hanno voluto inviargli, sempre via Facebook, un filmato di auguri per una pronta guarigione. «Shukra, shukran», cioè grazie, in arabo, ripetono. «La preghiera ci unisce, scavalcando ogni muro. Lui prega per noi, noi per lui e insieme preghiamo per la pace. Non Che questo frammento di Terra Santa, come tutta la Palestina e Israele possano finalmente vivere in pace».

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