Macron si fa carico dell’impopolarità: “Avrei evitato la riforma delle pensioni, ma è necessaria”

www.huffingtonpost.it
22 Marzo 2023

Macron si fa carico dell’impopolarità:

“Avrei evitato la riforma delle pensioni,

ma è necessaria”

di Lorenzo Santucci
“Che cos’è il deficit?” domanda il presidente in tv parlando di responsabilità verso le future generazioni al paese che protesta a oltranza e trabocca di rifiuti, con impianti e fabbriche bloccate, università e scuole occupate. Confermato il governo Borne: “Ascolteremo la rabbia”
Una medicina amara. Con un intero Paese in fiamme, Emmanuel Macron prova a spegnere la rabbia, rivolgendosi direttamente ai francesi per spiegare la necessità assoluta della riforma delle pensioni per l’economia nazionale. Da quando è scoppiata la crisi sulla riforma, a gennaio, esplosa poi dopo l’adozione dell’articolo 49.3 della Costituzione per approvare il testo senza il consenso parlamentare, non aveva parlato in modo così esplicito. In diretta su TF1 e France 2, ore 13 – un orario che le opposizioni hanno ritenuto l’ennesima provocazione, avendo preferito uno più comodo da seguire per la popolazione – il presidente della Repubblica si è presentato per difendere l’operato del governo di Elisabeth Borne: “Non vivo di rimpianti, ma di volontà e tenacia. Avrei preferito evitare la riforma, ma siccome non è un lusso, un piacere ma una necessità mi sono preso l’impegno di realizzarla”, ha affermato, aggiungendo che ora l’obiettivo è farla entrare in vigore entro l’anno. “Il testo democratico della legge deve andare avanti”, rivitalizzando un dialogo costruttivo con parti sociali e partiti, così che “1,8 milioni di pensionati inizieranno a ricevere un aumento in media di 600 euro”.
Ai tanti che si oppongono, Macron rivolge una domanda: “Che cos’è il deficit?”. E aggiunge la risposta: “Una formula magica. Di fatto vuol dire che scegliete di far pagare ai vostri figli, perché oggi non decidete con chiarezza e coraggio”.
C’è però una rabbia che dilaga nelle strade, nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università. Macron ricorda i fatti di Capitol Hill e di Brasilia, spiegando che “non tollereremo insurrezioni. Tra i sondaggi a breve termine e l’interesse superiore della nazione, scelgo quest’ultimo”. Poi, posato il bastone, Macron concede qualche parola di comprensione alla sua gente: “Ascolteremo la rabbia”, consapevoli che “la riforma è molto difficile”, sono “pronto ad addossarmene l’impopolarità”.
Come ovvio, nessun passo indietro sulla riforma. Come previsto, nessuna intenzione di indire un referendum, attuare rimpasti di governo o sciogliere le Camere. A Elisabeth Borne, Macron ha rinnovato la sua fiducia. Ma quei nove voti che hanno deciso il suo destino, salvandolo dalla mozione di censura, sono politicamente importanti, per cui si cercherà di allargare la maggioranza. Nell’Assemblée nationale i numeri non danno più le sicurezze di un tempo. Per questo martedì, dopo aver incontrato la prima ministra Borne di prima mattina e i presidenti di Camera e Senato a pranzo, alle 19:30 Macron ha convocato trecento parlamentari in una riunione a porte chiuse per dettare la linea del prossimo futuro. Il capo di Stato ha riconosciuto le sue colpe e quelle del governo, incapaci di spiegare ai cittadini l’urgenza di una riforma simile. Ora, gli obiettivi da portare a casa si chiamano ambiente, sanità, scuola e fine vita, oltre a una riforma del lavoro che completi quella sulle retraites. Altri temi fortemente divisivi che andranno superati trovando un’intesa quanto più larga possibile in Parlamento, per evitare passi falsi che, questa volta, sarebbero fatali. Espiati i propri peccati, però, Macron si è lasciato andare ad affermazioni su cui è dovuto inevitabilmente tornare per chiarire. Rivolto ai parlamentari, ha parlato di una folla che “non ha legittimità” di fronte “al popolo sovrano che si esprime nelle urne”. Non intendeva tutti i manifestanti, ha spiegato anche nell’intervista odierna, ma solo quelli violenti. Una precisazione dovuta per non alimentare il malcontento nelle piazze, già di per sé dilagante.
