21 aprile 2019: PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE
At 1,1-8a; 1Coir 15,3-10a; Gv 20,11-18
Domenica: Dies Domini
È già fuorviante parlare di festività pasquale, come se tutto si riducesse alla solennità di un giorno. È vero che si tratta del “Giorno del Signore” per eccellenza, ”Dies Domini”, da qui la parola “domenica”. Ed è vero che ogni domenica (non come termine ma come inizio della settimana) è la commemorazione liturgica della Pasqua. Per questo la Chiesa, fin dall’antichità, ha stabilito la domenica come giorno di precetto per la partecipazione alla Messa da parte di ogni cristiano.
Ma, in ogni caso, è difficile far capire che il giorno del Signore non è qualcosa come parte del tempo, ma è l’Eterno presente di Dio.
Possiamo anche partecipare ogni giorno alla Messa, ma la Messa resterà comunque sempre legata ad un determinato tempo.
Possiamo anche parlare di Messa cosmica, ma, sommando i tempi e i luoghi della terra, ciò non potrà mai dare l’idea dell’Eterno, anzi avremo dell’Eterno una concezione falsa, come se fosse l’insieme di tempi prolungati fin dopo la fine del mondo.
Non voglio soffermarmi sulla distinzione tra tempo ed eternità, ma vorrei solo far capire, almeno far intuire, che il Mistero di Dio – la Pasqua fa parte di questo Mistero – non è legato in nessun modo al tempo che passa, ma è l’Eterno presente.
Già dire presente o presenza è dire qualcosa che rimane, non è qualcosa che passa e ritorna. Ecco la Liturgia divina, a differenza della liturgia della Chiesa che è un insieme di riti ripetitivi che vanno e tornano secondo determinate scadenze del tempo.
Domani, giorno dell’angelo, diremo: “è già passata Pasqua!”, e siamo già nel “dopo Pasqua”, anche se lo chiamiamo “tempo pasquale”, quasi a voler continuare nel tempo il Mistero pasquale. Fra un anno, la Pasqua tornerà di nuovo, e così via.
La Chiesa stessa parla di cicli liturgici: commemorazioni di eventi che vanno e tornano, nel tempo che passa.
La Pasqua, in quanto Mistero divino, è presente in ogni momento, in tutta la sua unitarietà di passione, morte e risurrezione. Anche qui attenzione: non si tratta di tre realtà che si susseguono una dopo l’altra: prima c’è il dolore, poi c’è la morte e infine c’è la risurrezione.
Certo, nell’altra vita, sarà solo risurrezione. Ma, qui sulla terra, siamo soggetti ad una complessità di aspetti che sembrano tra loro distinti nel tempo cronologico.
Ma come tutto è morte in una precarietà esistenziale che ci consuma nel tempo che passa (anche il tempo è morte), così tutto è vita, se viviamo ogni istante come se fosse eterno, per la presenza dell’Eterno che è Dio.
Ho fatto una lunga premessa, magari un po’ contorta, ma per dire una cosa semplice: il Mistero pasquale ci coinvolge anche nel tempo, ma senza farsi condizionare dal tempo. La liturgia in questo non sempre ci aiuta, perché carica troppo dei suoi riti anche emotivi e suggestivi, come quelli della Settimana santa, un Mistero divino, ma senza magari farci cogliere il cuore del Mistero.
La vita: tragedia e risurrezione
Ogniqualvolta si partecipa ai riti della Settimana santa, si ha l’impressione che a prevalere sia l’aspetto tragico della vita, e nessuno vorrebbe negare che l’aspetto drammatico abbia un peso quasi preponderante, e si ha l’impressione che l’alleluia sia la gioia di un giorno, anche meno, passato il quale tutto torna nella normalità di una vita alle prese col dolore e la morte o, diciamo più in generale, con il tempo che sembra chiudere ogni porta e ogni finestra sull’Eterno.
Anzi, sembra che – forse è solo una mia impressione – la Pasqua liturgica sia solo una parentesi che si apre e si chiude, ogni anno, al termine della Quaresima. E anche la Quaresima, pur essendo un periodo di quaranta giorni, non sembra abbia ancora quel peso diciamo ascetico ed educativo, in vista di quella riscoperta della essenzialità, che è anche l’essenza del Mistero pasquale.
Riflettiamo
Riflettiamo per qualche istante, ponendoci qualche domanda anche provocatoria.
Anzitutto, che cos’è la Pasqua per me? Eppure, dovrebbe essere come la qualifica del mio essere cristiano. Come si può pensare un cristiano al di fuori del Mistero pasquale? L’ha detto l’apostolo Paolo: se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede, ovvero io non esisto come cristiano.
Ma la risurrezione include la passione e la morte: Cristo non poteva risorgere, senza prima morire. Potrebbe sembrare una verità banale o elementare, ma non lo è. Se il cristiano, come dicevo, per sua natura è un essere pasquale, ciò significa che la sua esistenza è un continuo passaggio dalla morte alla vita. La parola “pasqua” in aramaico significa passaggio.
Possiamo dire che ogni azione che compio include un aspetto di morte: se non altro la compio in un determinato tempo che passa. Ma una cosa che finisce definitivamente nella morte non ha senso né umano né cristiano; il senso sta nel passaggio dal morire al vivere.
Anche qui attenzione alle parole. Spesso confondiamo le due parole: esistenza e vita. Di per sé esistere non significa vivere. Perché il non esistere si trasformi in un vivere, occorre capire e vivere il Mistero pasquale.
Allora la Pasqua non è tanto una festività liturgica legata ad una giornata, ma è il mio vivere da cristiano, minuto dopo minuto. Un conto è una esistenza che è un morire nel tempo che consuma anima e corpo, un conto è il vivere l’Eterno presente.
Non ci chiediamo perché, nonostante tutto, quando ci sembra di essere dei falliti, rimane in noi quella forza di volontà e quella fede nella vita che umanamente sarebbe inspiegabile? Lo stesso ottimismo che cos’è, se non la fede nella risurrezione?
Un filosofo, non conosco il nome, ha scritto: “Noi sappiamo bene che moriremo, ma non lo crediamo”.
Cristo, mentre moriva, donava lo Spirito santo. Così dovrebbe essere per noi. Ogni volta che moriamo in qualcosa (il dolore che cos’è se non morte?), noi inspiriamo lo Spirito santo, che il Cristo ci ha donato sulla croce. Possiamo ben dire che sulla Croce è già presente la Risurrezione e la Pentecoste.
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