Omelia di don Giorgio: Ottava dopo Pentecoste 2012

22 luglio 2012: Ottava dopo Pentecoste

Gdc 2,6-17; 1Ts 2,1-2.4-12; Mc 10,35-45

Il primo brano della Messa è tolto dal libro dei Giudici. Troviamo già quel comportamento del popolo eletto, che costituirà la costante che segnerà la storia d’Israele. C’erano periodi in cui gli ebrei erano fedeli all’Alleanza, e allora Dio mostrava loro i suoi favori; e vi erano momenti in cui essi adoravano le divinità pagane, e allora Dio li puniva. Li puniva per farli rientrare nella fedeltà all’Alleanza. Una punizione pedagogica, in vista di una redenzione, di un ravvedimento, di una conversione. Mai una punizione vendicativa.
Come mai questa alternanza di fedeltà e di tradimenti? La Bibbia ne spiega anche la causa: il benessere materiale. Quando il popolo stava bene dal punto di vista materiale, allora egli dimenticava Dio; quando stava male, allora tornava al Signore. Non ci comportiamo così anche noi? Si dice che durante le guerre le chiese si riempiono. Ma appena appare il boom economico, cominciano a svuotarsi. Prendiamo Dio quando ci fa comodo. Quando le cose vanno a gonfie vele, allora facciamo a meno della religione. Non è così?
A un certo punto Dio suscita i Giudici per liberare il suo popolo dai nemici esterni. Chi erano questi Giudici? Erano condottieri carismatici, il cui ruolo però si limitava abitualmente al periodo di emergenza. Finita l’emergenza, tornavano alla vita normale. Che strano! Che bello! Strano, perché difficilmente troviamo un condottiero che salva un popolo, e poi torna a zappare la terra. C’è stato qualcosa di simile, ma caso raro, anche durante l’impero romano. Se anche i nostri parlamentari imparassero questa lezione di servizio occasionale o d’emergenza! L’abitudine, tipicamente italiana, è di tutt’altro genere: prendi una carica, e non la molli più. E anche quando sei costretto, per età o per altri motivi, a lasciarla, il potere rimane attaccato alla persona fino alla sua morte. Finito l’incarico, non sarebbe bello che si tornasse al punto di partenza? Senza compensi, senza titoli, senza carriera, perfino senza amicizie che contano?
Ciò che mi ha sempre colpito di questi Giudici era il loro carisma che normalmente rimaneva nascosto, ma che, nei casi di emergenza, usciva allo scoperto, e veniva messo a disposizione della comunità o del bene comune. Credo che ognuno di noi abbia dentro, nascosta, una energia quasi repressa, oppure del tutto sconosciuta: sconosciuta a noi stessi. Basta una emergenza, e si scoprono energie vitali impensabili. È quanto succede ad esempio durante le emergenze cosiddette naturali: terremoti, frane ecc. È allora che si vede il popolo italiano “migliore”. È vero che siamo sempre in emergenza, per cui dovremmo ogni giorno saper disseppellire “il meglio” che c’è in noi. Ed è vero che basta poco, un po’ di falso benessere, per chiudere questo “meglio” nella tomba dell’egoismo. 
Nel secondo brano della Messa troviamo una commovente autodifesa di San Paolo. Dobbiamo ricordare che l’apostolo non si limitava a confortare i cristiani già formati, ma andava ad annunciare il Vangelo nelle città più pagane. E le città ancora più refrattarie, più chiuse alla Buona Novella, erano quelle dove si mescolavano tutte le correnti religiose e filosofiche del tempo. Là dove ci sono i miscugli, è difficile annunciare la Verità radicale. Era già la moda di allora: fare delle varie religioni una specie di cocktail. Una moda sempre attuale. San Paolo si auto-presenta come diverso dagli altri maestri che cercano consenso, onori e anche profitto. Paolo è il messaggero di Cristo.
Ci tiene a difendere la purezza della sua missione. Non lo fa per vantarsi, come potrebbe al momento sembrare. Non è tanto orgoglioso delle sue forze o del suo operato, quanto di servire il Signore senza farsi condizionare da altri motivi poco nobili, e senza scendere a compromessi. Caratteri così tenaci e così fedeli alla causa del Vangelo non possono che essere radicali, giudicati magari eccessivamente duri, intoccabili, inflessibili. Con la scusa di saper comprendere tutti, di essere disponibili, misericordiosi, non si rischia forse di venir meno alla radicalità del Vangelo? Anche Cristo è stato misericordioso, ma con i deboli, non con i potenti o con i ricchi. Certo, era amico anche dei ricchi (pensate a Zaccheo) e dei capi (pensate a Nicodemo), ma il suo intento era quello di convertirli. Non mi pare che la Chiesa abbia capito questa lezione: anche oggi va nelle case dei ricchi per ricevere favori, o per scambiarsi privilegi, senza guardare troppo per il sottile, ingoiando anche rospi velenosi. E così la Chiesa crede di servire meglio il regno di Dio! Meglio, ovvero ingigantendo la propria struttura, dimenticando che più la struttura s’ingrossa, più lo Spirito santo emigra altrove.
San Paolo, nel brano di oggi, rivendica la sua purezza d’intenti, rivendica il proprio attaccamento al Vangelo senza condizionamenti, senza cercare piaceri dagli uomini, ma unicamente servendo il Signore. Non si è approfittato della sua missione per cercare la propria gloria, per fare carriera, per ricevere favori dal potere. E neppure per cercare il consenso tra la gente. Annunciava la Parola di Dio, senza volerla mediare per evitare di urtare la suscettibilità della comunità cristiana, o per fare proseliti tra i pagani.
