Mattarella: «Dal Codice di Camaldoli un’ispirazione per la Costituzione»

da www.avvenire.it

Sergio Mattarella:

«Dal Codice di Camaldoli un’ispirazione

per la Costituzione»

Sergio Mattarella giovedì 20 luglio 2023
Il testo inviato dal presidente della Repubblica ai settimanali cattolici della Fisc in occasione del convegno per gli 80 anni del documento
Pubblichiamo il testo integrale del messaggio inviato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella a tutti i settimanali cattolici della Fisc in occasione del convegno organizzato dalla Conferenza episcopale italiana, dalla Comunità di Camaldoli, dalla Conferenza episcopale toscana, da Camaldoli Cultura e da Toscana Oggi per gli ottant’anni del Codice di Camaldoli, il documento redatto dal 18 al 23 luglio 1943 da un gruppo di intellettuali cattolici, molti dei quali furono poi padri costituenti. Il convegno si apre venerdì 20 luglio alle 16, alla presenza del presidente Mattarella e con la prolusione del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. Si chiude domenica 23 con la Messa alle 11.30 presieduta dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede.
Quando un regime dittatoriale, come quello fascista, giunge al suo disfacimento, a provocarlo non sono tanto le sconfitte militari, quanto la perdita definitiva di ogni fiducia da parte della popolazione, che misura sulla propria vita il divario tra la realtà e le dichiarazioni trionfalistiche.
Si apre, in quei giorni, una transizione, a colmare la quale la tradizionale dirigenza monarchica palesa tutta la sua pochezza, dopo il colpevole tradimento delle libertà garantite dallo Statuto Albertino. In quel luglio 1943, nel momento in cui il suolo della Patria viene invaso dalle truppe ancora nemiche, mentre il Terzo Reich si trasforma rapidamente da alleato in potenza occupante, entrano in gioco le forze sane della nazione, oppresse nel ventennio della dittatura. La lunga vigilia coltivata da coloro che non si riconoscevano nel regime trova sbocco, anche intellettuale, nella preparazione del “dopo”, del momento in cui l’Italia sarebbe nuovamente risorta alla libertà, con la successiva scelta dell’ordinamento repubblicano.
Trova radice in questo l’esercizio di Camaldoli, voluto dal Movimento laureati cattolici e dall’Icas, l’Istituto cattolico attività sociali. Siamo nel pieno di una svolta: nel maggio 1943 le truppe dell’Asse in Tunisia si arrendono, ponendo fine alla campagna dell’Africa del Nord; il 10 luglio avviene lo sbarco delle truppe Usa in Sicilia. Il 19 luglio l’aviazione alleata dà avvio al primo bombardamento su Roma per colpire lo scalo ferroviario di San Lorenzo, con migliaia le vittime. Il 24 luglio sarà lo stesso Gran Consiglio del fascismo a porre termine all’avventura di Mussolini. Il convegno di Camaldoli si conclude il giorno precedente, mostrando di aver saputo avvertire il momento cruciale della svolta della storia nazionale.
