21 novembre 2021: SECONDA DI AVVENTO
Is 19,18-24; Ef 3,8-13; Mc 1,1-8
Il Vangelo secondo Marco
Il terzo brano della Messa di questa seconda domenica di Avvento è l’inizio del Vangelo secondo Marco, precisamente i primi otto versetti.
Diciamo subito che il Vangelo secondo Marco è il più breve tra i quattro e, secondo gli studiosi di oggi, è anche il più antico. Anzi, Marco sarebbe il geniale iniziatore del genere “vangelo”: storia compiuta che va da Giovanni Battista alla Risurrezione.
Chi è Marco? Non è un apostolo, ma un discepolo degli apostoli, in particolare di Pietro e di Paolo. Mettendo per iscritto il Vangelo, si è rivolto ai cristiani provenienti dal mondo pagano, specialmente romano.
Marco inizia il suo racconto sull’attività di Gesù dal punto in cui prendeva avvio anche la predicazione cristiana primitiva, e cioè dall’apparizione del Precursore del Messia, Giovanni il Battista.
Il primo versetto contiene già tutto il messaggio del Vangelo di Marco: Gesù – Messia e Figlio di Dio – dà “inizio” a quell’evento, che segna una svolta decisiva alla storia dell’uomo.
“Inizio” , in quanto il Regno di Dio richiede uno sviluppo; e soprattutto perché la buona Notizia è stata sì preannunciata, quindi attesa, ma è anche “nuova”, perciò sorprendente.
Il termine “vangelo” deriva dal greco εὐ-αγγέλιον, composto di εὖ, ossia “bene”, e αγγέλιον, cioè “notizia”.
Pensate: una parolina composta di due sole lettere, eu, indica il bene, quel bene che richiama quel Bene Sommo con cui Platone indicava la Divinità più pura, Sorgente di ogni bene.
Dunque, Vangelo, eu anghèlion, buona notizia: notizia che riguarda il Bene Sommo.
Quando noi pensiamo a un buona notizia, pensiamo a qualcosa di bello, a una qualche bella sorpresa, dal punto di vista psichico o carnale. Il Vangelo è la buona notizia, e non una qualche bella notizia. È la Buona Notizia, che è essenzialmente divina. Dunque, la Notizia che per la sua novità va accolta nel nostro essere, da spogliare nella sua carnalità.
Ed ecco che Marco introduce un personaggio, Giovanni Battista, che ha il compito, in vista dell’accoglienza del Messia, di purificare il popolo, portandolo nel deserto.
Commenta don Angelo Casati: «Ma dove ha inizio la notizia buona, la notizia delle notizie? E chi prepara la strada a colui che viene? Pensate alle strade trionfali che allora – ma solo allora? – venivano preparate nelle città, per la venuta dei grandi del tempo. Tutto diverso nel vangelo. A preparare la strada è, pensate, un uomo dello spirito. E non chiama nelle capitali del mondo, la notizia delle notizie non viene da lì. Chiama, pensate, nel deserto. Come a dire che la notizia buona non inizia nel frastuono. E non chiama alla costruzione di archi trionfali, non chiama a segni esteriori, chiede che l’inizio – intrigante questa parola “inizio”, perché tante volte ce lo chiediamo da dove iniziare – chiede che l’inizio sia dentro, nell’anima, là dove prendono forma i veri cambiamenti. Che danno un volto nuovo, e non di facciata, a noi e alla terra… Giovanni toglie ogni forma di celebrazione della sua persona, non si autocelebra con abiti di sfarzo, ha vestiti di peli di cammello né si dà arie di superiorità: “Io non posso che chinarmi”, dice, “davanti a colui che viene, lui il più forte”».
Dunque, Giovanni invita la gente ad andare nel deserto, il luogo che egli ha scelto per la sua missione: preparare gli animi alla venuta del Messia.
E nel deserto, luogo/simbolo di spogliamento radicale, Giovanni Battista invita la gente a convertirsi.
E ci si converte, a patto prima che ci si spogli di tutto ciò che non è necessario, non è essenziale, non tanto per alleggerire il proprio corpo come quando si va in palestra o si fa digiuno per tenere snello il proprio fisico. Si va nel deserto, per purificare il proprio spirito.
Vedete, la Liturgia nella sua saggezza ha sempre mirato a purificare lo spirito del credente, in vista di vivere in pienezza il Mistero divino. Arriva il Natale, ed ecco l’Avvento, periodo di purificazione dello spirito. Arriva la Pasqua, ed ecco la Quaresima, altri periodo “forte” di purificazione dello spirito.
La Liturgia ci conduce nel deserto, per ascoltare la voce dello Spirito divino, al di là di ogni frastuono carnale: la carne ha le sue voci che coprono le voci dello Spirito, che sono impercettibili ai sensi, perciò richiedono silenzio esteriore.
E allora, come si può vivere il Mistero divino, immersi nella carnalità di un consumismo tale da rompere l’Incanto divino?
Il deserto, dunque, luogo/simbolo di purificazione!
Il deserto, luogo/simbolo di quella Essenzialità divina, che richiede l’essenzialità del nostro essere.
E invece che cosa succede? Anche nel migliore dei casi, si raddoppiano preghiere e penitenze; ma a che servono, se anche esse coprono la voce dello Spirito?
Succede anche che riduciamo tutto il nostro impegno di Avvento a qualche formalità esteriore: qualche elemosina a un povero, qualche aiuto finanziario ad una associazione, e così crediamo di sentirci pronti a vivere bene il Mistero natalizio.
Inoltre, leggendo il brano del Vangelo di oggi mi risuonano sempre dentro di me le parole: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri».
Mi chiedo: dov’è il buon pastore di una diocesi, così vasta da far già temere per il rischio che cada in una tale frammentarietà carnale da non dare spazio alla voce dello Spirito divino? Che fa? Dire “che fa” è già allarmante. Non abbiamo bisogno di pastori impegnati ossessivamente nel fare, nell’essere presente ovunque, sempre in giro a mettere un po’ di prezzemolo in ogni minestra.
Mi sta venendo il capogiro nel seguire il mio vescovo nei suoi quotidiani spostamenti. Come una trottola che si sposta girando sempre su stessa.
Siamo già entrati in Avvento, avrei preferito che il mio vescovo fosse “voce di uno che grida nel deserto: preparate del via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”.
E la massa cristiana dov’è? Non conosce il deserto, conosce solo il rumore di una carnalità che copre ogni voce del Mistero divino.
“Raddrizzate i suoi sentirti”!”. Altro che raddrizzarli, viviamo in una società, dove i sentieri di ogni tipo portano lontano del nostro essere. E il pastore che fa? Percorre questi sentieri, alla ricerca di alienati per confortarli nella loro alienazione.
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