Dal Sud una grande testimonianza di vero cristianesimo

duomo

di don Giorgio De Capitani 
Ho visto lo sceneggiato televisivo trasmesso su Rai1, “Per amore del mio popolo”: la storia di un prete del Sud, don Giuseppe (Peppino) Diana, che si è battuto contro la camorra, e per questo è stato ucciso, nel giorno del suo onomastico, il 19 marzo 1994, a Casal di Principe, nel casertano, dove era nato e dove aveva scelto di svolgere la sua difficile missione sacerdotale.
Mi sono posto diverse domande. Come mai questo Sud, così martoriato e vituperato, sa dare anche nobili figure di preti, mentre al Centro e al Nord le comunità cristiane sembrano immobili, apatiche, formalistiche, nei loro vescovi, nei loro preti e suore, nei loro laici più impegnati? Parlo del presente. Lo so che il passato ha avuto, nel Centro e al Nord, una Chiesa più vivace, per la presenza di alcuni scomodi profeti, oggi purtroppo dimenticati.
Al Sud: don Diana, don Puglisi, martiri, e oggi don Patriciello, impegnato nella Terra dei Fuochi. E al Nord? Don Antonio Mazzi! Ma non vorrei tanto soffermarmi su questo prete che ama definirsi “prete di strada” (forse intende la strada che conduce alla salotti televisivi o ai palazzi del potere). Ciò che ritengo allarmante è il clero milanese, chiuso tra le quattro mura di una religione rigida, asettica, comoda e accomodante. Gli aggettivi potrebbero allungarsi, ma sempre nella linea di un conformismo pauroso. Ripeto, parlo dell’oggi. Purtroppo, l’ieri è passato senza lasciare tracce, quasi si sia spento sotto la cenere dell’implacabile pastoralismo del fare o dello strafare, sempre nel campo di un fideismo individualista e di un pragmatismo insano.
Non è la prima volta che lo dico, e tutte le volte qualcuno dei miei confratelli (vescovo compreso) se la prende: al momento però, per poi passare oltre, e continuare sulla strada della totale chiusura pastorale al mondo moderno o, meglio, al mondo esistenziale. Sì, talora tiriamo fuori il problema delle tasse esose, ottenendo il consenso della gente comune, ma forse perché contestare le tasse ci fa comodo, anche pensando al bilancio parrocchiale, oggi più esposto ai controlli, e costretto a rispettare le regole della legalità. Ma oltre le tasse, il nostro problema esistenziale qual è?
A noi preti del Nord, in fondo, che cosa manca? Nonostante la crisi, la gente ci aiuta anche economicamente. In un modo o nell’altro, seguendo anche un certo spirito machiavellico, riusciamo a sopravvivere, tirando avanti la nostra baracca.
Ma noi preti del Nord siamo attenti alle vere problematiche della gente? Non si tratta solo di fare qualche banchetto di beneficenza o di organizzare qualche punto vendita, pro questo o pro quello. E poi soddisfiamo le nostre esigenze personali di preti indaffarati, evadendo dal proprio posto di lavoro, o in nome dello spirito da ricaricare, o in nome delle forze fisiche da corroborare. Mio Dio, quale esempio di solidarietà! Certo, ci diamo anche da fare in parrocchia, nel tempo libero da altri impegni. Progettiamo cose e cose, diamo qualche tocco di creatività nel campo catechistico e sacramentario, ma sempre strettamente ligi alle mode curiali. D’altronde, come noi preti milanesi siamo stimolati dagli organismi diocesani? Ci offrono allettanti contenitori, ma vuoti di Spirito. Manifestazioni, celebrazioni, eventi straordinari, ma… alla fine che cosa offrono? Nulla! Un po’ di polverone, e ai polmoni manca l’aria. Il vescovo tenta di fare bei discorsi, e, sotto il vestito apparentemente culturale, c’è poca sostanza.