Oggi possiamo cogliere il valore della riflessione avviata sul futuro dell’Italia e lo sforzo di elaborazione proposto in quei frangenti dai circoli intellettuali e politici che non si erano arresi alla dittatura. Dal cosiddetto Codice di Camaldoli, al progetto di Costituzione confederale europea e interna di Duccio Galimberti e Antonino Repaci, all’abbozzo di Silvio Trentin per un’Italia federale nella Repubblica europea, alla Dichiarazione di Chivasso dei rappresentanti delle popolazioni alpine, al Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, alle “idee ricostruttive della Democrazia Cristiana”, che De Gasperi aveva appena fatto circolare, non mancano sogni e progetti lungimiranti per fare dell’Italia un Paese libero e prospero in un’Europa pacificata.
A settantacinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica è compito prezioso tornare sulle riflessioni che hanno contribuito alla sua formazione e alle figure che hanno avuto ruolo propulsivo in quei frangenti. Ecco allora che il testo “Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale”, dispiega tutta la sua forza, sia come tappa di maturazione di quello che sarà un impegno per la nuova Italia da parte del movimento cattolico, sia come ispirazione per il patto costituzionale che, di lì a poco, vedrà impegnati nella redazione le migliori energie del Paese, con il contributo, fra gli altri, non a caso, di alcuni fra i redattori di Camaldoli.
Occorreva partire, anzitutto, dal ripristino della legalità, violentata dal fascismo, riconosciuta persino nell’ordine del giorno Grandi al Gran Consiglio, con l’esplicita indicazione dell’esigenza del “necessario immediato ripristino di tutte le funzioni statali”, dopo una guerra che il popolo italiano non aveva sentita “sua”, con aggravata “responsabilità fascista”.
Da Camaldoli vengono orientamenti basilari, che riscontriamo oggi nel nostro ordinamento. Anzitutto la affermazione della dignità della persona e del suo primato rispetto allo Stato – con il rifiuto di ogni concezione assolutistica della politica – da cui deriva il rispetto del ruolo e delle responsabilità della società civile. Di più, sulla spinta di un organico aggiornamento della Dottrina sociale della Chiesa cattolica, emerge la funzione della comunità politica come garante e promotrice dei valori basilari di uguaglianza fra i cittadini e di promozione della giustizia sociale fra di essi.
Si identifica poi, con determinazione, il principio della pace: “deve abbandonarsi il funesto principio che i rapporti internazionali siano rapporti di forza, che la forza crei il diritto…”. Occorre “la creazione di un vero e non fittizio o formale ordine giuridico che subordini o conformi la politica degli Stati alla superiore esigenza della comune vita dei popoli”.
Vi è ragione di essere ben orgogliosi, guardando ai Padri fondatori del Codice di Camaldoli, per il segno che hanno saputo imprimere al futuro della società italiana, anche sul terreno della libertà di coscienza per ogni persona, descritta, al paragrafo 15, come “esigenza da tutelare fino all’estremo limite delle compatibilità con il bene comune”.
Il Cardinale Matteo Zuppi, nella sua lettera alla Costituzione, due anni or sono, riprendendo una considerazione del costituente Giuseppe Dossetti, iniziava così: “Hai quasi 75 anni, ma li porti benissimo! Ti voglio chiedere aiuto, perché siamo in un momento difficile e quando l’Italia, la nostra patria, ha problemi, sento che abbiamo bisogno di te per ricordare da dove veniamo e per scegliere da che parte andare…”. Non vi sono parole migliori.
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da AVVENIRE
Il Codice di Camaldoli.

