A Natale è quasi d’obbligo parlare di bontà
L’EDITORIALE
di don Giorgio
A Natale è quasi d’obbligo parlare di bontà
Non solo a Natale è quasi d’obbligo parlare di bontà, ma Natale è la festa di Colui che si è incarnato per farsi Bontà tra gli umani, divorati dalle banalità del Maligno.
Una parola va subito chiarita, ed è “obbligo”.
La Bontà divina obbliga se stessa a effondersi, perciò ogni bene è emanazione necessaria del Sommo Bene.
Dire bontà e dire bene è la stessa cosa, per cui togliamo ogni equivoco come se essere buoni significasse essere bonaccioni, bonari, comprensivi, non litigiosi, disposti al perdono, oppure compiere qualche gesto generoso di altruismo.
La morale, casomai, entra in gioco dopo l’ontologia: ci si deve comportare in un certo modo, proprio perché si “è” in un certo modo.
Se bontà e bene sono la stessa cosa, e se il bene è una necessaria emanazione del Bene Unico, che è Dio (Platone e Plotino insegnano), allora non si può non essere “buoni”.
La bontà non è una moda del momento, quando cioè ad esempio è Natale, e allora tutto il buonismo va rimesso in vetrina o risvegliato, se non altro come contorno di una giornata, da vivere all’insegna dei buoni sentimenti d’occasione e di buone mangiate.
Anche i mafiosi a Natale si sentono “buoni”, quasi rinati tra canti e campane dai suoni angelici.
Anche i politicanti più barbari e bestioni a Natale si commuovono, come bambini innocenti.
Anche la Chiesa il giorno di Natale invita ad aprire le porte di casa a un barbone che, dopo essere stato lavato e rimesso a nuovo, togliendogli ogni segno di miseria, può sedersi a tavola, trattato come un essere umano.
Come si può dimenticare che non solo a Natale la bontà è di dovere o d’obbligo, proprio perché siamo figli del Bene Sommo?
Siamo obbligati, sempre, ad essere buoni, proprio perché la bontà (o il bene) è la stessa realtà del nostro essere interiore.
Arriva un altro Natale, e per quel giorno ci si sente buoni, quasi trascinati da qualcosa di convenzionalmente esteriore.
Non solo non ci si scopre interiormente buoni per natura, ma ci si copre di ipocrisie, che alla fine ci lasciano ancor più amareggiati.
I cristiani hanno voluto, fin dall’antichità, sostituire con la Nascita di Cristo (di cui non consociamo neppure l’anno, tanto meno il mese e il giorno) la festa pagana del Sole invincibile: forse sta qui l’importanza, ancora oggi, delle luci e delle lucine che addobbano alberi e case.
Ma le luci illuminano solo i sensi, lasciando lo spirito in una notte fonda.
22 dicembre 2018
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