La nostra Diocesi milanese vive di queste continue contraddizioni. Da una parte grandi discorsi, grande organizzazione, tanti progetti cartacei da coprire le canoniche, materiale tecnologico da far invidia alle grandi industrie, e poi…? E dall’altra, il menefreghismo del clero che esegue gli ordini finché gli fanno comodo, e anche con quella ipocrisia, tipica dei preti ambrosiani: ipocrisia che salva il proprio posto e accontenta la gente comune. Da una parte, dunque, troviamo una gerarchia senza saggezza, e dall’altra un clero e le comunità cristiane che continuano per la loro strada, senza via d’uscita. Ma i laici che cosa fanno? Nulla, o ben poco, perché non sanno o non vogliono sapere che cosa significhi “vivere il cristianesimo”, fuori da una struttura di Chiesa che veicola ancora in modo dispotico i presunti ordini divini, mortificando la coscienza personale. Per “personale” intendo la coscienza interiore di ciascuno, che non riguarda la vita privata. La coscienza mi immette nell’universale.
Il vero problema non sta nel risolvere la questione tra: scegliere l’orizzontale o scegliere il verticale. Ai tempi del ’68, i preti milanesi più impegnati nel sociale erano tacciati dal cardinal Colombo di orizzontalismo, come se pensare alla realtà di questo mondo precludesse di per sé il mondo del divino. Certo, poteva capitare di trascurare la fede, ma quale fede? Non è forse vero che il divino è dentro di noi, e che lottare per un mondo più giusto è lottare perché il divino s’incarni ancora nell’umano?
Chi s’impegna anima e corpo per gli altri, lo fa perché dentro ha qualcosa di così vitale da non riuscire a trattenerlo. Purtroppo, ancora oggi, la fede è vista solo come formalità religiosa. E ci fa comodo parlare di religione, perché così giustifichiamo il nostro disimpegno politico. Si obietta: “I preti devono solo pensare alle anime del loro popolo!”. Ma, che cos’è l’anima? Noi preti quale spazio diamo al nostro spirito interiore? Per spirito intendo il divino in noi, di cui parlavano i mistici. Quale anima ha il popolo di Dio?
A noi preti milanesi non viene mai il dubbio che il vero compito di oggi sta nel risvegliare la coscienza del nostro popolo, nel togliere questo popolo dal peso secolare di una Chiesa rigidamente e disumanamente dogmatica e moralistica? Quando tempo dedichiamo nella nostra vita pastorale, per far “pensare” il popolo di Dio? Ci siamo solo preoccupati di far obbedire il popolo, senza educarlo a pensare. E pensare porta a ri-pensare continuamente la nostra fede, e perciò il nostro vivere. Quanti preti si mettono in crisi, pensando e ri-pensando la loro vocazione? Dio, anzitutto, chi è? Il dio della religione è quello vero? Certo, dovremmo essere noi preti i primi a mettere in discussione il dio della religione. Io non sono stato ordinato ministro di una Chiesa che ha tradito il vero Dio. Sono ministro di un Dio da riscoprire giorno dopo giorno, togliendo qualche velo, sentendo l’esigenza di quell’Infinito che non può essere reso finito in una prigione. E il mio compito di prete è proprio questo: più scendo nel profondo del Divino, più m’impegno a educare il popolo a questa scoperta. E se la Chiesa, tramite i suoi rappresentanti, tra cui anche il mio vescovo, insiste ancora oggi nel costringermi a servire un dio falso, non accetto e disobbedisco, senza però uscire dalla Chiesa di Cristo. Non voglio darla vinta a chi ha distrutto e sta distruggendo il vero cristianesimo. Si resta dentro, per cambiare le cose. Uscire significherebbe abbassare le armi.
È proprio questa la mia ostinazione rabbiosa: constatare che il popolo di Dio è in balìa di forze cieche, o di una religione altrettanto cieca. La scommessa di oggi è questa: educare a far sì che il popolo ricuperi la coscienza, riprenda il pensiero e scopra che il Divino è nell’essere di ciascuno, e da qui deve partire la vera rivoluzione.
Basta con le rivoluzioni formali, basta con le innovazioni di facciata. Bisogna partire dall’essere. Noi anzitutto “siamo”, al di là di ogni schema, di ogni ideologia, di ogni credenza. Siamo! Dipendono da qui la vera fede e la vera democrazia. Più siamo, più camminiamo verso la libertà e la giustizia. Tutto il resto sono balle!