Questa radicalità evangelica non ha reso duro o insensibile il cuore dell’apostolo: “siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli”. E, alla fine del brano, cita anche il padre: “come un padre fa verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi”. E come i genitori,  per amore dei figli, sono pronti anche al martirio, così Paolo era disposto a dare la propria vita: “Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il Vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita”. Questi genitori moderni che apparentemente vogliono essere tanto amorevoli verso i loro figli da accontentarli in tutto, non comprendono che, facendo così, li rovinano. Fermezza e amorevolezza, mente e cuore, saggezza e comprensione, pazienza e attenzione premurosa: come conciliarli per il vero bene dei figli?
San Paolo era arrivato al punto di lavorare anche fisicamente per mantenersi, senza perciò fare affidamento unicamente sul proprio ministero, senza tuttavia trascurare l’annuncio del Vangelo. Lo ha fatto “per non essere di peso” alla comunità. Qui le cose da dire sarebbero tante. Le pagine che la Chiesa ha scritto sono parecchio vergognose. Pagine che continua ancora oggi a scrivere. Mi chiedo dove la gratuità di Dio sia finita. Mi chiedo come Dio abbia potuto convivere con le forme peggiori della simonia ecclesiastica. Tutto abbiamo messo in commercio: a parte i beni sacri, anche le anime. Abbiamo venduto le messe, i sacramenti, la stessa grazia di Dio. Ogni cosa che si fa in questo Regno di Dio ha un suo costo, e poi predichiamo bene sulla spiritualità o sull’altruismo o sulla gratuità. Da una parte ci sono documenti ecclesiali di alto livello, opere stupende di spiritualità, libri di preghiere d’ogni tipo, e poi a che cosa assistiamo? Al commercio della fede! Anche il prete deve vivere, e se vuole essere al servizio pieno della comunità non può certo andare al lavoro.
Ma i preti moderni – guardo all’oggi, e non al passato – credono o non credono alla gratuità del servizio ministeriale, dando anzitutto loro il buon esempio di una vita al servizio pieno della comunità? Una volta, quando ero giovane seminarista, ci ripetevano che il vero ministro di Cristo deve sempre essere pronto a farsi mangiare dalla gente. Del resto, Cristo stesso, prima di compiere il miracolo della moltiplicazione dei pani, aveva detto agli apostoli. “Date loro voi stessi da mangiare!”.
Il brano del Vangelo torna sulle esigenze di un vero ministro di Cristo. Gesù ha rimproverato i due fratelli, Giacomo e Giovanni, perché gli avevano chiedo di poter sedere, nell’aldilà, nel nuovo regno, uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra. Questi discepoli che cosa avevano capito dell’insegnamento del Maestro? Gesù prende l’occasione per ribadire ciò che lui intende per potere e ciò che lui intende per servizio. Non era la prima volta che parlava dei potenti. Tessendo l’elogio di Giovanni il Battista, aveva detto: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?… Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi del re”. Ora Gesù è ancora più esplicito: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono”.  Gesù non aveva una bella opinione del potere e dei potenti. Ed è per questo che nei suoi insegnamenti ai discepoli insisteva nel far capire i rischi, i pericoli, le insidie del potere e dell’autorità, anche nel campo religioso. Chi non ricorda le invettive contro gli scribi e i farisei, che dall’alto della loro cattedra non facevano altro che opprimere la povera gente con inutili pesi? Anche nelle curie romane e diocesane papi, cardinali, vescovi e preti d’ogni specie portano vesti sontuose e vivono nel lusso. Impongono le virtù eroiche al popolo di Dio, mentre loro razzolano male. Anche nei suoi apparati esteriori la Chiesa dovrebbe spogliarsi di ogni lusso. Vivono nel superfluo, e comandano. Loro non conoscono la crisi, e lasciano morire di fame popolazioni intere.
Anche le nostre comunità cristiane, ora che i preti diminuiscono e che per forza di cose sono guidate dai laici, dovrebbero finalmente capire la lezione di Cristo sul servizio, dopo che per millenni non hanno fatto altro che contestare l’autoritarismo clericale. Ho una brutta impressione: dopo duemila anni di cristianesimo, qualcosa si è mosso tra il clero. Dico qualcosa. Il clero cioè sta capendo che non ce la fa più a tenere a bada il gregge con il bastone. Ma questo poco che si è guadagnato delegando ai laici delle responsabilità, lo si sta perdendo con la rivincita dei laici che si stanno prendendo il potere, talora nelle sue forme peggiori, quelle forme che da tempo il clero ha abbandonato. Anche qui forse è colpa ancora nostra, di preti che, dopo secoli di potere, si sentono ora falliti per non aver educato il popolo ad assumersi le loro responsabilità, secondo l’insegnamento evangelico del servizio gratuito. Ripeto, il clero per forza di cose ha mollato il potere, ma questo potere è finito nelle mani di un laicato che sta rifacendo gli stessi errori del clero autoritario. Due parole potrebbero salvare la Chiesa e il mondo intero: servizio e bene comune. Nel contesto della gratuità. Come siamo lontani!         

 

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