Verso un ulteriore passo di civiltà

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di don Giorgio De Capitani
Vi propongo da leggere la serie di articoli, che sono apparsi sull’Unità, lunedì 16 giugno 2014. Già ve ne avevo dato una sintesi. Eccoli integrali.
Si parla di alcuni diritti civili, oggi dibattuti, che in Italia non sono ancora riconosciuti. La Chiesa se ne sta zitta, preferendo assumere un atteggiamento di reticenza, e nello stesso tempo opponendosi ad una politica “troppo libertaria”. Oggi, soprattutto con Papa Francesco che fa battute che sembrano aprire il discorso, la Chiesa ci gioca molto bene, lasciando in  realtà le cose come sono. 
Mi sta anche bene che il papa sia arrivato finalmente a maledire i mafiosi (che però se ne fregano delle maledizioni di Dio, e del castigo dell’inferno!), ma credo che passerà ancora tanto tempo prima che la Chiesa si apra finalmente ai diritti civili, che sono poi fondati su valori umani.
Che certi cattolici tradizionalisti si scandalizzino di queste mie parole, non mi sconvolgono più di tanto. Io non scommetto sulla Chiesa-struttura, io scommetto su quel Dio che esce dai canoni religiosi. Non è facile per noi credenti uscire da un mondo ermeticamente chiuso, ma almeno proviamoci. E stiamo attenti a non cadere nelle più assurde contraddizioni. Il papa ha urlato dicendo: “Mai più violenza sui bambini!”.
I mafiosi sono santi in confronto a ciò che hanno compiuto i preti contro i bambini! Guardiamo in casa nostra, prima di maledire cosa nostra!