La richiesta di Macron ai suoi è stata di saper “ascoltare la rabbia” e, obiettivamente, la voce sta arrivando forte. Gli scioperi vanno infatti avanti a oltranza lungo tutta la Francia, paralizzata da otto giorni consecutivi. La risposta al discorso televisivo del presidente arriverà da Place de la Victorie a Bordeaux, dove alle 17:30 è stata indetta una manifestazione, mezz’ora prima di quella che si svolgerà nella zona di Stalingrad, a Parigi. La capitale ha appena superato un’altra notte di passione, chiusa con una cinquantina di arresti. Un raduno organizzato dai sindacati a Place de la Republique ha raccolto circa 3.500 adesioni è sfociato nella violenza tra manifestanti e poliziotti, con lanci di oggetti da una parte e lacrimogeni dall’altra. Il fumo ha avvolto anche le banchine e i treni della metropolitana, con la fermata omonima alla piazza che è stata chiusa intorno alle 21. Qualche ora dopo, poco prima dello scoccare della mezzanotte, gli scontri si sono spostati nei dintorni di Place de la Bastille. Intervenendo a France Info, il prefetto della polizia parigina, Laurent Nunez, ha scacciato via le accuse piovute in questi giorni sui suoi agenti, affermando come non si possa soprassedere davanti a “fatti gravissimi”, senza che ci siano stati “fermi preventivi”. Un tentativo per mettere a tacere chi, nell’opposizione e nelle piazze, accusa i poliziotti di aver utilizzato una forza eccessiva per riportare l’ordine, come dimostrano alcuni video circolati sui social network. L’attenzione è interamente concentrata sulla giornata di domani, quando a Parigi sono attese tra le 40mila e le 70mila persone (60/800mila in tutta la Francia) per un nuovo corteo, che attraverserà la città dalla Bastiglia all’Opéra, e per cui saranno schierati 12mila agenti.
La capitale è tuttavia solo il cuore simbolico della protesta. La rabbia per una riforma non voluta da sette francesi su dieci – compresi molti (ex) macroniani – accomuna città e regioni sparse in tutto il Paese. A Lille, ieri, è stato sospeso per qualche istante il festival Series Mania a causa di alcuni manifestanti che hanno fatto irruzione sul red carpet inveendo contro il presidente della Repubblica. Sempre martedì, nella città settentrionale, si è tenuta una manifestazione con 900 persone, nata come pacifica e terminata con tafferugli e cariche della polizia. Altre cinquemila persone si sono date appuntamento a Grenoble, per una fiaccolata di protesta. Circa il doppio secondo i sindacati – o poco meno della metà per le autorità – sono quelli che invece l’hanno organizzata senza autorizzazione a Nantes, più violenta della precedente: i gas lacrimogeni sono stati lanciati quasi subito dalla polizia, colpita da mortai pirotecnici. Il bilancio complessivo parla di 128 arresti in tutta la Francia, con 61 agenti feriti.
A prender parte alle manifestazioni sono i francesi di ogni età, ma soprattutto i più giovani. Si sentono toccati da una riforma che riguarda il loro futuro o, come più volte si è ascoltato o letto sugli striscioni dei manifestanti, che intende rubarglielo. Le università vengono occupate e smobilitate in continuazione: se quella parigina di Science Po è stata liberata venerdì, in quella di Bordeaux Victoire gli studenti hanno votato per trasformare l’ateneo nel quartier generale della loro protesta. Anche all’Université Lumière Lyon II le lezioni sono sospese per via dell’occupazione. Purtuttavia, l’adesione dei docenti è in crescita. “La situazione sta cambiando”, ha affermato Luc, professore di informatica, avvalorato da Francois, un suo collega. “All’Università Paris Cité diversi dipartimenti hanno votato per lo sciopero fino a venerdì. La mobilitazione sta crescendo. La politica delle trovate pubblicitarie e dei colpi di manganello comincia ad avere il suo peso”, afferma scagliandosi contro le violenze che si ripetono da giorni contro i manifestanti, scesi in piazza per via di una legge che non sarebbe mai dovuta essere approvata. “Quando non si ha la maggioranza, si impacchetta la legge”.