 

5 Commenti

  1. silvia ha detto:

    Perchè deve sempre essere il nord, dove tutto fila liscio il fratello maggiore, che detta legge e un sud figlio di un Dio minore . Tutto dipende da con che occhi guardiamo e parliamo. Spesso con semplificazioni e stereotipi….come quando si parla delle donne (tutte puttane, tutte da sottomettere). Peppe Diana, e tutti gli altri fino a don Patricello hanno fatto una cosa sola: saldato la terra con il cielo, come dice spesso don Ciotti.Si sono lasciati toccare e hanno voluto vedere ciò che accadeva. Don Patricello a partire dalle molti morti di bimbi. La differenza sta tutta li:”Ho sentito il grido del mio popolo”diceva qualcuno. Fino a quando i preti pensano di dover dare, di dovere aiutare, insomma finchè si pongono in atteggiamento di superiorità rispetto al popolo e alle coscienze da svegliare la chiesa sarà sempre distante dalla vita reale. Oggi la gente pensa, per fortuna, con la propria testa chiede secondo me , solo una cosa: una vicinanza, una condivisione. Gesù era sulle strade e stare sulla strada significa per me, vivere l’insicurezza, la ricerca continua, il lasciarsi sporcare dall’altro, è lo stare dove sta la gente. E’ un compito difficile, è meno insicuro stare su un pulpito, dentro un oratorio sono i ns luoghi..ma appena usciamo in strada e ascoltiamo il grido della gene scopriamo che anche i preti sono fragili…..don Peppe ha saputo piangere quando gli hanno ucciso l’educatore.
    Credo che oggi il bisogno della gente anche cristiana sia più di vicinanza che di sudditanza, di qualcuno che sappia ascoltare piuttosto che dire quello che deve fare. Sr Maria Silvia

  2. enniovico ha detto:

    Insistere su queste differenze mi sembra tempo perso; non perchè la differenza non esiste, ma perchè per fine più o meno occulti, ma non tanto, fa comodo a troppe persone poco cristalline; se mi posso permettere un consiglio a Don Giorgio che stimo e non poco: quando può ponga all’attenzione del grosso pubblico (anche del centro e/o Sud)questi temi che a mio avviso sono stati ampiamente trattati dallo scrittore Pino Aprile; cito l’ultimo di questi testi (senza volerne fare pubbicità)”il Sud Puzza” che io ho letto ma che tutti avrebbero dovuto dargli maggior risalto! Chi leggerà rifletta e se vorrà si ponga non solo un perchè!

  3. Giuseppe ha detto:

    Ho il timore, e lo dico con il dovuto rispetto verso don Giorgio, don Paolo Farinella e tutti quei preti che operano seguendo il vangelo nelle regioni del nord, che gli italiani residenti nell’Italia settentrionale abbiano una sorta di complesso di superiorità (o di inferiorità, che poi secondo i punti di vista è la stessa cosa) rispetto al resto del paese. È come se sentissero “la puzza sotto il naso”, perché vivono in quella parte della penisola che “storicamente” è il motore e il maggior centro produttivo del paese intero. Non dico che siano tutti leghisti, ma certamente in gran parte risentono della mentalità che serpeggia in quel movimento e ne è diventata l’anima. Pur essendo di Roma, da giovane ho vissuto qualche anno a Milano e questa impressione l’ho percepita da subito, mi sembrava molto diffusa tra la gente comune, ma, per certi versi, purtroppo, anche in ambienti culturalmente più elevati. C’era una sorta di dualismo inspiegabile tra il “noi”, ovvero la parte sana e produttiva del paese, e “loro” ovvero i parassiti e fannulloni di un centro sud incapace di tenere il passo dei tempi. Per questo ho l’impressione che anche un prete, o qualsiasi altro religioso, vivendo a contatto con quell’ambiente ne venga inevitabilmente influenzato, a meno che non abbia gli strumenti e la forza d’animo capaci di lasciare il segno e offrire una testimonianza realmente efficace.