Coppie gay, stessi diritti del matrimonio

Ma no alle adozioni

A settembre la legge del governo sulle unioni civili. Il modello è il civil partnership tedesco: adottabile il figlio del partner. Per gli etero non sposati previsti invece i «patti di convivenza»
ROMA
«Alle unioni civili tra persone dello stesso sesso si applicano tutte le disposizioni previste per il matrimonio…» escluso il diritto di poter adottare. È questo il principio fondamentale che regolerà i rapporti fra coppie omosessuali. Principio contenuto nella disciplina che da settembre il Parlamento si troverà ad approvare. Come promesso dal premier.
Renzi le aveva già messe fra i suoi obiettivi alla Leopolda (sia quella delle primarie poi perse contro Bersani che l’ultima vincente). Poi, da segretario Pd, le aveva chieste (assieme allo ius soli) al governo Letta e, una volta diventato premier, le aveva scritte nel proprio programma spiegando, nel discorso sulla fiducia, che andavano fatte ascoltandosi e poi trovando un compromesso. Dunque, adesso sembra che il momento delle unioni civili sia arrivato, visto che sabato all’assemblea del Pd Renzi ha annunciato che a settembre, chiusa la pratica Italicum, verrà portata in Parlamento e approvata una legge sulle civil partnership. «Dobbiamo realizzare quell’impegno che abbiamo preso durante la campagna delle primarie» ha spiegato il premier, spiegando che cercherà ovviamente un accordo «con gli esponenti della nostra maggioranza» e col Parlamento, ma ribadendo che non ci sarà spazio per ripensamenti.
Il modello a cui fa riferimento il premier quando parla di civil partnership è quello nato in Gran Bretagna (dove poi è decaduto in quanto il governo Conservatore Cameron ha introdotto il matrimonio gay) e in Germania. Sostanzialmente prevede che la coppia omosessuale che decide di “sposarsi” possa iscriversi all’ufficio dello stato civile in un apposito registro delle unioni civili. Da quel momento sono una coppia ufficiale con tutti i diritti e i doveri simili a una coppia eterosessuale unita in matrimonio. Quindi, ad esempio, sarà previsto il diritto alla reversibilità della pensione in caso del decesso del compagno/compagna. Il diritto alla successione e quelli in materia assistenziale e penitenziaria. E a cascata tutti quei diritti e doveri che dipendono dalle legislazioni regionali, come ad esempio la possibilità di partecipare ai bandi di assegnazione delle case popolari.
Del resto questa normativa, che andrà a modificare il codice civile nel libro primo, quello cioè dedicato a regolare i diritti e doveri della persona e della famiglia, è figlia diretta dell’articolo 2 della Costituzione che riconosce e tutela i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali, tra cui appunto anche la coppia, in cui si svolge la sua personalità. Diritti che oggi a chi voglia vivere in una coppia omosessuale non sono garantiti. E, infatti, la Corte Costituzionale con due sentenze, la prima del 2010 e la seconda di pochi giorni fa sull’uomo diventato donna e rimasta unita in matrimonio alla moglie, ha sottolineato questo vuoto legislativo, invitando il Parlamento a intervenire. Intervento che però non potrà essere l’estensione del vincolo matrimoniale alle coppie gay.
Da qui appunto le unioni civili che forniscono una condizione omologa ma non uguale al matrimonio. La differenza più grande è che la coppia omosex non potrà adottare bambini. Tuttavia verrà introdotto l’istituto della «stepchild adoption» preso dal sistema inglese. Cioè sarà possibile a uno dei soggetti della coppia gay adottare il figlio (anche adottivo) dell’altra parte dell’unione. Potrà portarlo e andarlo a prendere a scuola, accompagnarlo e assisterlo in ospedale e continuare a fargli da padre/ madre nel caso in cui il genitore naturale dovesse venire a mancare. In Germania, ad esempio, è stata introdotta anche la totale equiparazione fiscale. Il che significa che se in Italia si arriverà al quoziente familiare, come promesso dal premier sabato, riguarderà anche le future unioni civili.
Tutta questa disciplina riguarderà solo le coppie omosex e non le coppie etero che convivono, e non si vogliono sposare. Perché la filosofia è che, mentre le coppie omosessuali non possono unirsi in matrimonio, le coppie etero possono sposarsi e quindi se non si sposano è perché non lo vogliono fare e quindi non possono essere estesi a loro i diritti ma anche i doveri che discendono dal matrimonio. Per queste coppie (anche dello stesso sesso) sarà prevista un’altra forma, più lieve, di unione: i cosiddetti patti di convivenza. Con doveri (e diritti) meno “pesanti” di quelli matrimoniali.
Al momento, almeno, questa è la strada che hanno imboccato in commissione giustizia del Senato dove le varie proposte avanzate (soprattutto da Lumia, Marcucci e Lo Giudice del Pd) sono state riunite in due testi separati (ma che poi potrebbero ritornare a far parte di un’unica proposta di legge) dalla relatrice Daniela Cirinnà. La discussione partita lo scorso marzo, il 6 maggio s’è fermata. «Ma i testi sono pronti per andare in aula» sottolinea la democratica Cirinnà, che spiega che, nel momento in cui il governo deciderà politicamente il via, tutta la procedura subirà una accelerazione. Il nodo quindi resta politico. È vero che su questi temi i senatori del Pd hanno trovato sponde anche nei 5Stelle, tuttavia servirà un’intesa col Nuovo centro-destra (in commissione c’è Giovanardi) che nutre dubbi sulla possibilità di far adottare al partner il figlio naturale del proprio/a compagno/a. Perplessità coltivate anche nella parte cattolica del Pd, che ritiene anche che i più lievi patti di convivenza non possano riguardare le coppie omosex che già avrebbero a disposizione la più vincolante unione civile.