Un rinnovato umanesimo

Ignazio Sanna
venerdì 21 luglio 2023
Il “Codice di Camaldoli” (che oggi viene commemorato alla presenza del presidente Mattarella e del cardinale Zuppi) è il documento programmatico di politica economica italiana elaborato nel 1943 al termine di una settimana di studio.
Vi parteciparono (18-23 luglio) circa cinquanta giovani dell’Azione Cattolica Italiana e della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, per stabilire le linee dello sviluppo italiano dopo la caduta del regime fascista e la fine della guerra. Al termine della settimana di “ritiro” si concordarono alcuni principi, articolati in 99 punti, che, in seguito, presero il nome di Codice di Camaldoli. Gli uomini politici provenienti dalle file dell’Azione Cattolica tradussero in leggi quel programma, e svilupparono un sistema di partecipazione dello stato all’economia che fu il più esteso di tutto il mondo occidentale. Fu indicato come sistema delle partecipazioni statali. Questo determinò il grande sviluppo dell’Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale), la nascita dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) e di numerosi altri enti pubblici di gestione. Su questo Codice, il Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale, negli anni in cui ero assistente ecclesiastico nazionale, ha elaborato un “Progetto Camaldoli. Idee per la città futura”, pubblicato in un agile volume, per i tipi dell’editrice Studium. Il testo raccoglie le proposte del Movimento sui temi dell’antropologia, della cittadinanza, dell’economia e del lavoro, dell’ambiente.
La pubblicazione del volume chiuse un percorso di approfondimento che impegnò il Movimento per oltre due anni, coinvolgendo un gran numero di esperti e di intellettuali, tutti i soci e le oltre cento realtà locali dell’associazione.
Il Progetto-Proposta concentra l’attenzione su tre ambiti problematici, nei quali la trasformazione e il cambiamento negli oltre sessant’anni di vita repubblicana sono particolarmente evidenti: il rapporto tra lavoro ed economia, la responsabilità nella salvaguardia del creato e dell’ambiente, la questione della cittadinanza. Per comprendere i cambiamenti stessi in questi tre ambiti, precisa il documento assembleare, è necessario lo studio della rivoluzione antropologica in atto, che pone in discussione la stessa nozione di “umano” e di persona, inducendo anche i “personalismi”, da sempre ispirati dalla visione cristiana della vita umana, a rivedere i propri statuti logici ed epistemologici.
La proposta di un “dinamico e rinnovato umanesimo”, contenuta nel Rapporto, parte dalla constatazione della necessità di una nuova unità dei saperi scientifici, da non intendere in modo fisso o gerarchico, bensì cogliendo ogni sapere particolare come punto di vista da cui guardare alla dinamica complessiva della persona e della realtà. In questa prospettiva, nessun sapere, neanche quello “scientifico” in senso stretto, può assolutizzare il proprio metodo e la scelta dei suoi fini: farlo equivarrebbe, contraddittoriamente a sottovalutare gli atteggiamenti relazionali, pur presenti nella concezione originaria di scienza, a vantaggio di quelli utilitaristici. Su questa base la proposta è quella di una concezione integrale della persona come relazione aperta e non come monade ripiegata: aperta (e dunque responsabile) verso gli altri, verso l’ambiente, verso Dio. Proprio questa “apertura”, che è anche consapevolezza del proprio limite (quale fondamento della stessa libertà umana), impedisce alcune degenerazioni pratiche della vita quotidiana: l’uomo “onnipotente” (tanto da saper modificare, grazie alle scoperte tecnico-scientifiche, lo stesso bios) è anche insicuro e portato a vincere l’insicurezza con l’evasione narcisistica.
All’interno di questa apertura antropologica trova spazio la valorizzazione della corporeità, a un tempo dato biologico e dato culturale, e dunque la possibilità di una riconsiderazione su nuove basi della stessa questione femminile. L’accento posto sulla relazionalità integrale comporta anche un’indicazione circa la possibilità di legami familiari caratterizzati da stabilità, in quanto liberati dall’ansia di soddisfacimenti di bisogni soltanto individuali e volti a costruire pazientemente un “noi”, un progetto comune che supera la coppia e la sua solitudine. L’intenzione del Meic, venne sottolineato in una nota, non è quella di offrire ricette di strategia politica o di programmi pastorali, bensì quella di stimolare riflessione e dialogo sulle grandi questioni della società contemporanea, affrontandole con rigore e con serietà, e soprattutto con un profondo amore per l’uomo. In effetti, l’amore per l’uomo può essere considerato il filo rosso che tiene unita la riflessione sugli altri grandi temi del “Progetto”.
Innanzitutto, lavoro ed economia, la cui valenza antropologica è messa sempre più in discussione da chi, inseguendo le statistiche e le analisi macroeconomiche, dimentica che dietro i numeri ci sta la vita delle persone, di famiglie intere con bisogni, aspirazioni e paure concreti. Per il Meic è fondamentale riportare l’uomo al centro del lavoro e il lavoro al centro dell’economia, smettendola di chiedersi se serva più Stato o più società o più mercato, ma sviluppando piuttosto una «rete coordinata dei pubblici poteri». Come chiave di lettura dell’intero “Progetto” adottammo la conclusione dell’enciclica di Benedetto XVI, senza nulla aggiungere al “Progetto” e senza nulla togliere all’enciclica. In essa, infatti, Benedetto XVI afferma che “Paolo VI ci ha ricordato nella Populorum Progressio che l’uomo non è in grado di gestire da solo il proprio progresso, perché non può fondare da sé un vero umanesimo.
Solo se pensiamo di essere chiamati in quanto singoli e in quanto comunità a far parte della famiglia di Dio come suoi figli, saremo anche capaci di produrre un nuovo pensiero e di esprimere nuove energie a servizio di un vero umanesimo integrale. La maggiore forza a servizio dello sviluppo è quindi un umanesimo cristiano che ravvivi la carità e si faccia guidare dalla verità, accogliendo l’una e l’altra come dono permanente di Dio. La disponibilità verso Dio apre alla disponibilità verso i fratelli e verso una vita intesa come compito solidale e gioioso.
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da AVVENIRE
Il Codice di Camaldoli.

