Non chiedetemi se il mio sia un chiodo fisso…

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Non chiedetemi se il mio sia un chiodo fisso

Non chiedetemi se il mio sia un chiodo fisso: contestare ogni giorno o quasi l’attuale vescovo di Milano, Mario Delpini.
Oggi dire chiodo fisso è dire qualcosa di patologico per ciò che non va normalmente, che è eccessivo e che può procurare danni al proprio stato di salute, o che rivela qualcosa di paradossale che non risolve nulla, anzi scredita solo l’immagine di un vescovo che, pur in tutte le sue debolezze, resta fedele a quel piano di un Dio, che usa anche gli scarti per rivelare le sue Sorprese.
Non mi interessa che qualcuno riduca il mio contestare come se fosse solo un mio chiodo fisso. In realtà la domanda è un’altra: come mai me la cacci così tanto? perché?
Non ci sarebbe un’altra questione, ben più grave del mio caso eventualmente patologico per il mio eccessivo cacciarmi per qualcosa che non va nella diocesi milanese?
Se me la caccio così tanto non è perché in Diocesi ci sia una preoccupante e generale sudditanza, che chiamerei menefreghismo opportunista o vigliaccheria di un clero che, pur conscio di ciò che succede, preferisce tacere per difendere il suo posto, che gli garantisce un mensile, con casa e relative comodità?
Ma c’è di più. Una domanda: me la caccio solo per “cacciare” (scusate il gioco di parole!) dalla diocesi un inetto, oppure, proprio perché inetto, il tizio sta procurando danni al bene comune della Diocesi, già da anni sulla china dello sfacelo?
Farei eventualmente più danni io verso la figura di un vescovo, che, nonostante tutto, è pur sempre un ministro di Dio, messo sulla cattedra di Sant’Ambrogio, o i danni, oltre il tizio, non li farebbe una comunità silente e vigliacca?
È forse peccato il mio seccante cacciarmi per il bene di una Diocesi che sotto gli occhi di tutti sta andando a rotoli?
Ma… che cosa otterrei, con il rischio di essere tacciato di disumanità, di irriverenza, di disobbedienza?
Non mi pongo mai questa domanda: lotto, e basta! Se l’avessi posta subito, dagli inizi del mio ministero pastorale, ora sarei un anonimo membro della massa di vigliacchi.
Ma forse dovrei chiarire. A quei tempi, negli anni della mia gioventù sacerdotale, la mia lotta era diversa. Comunque, anche allora lottavo ero dissidente, battagliero, oltre le righe, ma non mi sarei mai immaginato di arrivare ai nostri giorni, in cui assistiamo a qualcosa di allucinante: capi politici e guide religiose che sembrano pagliacci irrecuperabili. Ma allora non eravamo soli: c’era una comunità sveglia, creativa e aperta, giovani eccessivamente esuberanti ma con il fuoco dentro, anche geni che ci facevano ben sperare.
E oggi? Solo ombre, nebbia, disorientamento generale, profezia spenta, per di più una prolificazione allarmante di pseudo profeti o guru o leader indiscussi, pericolosi, in ogni campo, anche in quello religioso ed ecclesiastico.
Pur se costretti a vivere in valle, vedevamo splendere lassù, in cima a qualche montagna o collina, un monastero con le luci sempre accese, quando di notte avevamo qualche incubo per paura di condanne o di anatemi da parte di una Chiesa sempre pronta a lanciare i suoi anatemi contro gli spiriti ribelli.
E oggi? Vendono tutto, anche i monasteri, anche i luoghi o case di spiritualità, a causa di una cecità pastorale di un mercenario, che ha il cervello sconnesso da un fare e strafare da trottola impazzita.
Sì, a che serve urlare o contestare fuori decenza istituzionale, se poi i pazzi continuano a fare i… pazzi?
È questione di fede! Non mi limito solo a sperare. Credo che tutto si ribalterà, anche se non ci sarò a dire: Avevo ragione!
21 giugno 2025
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