Dall’Europa agli Usa, tutte le «nozze» del mondo

Francia, Regno Unito, Spagna hanno legiferato da anni sulle unioni gay.  Ad aprire la strada la Danimarca, nel 1989
ROMA
In moltissimi Stati le unioni civili sono riconosciute per legge da diversi anni.
In Francia i primi Pacs, i patti civili di solidarietà, risalgono al 1999: si trattava di contratti tra partner maggiorenni (etero o omosessuali) che consentivano di acquisire gli stessi diritti delle coppie etero sposate, ma era esclusa la possibilità di poter adottare dei bambini. L’11 aprile del 2013 è stata approvata una nuova legge che regola anche le adozioni. Il 29 maggio 2013 è stato celebrato a Montpellier il primo matrimonio gay in base alla nuova legge.
In Germania esiste dal 2001 la possibilità di registrare un “contratto di vita comune”, sia per le coppie etero che per quelle gay. Nel 2009 la Corte costituzionale federale ha esteso tutti i diritti e i doveri del matrimonio alle coppie dello stesso sesso registrate: i partner possono scegliere di assumere un unico cognome o tenere ciascuno il proprio; i parenti della coppia diventano parenti acquisiti; sono previste diverse soluzioni per l’eredità e la tassazione.
Nel Regno Unito è dal 2005 che il “civil partnership act” ha disciplinato le unioni civili, anche omosessuali, equiparandole a quelle delle coppie unite dal matrimonio. Tra le “nozze” più celebri, quella di Elton John. Il 4 giugno scorso la Camera dei lord ha approvato un nuovo disegno di legge sul “same sex marriage” già licenziato dalla Camera dei comuni il 21 maggio 2013: al via libera definitivo manca una terza lettura. Nella cattolica Irlanda, dal 2011, sono riconosciute le coppie di fatto.
In Spagna le unioni gay sono riconosciute da luglio 2005 e le coppie possono adottare bambini. Il Portogallo nel 2010 ha abolito il riferimento al «sesso diverso»» nella definizione di matrimonio, ma le coppie gay non possono adottare.
In Svizzera sono riconosciute le unioni civili. Nel 2007 è stata introdotta la “unione domestica registrata” anche per le coppie di fatto omosessuali.
Anche in Austria, dal 2010, le unioni civili sono possibili per legge.
La Danimarca, nel 1989, è stata invece il primo Paese al mondo ad aver autorizzato le unioni civili tra omosessuali, che dal giugno 2012 possono sposarsi davanti alla Chiesa luterana di Stato. In Olanda esiste dal 2001 una legge sul matrimonio civile per coppie gay ed etero, con la possibilità di adozioni. Anche in Norvegia, ma dal 2009, le coppie omosessuali e etero sono equiparate davanti alla legge in materia di matrimonio, adozione e procreazione medicalmente assistita. In Svezia le coppie gay possono sposarsi con matrimonio civile o religioso dal maggio 2009; mentre l’adozione era già legale dal 2003. In Finlandia sono semplicemente riconosciute le unioni civili.
In Ungheria le unioni civili etero sono riconosciute dal 2007, quelle gay dal 2010. Persino nella cattolicissima Polonia c’è una legge sulle coppie di fatto dal 2004.
In Slovenia sono state riconosciute nel 2005 le convivenze civili, ma al solo fine di regolare gli aspetti ereditari e finanziari. Anche in Croazia, dal 2003, una legge disciplina gli aspetti finanziari ed ereditari per le unioni civili, sia etero che gay. Unioni civili registrate anche in Repubblica Ceca, dal 2006. Nella lontana Nuova Zelanda, dal 2004, la legge garantisce alle coppie omosessuali gli stessi diritti di quelle etero.
In Brasile, nel maggio 2011, la Corte Suprema ha riconosciuto alle coppie gay gli stessi diritti delle coppie etero, ma manca un’apposita legge. I giudici si sono espressi all’unanimità a favore dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, sottolineando come «nessuno dovrebbe essere privato dei propri diritti sulla base dell’orientamento sessuale». Anche il Messico riconosce le coppie di fatto. L’Uruguay, nel 2008, ha approvato una legge per l’”unione concubinaria»: le coppie di fatto (sia etero che omosex) dopo cinque anni di convivenza possono formalizzare la propria unione.
Negli Stati Uniti sono possibili le nozze gay in 12 Paesi, così come in Canada, a partire dal 2005.
L’INTERVISTA

«È la strada più rapida contro le discriminazioni»