Fiume carsico mai prosciugato

Flavio Felice venerdì 21 luglio 2023
Il Codice di Camaldoli risponde a una esigenza avvertita da una generazione di intellettuali che ha conosciuto il dramma della guerra e il giogo del totalitarismo, provenendo da una cultura politica giudicata, dapprima, di ostacolo alla nascita della nazione e, in seguito, rivelatasi debole di fronte alla fiera rivendicazione totalitaria del regime fascista. In questo senso, l’elaborazione del Codice di Camaldoli rappresenta un adeguato tentativo di conformare la funzione del cattolicesimo politico, economico e sociale italiano alle esperienze europee di fine Ottocento e delle prime decadi del Novecento. Si pensi ad esempio al cosiddetto “Codice sociale”, elaborato dall’Unione internazionale di studi sociali fondata a Malines nel 1920, posta sotto la presidenza del Cardinal Mercier. L’Unione produsse una prima versione del noto Codice nel 1927 ed una seconda nel 1933.
In Italia la traduzione dell’edizione del 1927 apparve lo stesso anno, mentre quella del 1933 venne pubblicata nel 1934 e nel 1944 riproposta ed impreziosita da un ricco corredo bibliografico. Lo scopo del lavoro era di tenere aggiornata la riflessione dei cattolici in materia di questioni sociali, non dimentichiamo che nel 1891 era stata promulgata da Leone XIII la lettera enciclica Rerum novarum e che l’Unione di Malines nasceva sotto l’impulso del ministro belga Helleputte e del professor Duthoit, rispettivamente, uno dei maggiori esponenti dell’Unione di Friburgo ed il presidente delle “Settimane sociali” francesi.
Pertanto, il Codice di Camaldoli si inserisce in questa tradizione, sebbene assuma un obiettivo più ambizioso. Non un aggiornamento, bensì il rilancio della questione sociale, letta alla luce della dottrina cristiana, nel contesto storico, politico ed economico di un’Italia distrutta e da ricostruire sotto il profilo materiale, morale ed istituzionale. Erano ormai lontani gli anni del non expedit, così come erano altresì lontani gli anni eroici durante i quali una generazione di giovani aveva contribuito con don Luigi Sturzo a scrivere una delle pagine più significative della storia del nostro paese.
Quei giovani popolari subiranno la diaspora e saranno inghiottiti dal ventennio fascista. Alcuni non sopravvissero; Sturzo, insieme ad altri, fu costretto all’esilio, alcuni trovarono riparo dentro le mura del Vaticano, altri ancora si ritrovarono a condurre un’esistenza politicamente e culturalmente clandestina. Una cosa è certa, come un fiume carsico, l’impegno di quella generazione di cattolici impegnati nel sociale non andò perso e tornò nuovamente protagonista sul finire della Seconda guerra mondiale. Quella generazione si assumerà la responsabilità di pensare il “nuovo ordine” del Paese. Il tutto accadde in breve tempo, i giovani che si ritroveranno a Camaldoli nel luglio del 1943 non crediamo immaginassero neppure che di lì a poco le loro idee potessero diventare alcune delle linee guida che maggiormente condizioneranno il processo costituente della futura Repubblica italiana. Al di là di tale autoconsapevolezza, questa nuova generazione di cattolici avvertiva il bisogno di “prendere posizione”, nella speranza che un nuovo ordine di lì a poco sarebbe potuto nascere.
Tale speranza, al di là delle pur profonde differenze di merito, era il tratto che univa l’esperienza del popolarismo sturziano alla nuova generazione di democratici cristiani. Con riferimento alle differenze di merito, rispetto alla formulazione del Codice di Camaldoli in materia economica, esse riguardano innanzitutto il modo in cui i camaldoliani hanno inteso il ruolo finalistico dello Stato, i concetti di bene comune e di giustizia sociale, fino alla tematizzazione della “funzione extra fiscale del tributo”. Tali concetti, espressi dai redattori camaldoliani, almeno rispetto alla elaborazione teorica sturziana, non chiariscono fino in fondo i dubbi circa la coesistenza nel Codice di elementi olistici e monistici accanto ad altri spiccatamente personalisti.
Ad ogni modo, al di là delle differenze, è opportuno sottolineare il tratto che unisce tra loro i due estremi del segmento storico che narra la vicenda dei cattolici in politica, anche rispetto alle esperienze che in quegli anni andavano maturando in altri Paesi europei come la Germania e il Regno Unito. In definitiva, la consapevolezza che fosse giunto il momento di rispondere alla furia cieca della violenza con il ristabilimento di un principio tanto popolare quanto liberale e che finisce per accomunare l’esperienza italiana, tedesca ed anglosassone: lì dove c’è miseria, la libertà non ha cittadinanza e dove la libertà non può esprimersi, la miseria non trova ostacoli. Un principio, considerate le tante fratture – umane, politiche e sociali, fino a quella drammatica della guerra alle porte d’Europa – cui ispirarsi anche oggi.

 

 

1 Commento

  1. Giuseppe ha detto:

    Eccellente testimonianza del desiderio di uscire dall’oscurantismo del regime fascista ed aprirsi al mondo della società civile

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