  4. GIANNI ha detto:

    Interessante articolo, che può essere considerato da più punti di vista, ponendo diversi interrogativi:
    Esiste un unico cattolicesimo?
    Perché ieri più di oggi al nord era presente, come dire,
    un cattolicesimo riformatore, di sinistra?
    Perché emergono certe figure di sacerdote al sud, più che al nord?
    Ovviamente si tratta di temi su cui potrebbero essere scritti interi libri,
    io mi limito a qualche riflessione personale, spero fondata, anche se non esaustiva di temi complessi.
    CATTOLICESIMO:
    Non esiste un unico cattolicesimo, come non esiste un unico cristianesimo.
    Non solo in senso storico, ma anche con riferimento a diverse concezioni contemporanee.
    Esiste quello radicale di un don Giorgio, e ne esiste uno conservatore, come quello di Scola, ed in mezzo ci metterei papa Francesco.
    Le differenze dottrinali e teologiche sono note da tempo:
    su temi come sacerdozio femminile, sacramenti, comunità di base e quant’altro.
    Ma non si tratta solo di differenze dottrinali, perché alla base c’è una diversa concezione del ruolo della chiesa.
    Finalizzata a far riscoprire una ricerca autonoma da parte della concezione diciamo radicale, ed invece esaltante il ruolo gerarchico e dogmatico quella conservatrice.
    DIFFERENZE NORD SUD:
    io credo che si combatta soprattutto quello che si conosce, che si rende palese.
    Al sud il fenomeno della criminalità organizzata si rende evidente ogni giorno, per cui è più facile identificarlo come nemico.
    Al nord non è che non ci sia, ma appare in modo meno manifesto, con formule spesso diverse dalla tipica criminalità da strada, per cui al nord è più difficile rendersi conto della presenza di una criminalità organizzata,che solo da qualche tempo ed occasionalmente appare ad esempio come nel napoletano o altre aree.
    Un esempio: se confrontiamo Liguria e Campania, certo non ci viene spontaneo dire che la criminalità si comporta nello stesso modo.
    In realtà non è così,visto ad esempio che il comune di Bordighera era stato sciolto per infiltrazioni mafiose, che un locale sulla spiaggia di Camporosso era stato dato alle fiamme per non aver pagato il pizzo, che sono state fatte scoppiare due bombe in locali nella piazza principale di San Remo, che nelle vie di San Remo un tizio, affiliato ad una organizzazione locale, è stato prima inseguito da killer in moto, e poi freddato in un negozio, dove lo avevano raggiunto.
    Fatti che magari se capitano a Napoli, appaiono sulla stampa nazionale o nei tg, e diversamente, ricevono attenzione mediatica solo locale.
    Intendo dire che al nord non vengono mediaticamente percepiti certi fenomeni, considerati tipici solo del sud, quindi manca una consapevolezza dell’esistenza di certa criminalità.
    PERCHE’ AL NORD IERI PIU’ DI OGGI EMERGEVANO CERTE FIGURE
    Un rilevante motivo, per cui al nord certe posizioni di sinistra erano più frequenti in anni passati, era il clima ideologico e culturale del sessantotto, che in parte aveva coinvolto certe posizioni del cattolicesimo.
    Oggi quel clima è passato, per cui…..

  5. Giovanni Di Nino ha detto:

    Condivido questa analisi da cima a fondo. Devo dire, sinteticamente, che le due “tendenze contrapposte” messe in evidenza da don Giorgio rispecchiano, in realtà, due modelli culturali e sociali che contraddistinguono il sud dal nord: cinicamente, possiamo dire che il Sud rappresenta ancora oggi la “società della fame”, di lavoro,soprattutto, dove è possibile toccare con mano la coesistenza della miseria con quella della criminalità (che prevale per l’assenza di uno Stato); il Nord rappresenta la “società della dieta”, dove tutto sembra filare liscio, (cioè con meno problemi esistenziali, persino per la criminalità importata dal sud)e qui, ovviamente, l’appiattimento delle gerarchie su una società che non pone tanti problemi è più evidente, si adagia sull’esistente immobile, è più accomodante, ma guai a chi pretende di puntare il dito su un conformismo distorto ed omertoso rispetto ai problemi reali della gente. Ne sa qualcosa anche don Giorgio.

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