«lo sono a favore del matrimonio, ma essere ideologici significa lasciare le cose come stanno. Questa è una sinistra moderna ed europea»
di Ivan Scalfarotto
ROMA
«È la volta buona», Ivan Scalfarotto, sottosegretario alle riforme, estensore delle proposte renziane sui diritti civili già dai tempi della Leopolda, è sicuro che presto l’Italia recupererà la distanza rispetto al resto d’Europa sui diritti delle coppie omosessuali.
Onorevole Scalfarotto, il premier Renzi ha annunciato che entro il 2015 a fianco del quoziente familiare ci sarà anche la legge per le unioni civili. Dunque ci siamo?
«Sì. Matteo Renzi l’ha detto con estrema chiarezza indicando anche una precisa tempistica. Da settembre si parte».
Stupito?
«No, per niente, lo sapevo e onestamente me lo aspettavo».
Perché?
«Perché Matteo lo ha sempre detto e scritto nei suoi documenti, anche in quello congressuale approvato da milioni di elettori democratici alle primarie. E Renzi è abituato a mantenere gli impegni, tanto più che, come dimostrano i voti alle europee, gli italiani hanno incoraggiato lui e il Pd ad andare avanti con le riforme. E tra le riforme ci sono anche quelle dei diritti di civiltà».
Andare avanti ok, ma in che direzione?
«Per superare la discriminazione attuale fra coppie omosessuali e coppie eterosessuali che la Corte Costituzionale ha già stigmatizzato due volte».
La soluzione quale sarà?
«Pragmatica, ricalcheremo lo schema giuridico delle unioni civili alla tedesca, che ha dato ottima prova di sé».
Niente matrimonio gay?
«No. Io ad esempio sono a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso, ma non voglio impiccarmi a una posizione ideologica col risultato poi di lasciare le cose così come stanno oggi. Tanto più che la stessa Corte Costituzionale solleva dubbi di costituzionalità sul matrimonio egualitario fra coppie omosex ed etero. Quindi pragmaticamente con le unioni civili alla tedesca la strada è più sicura e rapida».
Anche in questo modo però farla imboccare ad alcuni vostri alleati di governo, penso al Nuovo centrodestra, non sarà facile. Come farete?
«Ovvio che il confronto ci sarà, ma sono ottimista».
Va bene l’ottimismo della volontà, resta il pessimismo della ragione.
«In base alla ragione faccio notare che la Corte Costituzionale per ben due volte, l’ultima pochi giorni fa, ha invitato il Parlamento a risolvere con “estrema sollecitudine” l’attuale discriminazione fra coppie etero e omosessuali. Il che significa che in mancanza di una legge e quindi di un accordo nel governo e in maggioranza, toccherebbe alla Corte supplire e questa sarebbe un’altra sconfitta che la politica non può permettersi. Quindi, mettiamo da parte i rispettivi approcci ideologici e regoliamo pragmaticamente un tema sociale la cui impellenza è sotto gli occhi di tutti».
Quindi Renzi ce la farà?
«Sì. Non è Renzi quello che ha portato il Pd nel Pse senza colpo ferire, che ha dato per la prima volta un po’ di soldi in tasca a chi guadagna di meno, che ha abbassato il costo del lavoro aumentando il prelievo sulle rendite finanziarie? Il premier può fare queste cose perché non ha retaggi ideologici, ma da uomo di governo si rende conto che ci sono emergenze e bisogni che emergono dalla società a cui c’è da dare risposte senza perdersi in posizionamenti tattici. Così sulle unioni civili nessuno potrà mai accusarlo, lui cattolico praticante, di brandire ideologicamente certi temi. Sa ascoltare gli altri anche su temi che non gli sono familiari e io che vengo da un’altra storia apprezzo questa scelta di non girare intorno ai problemi, ma di affrontarli e risolverli. Cosa che la sinistra tradizionale non ha fatto».
“Forse non sono di sinistra, ma faccio cose di sinistra” è una delle battute del premier. Condivide?
«Per me è di sinistra, così come il Pd è sinistra. Una sinistra moderna, europea, non conservatrice, che è attenta a temi come i diritti civili che tradizionalmente non appartengono alla sinistra classica. Il divorzio in Italia arrivò grazie a un socialista, a un liberale e ai radicali di Pannella».
Fra i diritti civili c’è anche quello di cittadinanza per i figli dei cittadini stranieri nati in Italia. Che farete?
«Lo ius soli fa parte del pacchetto di riforme che partirà a settembre. Con Ncd qui l’intesa di fondo per legare la cittadinanza alla scolarizzazione in pratica già c’è».