I più giovani erano anche alla guida del corteo odierno organizzato a Rennes da diverse centinaia di pescatori, a cui si sono aggiunte altrettante persone contrarie alla riforma pensionistica. Puntavano dritte al palazzo seicentesco del Parlamento di Borgogna, sede della corte d’appello della città, ma sono stati interrotti dalle cariche della polizia davanti alla Direction des affaires maritimes, forse in memoria di quanto accaduto quasi trent’anni fa nell’ultimo grande sciopero che ha interessato il settore.
Non ce n’è uno che non è in sciopero, non c’è lavoratore che non aderisce. Il porto di Brest e, in entrambe le direzioni per un tempo indefinito, il ponte Saint-Nazaire che collega le due città sono stati bloccati. Da diverse ore, allo scalo marittimo – già fermo l’8 e il 16 marzo – non entra né esce nessuno, persone o camion, per via di cinque container che ostacolano l’ingresso. “Non ci sono navi in fase di scarico”, afferma Sébastien Léon, rappresentante del sindacato Cgt. “Resteremo qui tutto il giorno, aspetteremo quello che Macron dirà alle 13 e vedremo cosa succederà dopo. Non mi fido più di questo governo”. Una considerazione su cui concordano in molti, troppi a detta Macron, mai così in difficoltà in quasi sei anni di governo.
Sarà costretto a far fronte anche alla carenza di carburante. Il 14,3% dei distributori nazionali sta finendo la benzina o il diesel, mentre il 7,13% sono completamente a secco, creando disagi enormi alla popolazione. Il numero delle stazioni che riscontrano questa situazione emergenziale è invece leggermente diminuito nel sud-est del Paese. Ieri quello di Fos-sur-Mer, vicino Marsiglia, è stato smontato dopo la crescente tensione. A essere vuoto è 39,6% delle stazioni a Bouches-du-Rhône, il 43,2% di quelle nel Gard, il 33,6% nel Vaucluse. Percentuali più basse rispetto agli ultimi due giorni, mentre nell’ovest la situazione sta andando in senso opposto: otre la metà dei distributori della Loire-Atlantique non aveva almeno un tipo di carburante, lo stesso nel 42,4% di quelle nel Maine-et-Loire.
È piena emergenza anche per quel che riguarda i rifiuti. Il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, ha attivato una “unità di crisi”, che si riunirà quotidianamente per “garantire la continuità dei servizi pubblici”. Per le strade della capitale, ci sono oltre 9mila tonnellate di rifiuti, diminuiti rispetto al picco raggiunto venerdì con 10mila tonnellate. Le persone sono costretti a scavalcare mucchi di immondizia ma non si lamentano, consapevoli della ragione per cui non vengono raccolti.
Certo è che si tratta di una cornice che poco si addice al bel quadro parigino, dove fra qualche giorno è atteso anche re Carlo III, alla sua prima visita da sovrano fuori il Regno Unito. Avrebbe dovuto parlare all’Assemblée national e prender parte all’apertura di un consolato a Bordeaux – da attento ambientalista, gli piacerebbe anche vedere di persona l’area devastata dagli scorsi incendi estivi e recarsi in un vigneto biologico della zona – ma il condizionale è d’obbligo. “Carlo III lo accoglieremo con un bello sciopero”, ha avvisato Olivier Besancenot, del Nuovo Partito Anticapitalista. Sua Maestà è stato già messo in guardia sul clima che troverà, sconsigliandogli di andare in mezzo alla folla. La deputata ecologista Sandrine Rousseau ha addirittura chiesto al “monarca repubblicano” (come ha definito Macron) di rimandare l’evento, data la situazione. “Ci si rende conto di quello che sta accadendo?”, gli ha chiesto. In effetti, non è neanche così sicuro che Carlo possa viaggiare tranquillamente per la Francia, a causa dei blocchi. “È quasi certo che il Re non potrà prendere il tram”, hanno già sentenziato dal sindacato Cftc, sicuri di come “nessun autista vorrà trasportare il re”.
***
www.huffingtonpost.it
22 Marzo 2023

