Un bene comune tutto per sé

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Un bene comune tutto per sé

Il cittadino vede nella democrazia l’occasione di sfruttare i diritti per il proprio vantaggio personale. Certo, i politici parlano di bene comune, ma hanno del bene comune una concezione puramente orizzontale, tutta circolare, possibilmente a senso unico.
Il cittadino può anche credere nel bene comune, ne parla, discute, magari si dà da fare per realizzarlo, ma tutto poi deve tornare a proprio vantaggio.
Secondo il cittadino, se il bene comune non dà nessun utile personale, è da tralasciare, o si fa di tutto perché il bene comune diventi qualcosa di proprio.
Il bene comune, allora, diventa così capillare da essere parcellizzato, quasi frantumato in vista di un beneficio personale, e inizialmente basta anche solo un pezzettino per poi allargarlo sempre di più.
Il bene comune è visto così: è bene di tutti, purché sia anche mio, soprattutto mio.
Già la parola “partito” è la migliore o peggiore dimostrazione che tutto è in vista di una parte, di una riduzione ideologica del bene comune nella grettezza mentale di chi vede la realtà, ma a modo suo, senza avere la benché minima idea del tutto, ovvero di quell’insieme che è costituito di parti, che però si devono armonizzare nel tutto.
Dire che oggi la politica dei partiti e la politica dei cittadini siano aperte all’insieme delle parti che si sciolgono nel tutto è non riconoscere che la realtà purtroppo è ben altra cosa, e cioè una finzione o un inganno che porta il partito politico o l’individuo cittadino a frantumare ogni ideale, coprendo l’ipocrisia o l’egoismo sotto forme populiste o individualiste tali da far temere per il cammino dell’umanità verso quella unificazione, che oramai è diventata solo uno slogan per ingenui o per allocchi. Gli slogan si usano anche per coprire un egoismo innato. I contestatori sono i migliori egoisti.
22 febbraio 2020
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