Un segno di cambiamento

nel Paese che già cominciato

Il 25 maggio ha messo la sordina alle resistenze che si erano manifestate dopo i primi annunci di Renzi: la legge recupera il grave ritardo dell’Italia
di Massimo Adinolfi
All’assemblea nazionale di sabato, Renzi ha confermato che intende procedere nella direzione indicata dapprima durante le primarie, e poi nel discorso per la fiducia in Parlamento: la civil partnership, sul modello tedesco. Di mezzo tra le prime dichiarazioni e quelle rese sabato scorso sta il dato elettorale, quel 40,8% che Renzi intende considerare come «un punto di partenza per cambiare davvero l’Italia».
E fare una legge sulle unioni civili significa davvero cambiare. Farlo poi dopo il voto del 25 maggio scorso significa mettere la sordina a un bel po’ di reazioni che a inizio d’anno punteggiarono le prese di posizioni di quello che allora era solo il nuovo segretario del Pd: i prudenti distinguo di Alfano, i «non possumus» di Giovanardi, i possibilismi di Schifani, i trombonismi di Formigoni. Nel merito, Renzi non ha indicato i contenuti dell’iniziativa parlamentare ma per il momento c’è l’indicazione di una chiara volontà politica: su un terreno sul quale l’Italia accusa un ritardo impressionante rispetto agli altri paesi europei, ci sarà una legge. Una legge che dia anche alle coppie diritti degni di un Paese civile. Ovviamente non mancano i punti ancora controversi, a cominciare dalla possibilità per le coppie di adottare, ma per una volta, come si dice, lasciamo che a prevalere sia il dato politico. Cioè la direzione di marcia. Perché è vero: c’è un elenco imbarazzante di cose da fare, e molte di queste si fanno solo se c’è una forza politica sufficiente a sostenere il peso della mediazione necessaria e a rivendicare il passo avanti che può comportare. Nello stilare l’elenco, Renzi ha messo in fila: la riforma della legge elettorale, la riforma della pubblica amministrazione, la riforma della giustizia, la riforma del servizio pubblico radiotelevisivo, la sfida educativa, una nuova legge sulle infrastrutture, un nuovo impegno europeo sull’immigrazione, norme di semplificazione fiscale, e sicuramente dell’altro ancora. Su tutti questi punti non è difficile immaginare linee di resistenza più o meno robuste. Quel che però verrà giudicato non più accettabile è che non ci si assuma la responsabilità di affrontare tutti questi nodi per il prevalere di opposizioni esplicite o striscianti, veti incrociati, corporativismi. Questo non significa affatto che, in tutte queste materie, qualunque legge è meglio di nessuna legge, o che avrà il pregio di chiamarsi riforma qualunque intervento legislativo modifichi le cose, in qualunque direzione vada. Per questo, ci vorranno il partito e i gruppi parlamentari, le sedi di elaborazione, di discussione e di confronto, la congruenza fra gli ideali di una sinistra democratica, ben ancorata al socialismo europeo, e l’attività parlamentare e di governo. Ma il voto di maggio offre a tutti una cartina di tornasole su cui valutare l’impegno del partito democratico, della maggioranza e del governo di qui alle prossime elezioni. Renzi ne è assolutamente consapevole.
Ma questa situazione offre forse anche l’opportunità per una piccola considerazione di sistema. Renzi ha in Parlamento la stessa maggioranza uscita dalle urne un anno fa. Il risultato alle Europee non gli ha portato un solo voto in più nel Parlamento nazionale. E tuttavia la sua forza è enormemente accresciuta, così come la sua legittimazione a governare. Vale a dire: i numeri contano, ma torna a contare anche la politica. In fondo, il tema delle unioni civili è un tema delicato, che smuove sensibilità profonde, ma che tocca anche diritti sacrosanti per troppo tempo calpestati e negletti. Su una simile materia, anche quando si sono profilati almeno idealmente schieramenti parlamentari sufficientemente ampi, non si è avuta in passato la forza di fare una legge. Ora che al governo continua ad esservi una coalizione che include pezzi di centrodestra, i quali hanno comunque un peso determinante in un ramo del Parlamento, l’investimento compiuto dal Paese con quella cifra, il 40,8%, che all’improvviso ha quasi raddoppiato la dimensione elettorale del partito di maggioranza, contiene un mandato politico tanto chiaro e forte da obbligare Renzi a sfogliare con rapidità e determinazione i petali delle riforme, anche su terreni controversi.
LA CONSULTA
Certo, conta anche una diversa maturità del Paese. Contano i pronunciamenti della Corte Costituzionale. Quando essa ad esempio interviene, come è accaduto di recente con una sentenza storica, per dichiarare illegittima la norma che annulla le nozze nel caso in cui uno dei due coniugi cambi sesso, è chiaro che sancisce nel più formale dei modi il cambiamento avvenuto. Quell’uomo e quella donna rimarranno legati dal vincolo matrimoniale nonostante la coppia sarà formata da due individui dello stesso sesso: come è possibile allora non includere d’ora in poi nel nostro ordinamento giuridico le nozze gay? La sentenza fa rilevare peraltro proprio l’assenza di alcun’altra forma di vincolo che, nella nuova condizione intervenuta, tuteli i diritti e gli obblighi della coppia. Come dire: il Parlamento deve legiferare e darci quell’altra forma di vincolo che finora non si è riusciti a configurare giuridicamente, limitandosi al più a riconoscere situazioni di fatto nei registri comunali (e non senza inciampi anche in quei casi). Tutto questo, si diceva, conta. Ma ancora di più conta il fatto che adesso c’è una forza politica che ha titoli sufficienti non solo per fare la legge, ma per intestarsi finalmente questa battaglia come una battaglia di progresso. O forse, visto che c’è ancora timidezza ad usare (o tornare ad usare) la parola «progresso», per uscire finalmente da una storica arretratezza.