Marchons!

Macron va oltre la folla inferocita,

legittimato dal popolo elettore

di Cesare Martinetti
Ma la Francia sembra ben oltre la crisi di nervi sulla riforma delle pensioni. La gente preme alle porte del Palazzo, sospinta da un coro unanime di reazioni sprezzanti, da sinistra, da destra e dal centro: incendiario, arrogante, vanitoso, offensivo, irresponsabile, incapace di ascoltare la voce del popolo, fuori dal mondo, lunare
Emmanuel Macron tira dritto. Nelle piazze di Francia bruciano i suoi ritratti, siti di news e agenzie di stampa crepitano di attacchi degli avversari e tacciono di consensi, mentre gli storici duellano in confronti con il passato, da Napoleone Bonaparte e la “democrazia autoritaria” al generale populista Georges Boulanger con il suo “appel au peuple” che alla fine dell’Ottocento mandò in crisi la Terza Repubblica. Forse tutti esagerano o forse no e siamo davvero a un passo dalla crisi istituzionale più grave dopo il maggio parigino del 1968. Ma il presidente tira dritto. Dopo giorni di un inquietante e imbarazzato silenzio, ha preso oggi la parola in tv per dire che la riforma delle pensioni approvata lunedì dal governo di Elisabeth Borne verrà attuata dal primo settembre. Salvo modifiche, al momento impreviste, del Consiglio Costituzionale che lo sta esaminando. A partire dal 2027 i francesi andranno in pensione a 64 anni invece di 62. La data sembra scelta dal destino per marcare un passaggio: nel 2027 si chiuderà il secondo quinquennato di Macron e si aprirà la sfida presidenziale più incerta per la quale oggi come oggi Marine Le Pen appare la favorita. Ma intanto bisogna arrivarci sani e salvi.
Politologi e costituzionalisti sono curvi sul corpo febbricitante della Quinta Repubblica. La diagnosi è semplice: siamo in un caso di scuola di scienza politica, lo scontro tra piazza e potere politico, tra il popolo e il presidente eletto (per la seconda volta) un anno fa dal 58 per cento dei francesi. Questo presidente ha deciso di avvalersi dell’articolo 49.3 della Costituzione per trasformare in legge la contestatissima riforma delle pensioni ed evitare un incerto voto parlamentare che avrebbe significato una débacle personale e politica. All’Assemblea Nazionale è stata comunque presentata una “mozione di censura” (sfiducia) contro il governo che si è salvato per appena nove voti mentre intorno a Palais Bourbon, sede del Parlamento, si scatenava una folla rabbiosa. Nella vicina place de le Concorde, dove il 21 gennaio 1793 venne decapitato il re (insieme a un altro migliaio di monarchici) la folla scandiva: “Louis XVI, Louis XVI on l’a décapité, Macron, Macron on peut recommencer”.
Contratto e iper reattivo, Emmanuel Macron nell’intervista in tv ha trovato la formula per rispondere a tutto questo: “Siamo una grande nazione e un vecchio popolo”. Il presidente non teme di “indossare l’impopolarità”, la riforma serve alla tenuta del sistema: “Non metto la polvere sotto il tappeto, questa riforma non è un piacere, ma è necessaria”. Non si cambia governo, non si fanno referendum. Avanti così. Quando gli hanno fatto osservare che il 70 per cento dei francesi è contro la riforma, ha risposto che “l’interesse generale è più importante dei sondaggi a breve termine”. Unica concessione “populista” del presidente è stata l’inedita accusa di “cinismo” alle grandi imprese che hanno realizzato super profitti in questi tempi strani: a loro sarà chiesto un “contributo eccezionale”. In sintesi – dice Macron – la legittimità non è della folla, ma del popolo che si esprime attraverso le istituzioni democraticamente elette. Et voilà.
Ma intanto la folla preme alle porte del Palazzo, sospinta da un coro unanime di reazioni sprezzanti, da sinistra, da destra e dal centro: incendiario, arrogante, vanitoso, offensivo, irresponsabile, incapace di ascoltare la voce del popolo, fuori dal mondo, lunare. Il paese sembra ben al di là della crisi di nervi. Giovedì 23 nuovo sciopero generale che si accompagna a scampoli di notizie che danno il clima: mancheranno più treni del previsto, i tre inceneritori dei rifiuti di Parigi resteranno fermi fino a lunedì prossimo, con ricadute sugli smaltimenti nella capitale già colpita dallo sciopero dei netturbini e sul riscaldamento di un pezzo di città che dipende dall’attività degli inceneritori. E così via in tutta la Francia..
Quanto può tenere tutto questo? La riforma delle pensioni è stato il pretesto per l’attacco concentrico a un presidente mai amato, sempre sospettato di intendenza col nemico, il grande capitale finanziario per il quale aveva lavorato come advisor nella banca di Rothschild, l’uomo né di sinistra né di destra che ha finito quasi sempre per fare una politica di destra. Eletto due volte di “defaut”, per scongiurare l’arrivo al potere di Marine Le Pen: lo storico riflesso antifascista è sempre più sottile. La “foule” di place de la Concorde rivuole la sua ghigliottina.
***
da www.corriere.it
22 marzo 2023