Le associazioni:

«Adesso serve una buona legge che dia

risposte chiare»

ROMA
Le associazioni gay accolgono con favore l’annuncio del premier. «Da Renzi viene un primo segnale positivo, da quando è presidente del Consiglio, sul fronte della regolamentazione delle unioni civili quando dice che il Parlamento sarà chiamato a lavorare sulla proposta di civil partnership del Pd», afferma Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center. «In Parlamento – aggiunge Marrazzo – può esserci una maggioranza trasversale che potrebbe finalmente far approvare una legge. È importante, però, che questa non sia l’ennesima promessa e che dalle parole si passi ai fatti. Peccato che Renzi non parli di matrimonio, ma se è pronto per far discutere una legge sul modello di altri Paesi europei siamo pronti a un rapido confronto».
Dopo tanti anni di dibattito e polemiche, con un percorso lunghissimo, travagliato, e infine interrotto, per la legge sulle unioni civili, la nuova svolta disegnata da Renzi desta entusiasmo ma anche appelli affinché stavolta si arrivi davvero al traguardo.
«Che il Pd sappia conciliare la rapidità con il pieno principio di uguaglianza nel legiferare sulle unioni tra persone dello stesso sesso», è l’auspicio di Flavio Romani, presidente di Arcigay. «I tempi sono in realtà dettati dall’alto – sottolinea Romani – in particolare dalla sentenza della Corte costituzionale di pochi giorni fa, che ha messo in luce l’assenza di strumenti legislativi per definire vicende concrete. Un vuoto dinanzi al quale la Suprema Corte ha nei fatti posto un ultimatum, che ha i tempi di quel percorso processuale. Ora che la scadenza è già stata in qualche modo scritta – prosegue Romani – occorrerebbe concentrare gli annunci sulla qualità dello strumento legislativo. Ci si farà guidare dal principio di uguaglianza, cioè dall’articolo 3 della nostra Costituzione, o ancora una volta si tenterà di definire i nostri amori come meno importanti e perciò meno degni di fronte alla legge? Che risposte verranno date alle tantissime famiglie omogenitoriali italiane che da anni attendono un riconoscimento pieno? Su questi punti bisogna essere chiari e inequivocabili: per noi non c’è possibilità di mediazione. La data l’abbiamo già segnata da qualche giorno in agenda – chiosa Romani – non mancheremo all’appuntamento di settembre».
Anche per il presidente di Equality Italia, Aurelio Mancuso, quello di Renzi è «un annuncio importante, che impegna tutto il Partito democratico a trovare nel prossimo periodo un testo unitario su cui poi impegnarsi nelle aule parlamentari. Prendiamo sul serio la promessa fatta e segniamo la data – appunta Mancuso – che speriamo non si sposti nel tempo, perché sono decenni che in Italia si attende una normativa che superi l’odiosa assenza di diritti. È importante che il testo sia avanzato, coerente con la legislazione presente in alcuni Paesi europei, che riconosca tutti i diritti e doveri, e in particolare tuteli i bambini delle famiglie omo genitoriali».
Solo pochi giorni fa il leader di Sel Nichi Vendola, in viaggio in Inghilterra, era tornato sulla necessità di legiferare su questi temi. «Qui nel Regno Unito la legge sui matrimoni gay l’ha voluta un governo conservatore – rifletteva – mentre in Italia noi abbiamo la destra culturalmente più arretrata d’Europa, e l’Italia è un Paese fuori contesto, un Paese prigioniero da troppi decenni di un potere culturale che impedisce di fare i conti con le richieste di civiltà e di diritti». Ma ora sembra davvero arrivato il momento.

3 Commenti

  1. Valentina ha detto:

    Io sono favorevole al riconoscimento delle unioni omosessuali, con tutti i diritti e i doveri che ne conseguono. Gli omosessuali sono esseri umani: anch’essi hanno il diritto di amare ed essere amati, di stare insieme e di vedere riconosciuti i loro legami. Le misure che il Governo intende adottare nei riguardi di queste persone sono giustissime e io le approvo in pieno.

  2. Giuseppe ha detto:

    Credo che la cosa fondamentale sia fare tutto il possibile perché cessino le discriminazioni di qualsiasi tipo, e quindi, anche riguardo alla sessualità. A questo proposito mi sembra esemplare la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha riuconosciuto il diritto di Alessandra Bernaroli, che ha cambiato sesso dopo un cammino travagliato, a restare sposata con la propria moglie, a cui è legata da quasi venti anni. Se qualcuno basa i valori etici su dei preconcetti, a mio pavviso non ha le idee molto chiare sul messaggio d’amore e di accoglienza che è l’essenza del cristianesimo.

  3. GIANNI ha detto:

    Esistono tradizioni culturali e politiche molto diverse, su questi temi, cui si aggiungono temi squisitamente giuridici.
    Non sarebbe neppure esatto far coincidere posizioni di sinistra come pro e di destra come contro, vista la posizione assunta dai tories, piuttosto che da liberali o radicali.
    Ed anche in ambito prettamente religioso, ovviamente, non tutte le chiese o confessioni assumono la stessa posizione, anche perchè, diversamente, se sui vari temi la pensassero allo stesso modo, non vi sarebbero religioni o confessioni diverse.
    Ma sulle unioni o matrimoni, comunque si vogliano chiamare, esistono già ora problemi non indifferenti legalmente, e non solo con riferimento al tema estensione di diritti si o no.
    La realtà giuridica dell’istituto matrimoniale è fatta di poche regole, mentre tutto il resto rientra nel fatto di due persone che si devono mettere d’accordo su un sacco di cose, sopratutto attinenti alla gestione delle cose di tutti i giorni.
    Purtroppo, come si evince dai casi giudiziari,non è che preventivamente si pensi a tutto, per cui capitano spesso divergenze.
    E chi le risolve?
    Qui sta il problema.
    Dovrebbe risolverle il giudice, tranne il caso, ovviamente, che tutto sfoci in separazione o divorzio.
    Ma il giudice compie comunque una sorta di arbitrio, perchè non esistono regole preventive per dire come decidere le varie questioni: se ad esempio si vada in vacanza o no, se è giusto cambiare casa o no, ecc ecc..
    GLi esempi sono solo alcuni dei tanti che si potrebbero citare.
    Quindi, a parte il fatto di creare o meno nuovi istituti, bisognerebbe consentire ai coniugi di elaborare regole integrative per disciplinare singoli aspetti.
    E questo è un tema di cui nessuno parla.
    Se dipendesse da me, invece, quanto al discorso delle nuove unioni, le studierei in modo da rispettare le diverse sensibilità di tutti, compresa la vecchia questione del matrimonio concordatario.
    Mi spiego.
    VIsto che esistono cattolici e non cattolici, il principio di non imporre nulla a nessuno, ha indotto taluni a sviluppare le seguenti ipotesi:
    chi si sposa con matrimonio concordatario, dovrebbe essere consapevole che per la chiesa esiste vincolo d’indissolubilità, quindi il matrimonio concordatario non dovrebbe consentire separazione o divorzio;
    diversamente, il matrimonio celebrato solo civilmente avrebbe piena disponibilità dei precedenti strumenti;
    per evitare i costi assurdi dei legali, si istituisca un ufficiale dello stato civile che certifichi le separazioni e dinanzi al giudice si eviti l’assistenza obbligatoria del legale, tranne per le separazioni con addebito;
    chi desidera una cosiddetta unione civile, non necessariamente a fini coniugali, ma anche tra conviventi o parenti, abbia libertà di sottoscriverla, integrandola con regole specifiche, per evitare un uso arbitrario del giudice.
    In questo modo, tutti saranno più coerenti e contenti.
    Il cattolico, mediterà con molta più attenzione se sposarsi in chiesa o meno, sapendo che se si sposa in chiesa non è ammesso separazione o divorzio.
    La chiesa non griderà più, come da quando sono intervenuti separazione e divorzio,all’attentato ai patti lateranensi.
    Tutti o quasi troverebbero una soluzione adatta a loro,con buona pace delle istituzioni.
    Tutto questo, almeno secondo i fautori delle indicate proposte.

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