Macron parla alla Francia:

«La riforma sulle pensioni è necessaria»

di Stefano Montefiori
Il presidente francese Emmanuel Macron si è rivolto ai francesi, facendosi intervistare al telegiornale delle 13, su Tf1 e France2 a reti unificate
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — Il presidente Emmanuel Macron va avanti per la sua strada, ribadisce che la riforma delle pensioni «non fa piacere a me come non fa piacere a voi ma è necessaria», conferma che la premier Elisabeth Borne ha la sua fiducia, parla di una nuova tabella di marcia e di un orizzonte riformista più ampio, ma la novità più importante nella sua intervista a reti unificate al telegiornale delle 13 è che evoca un «cinismo di alcune grandi aziende». Non era mai successo da quando nel 2017 Macron è entrato all’Eliseo, e la frase sembra una risposta all’accusa fondamentale di questi mesi di mobilitazione sociale, e cioè che il peso delle riforme ricade sempre sui soliti, ovvero le classi medie e popolari, senza che vengano toccati i profitti record delle grandi imprese e i salari milionari dei loro manager.
Quando parla di sforzo comune, di impegno collettivo di tutti i francesi per finanziare e quindi salvaguardare il modello sociale al quale sono legati, il presidente Macron denuncia il fatto che alcune grandi imprese abbiano ottenuto negli ultimi tempi guadagni eccezionali, che però non sono stati reinvestiti nella società ma spesso usati per «ricomprare le loro azioni in Borsa». Pratica legale e legittima, ma inopportuna in questa fase di conflitto sociale estremo. Macron ha allora annunciato che chiederà a queste aziende «un contributo eccezionale in modo che i lavoratori possano approfittare di questo denaro». A parte questo tentativo di mettersi in sintonia con il sentimento popolare, Macron è apparso fedele a se stesso, con quella competenza e quella padronanza di sé che continua ad affascinare i suoi sostenitori, ed è sempre più insopportabile per gli oppositori che lo trovano arrogante e sconnesso dalla realtà. Gli scioperi e i cortei continueranno, domani è prevista la nona grande giornata di mobilitazione, e Macron ha tenuto a sottolineare il suo rispetto per il dissenso espresso democraticamente nelle manifestazioni autorizzate. Ma ha aggiunto che «non si possono accettare né i faziosi né le fazioni», avvisando che «gli eccessi non verranno tollerati». Da giorni una delle questioni che agita la già complicata vita sociale e politica francese è la gestione dell’ordine pubblico, con i vandalismi e le provocazioni dei black bloc e la repressione talvolta indiscriminata di poliziotti e gendarmi, spesso filmati mentre si accaniscono non sui teppisti ma su dimostranti pacifici.
Macron ha poi cercato di inserire la riforma delle pensioni in un contesto più ampio, quello di una riflessione generale sul senso del lavoro che a suo avviso si è un po’ perduto dopo i lockdown della pandemia. Così il presidente vuole far ripartire il dialogo con i partner sociali sulle condizioni di lavoro, l’evoluzione delle carriere e i mestieri usuranti.
Ma Macron si è detto pronto a «sopportare l’impopolarità» pur di attuare la riforma. «Io non cerco di essere rieletto, in ogni caso la Costituzione me lo impedirebbe perché questo è già il mio secondo mandato presidenziale. Tra i sondaggi a breve termine e l’interesse generale del Paese, scelgo l’interesse generale del Paese».
Toni concilianti ma non troppo, e una riaffermazione della linea tenuta ormai da mesi, nonostante le proteste nelle piazze e il rischio che l’insurrezione popolare auspicata da Jean-Luc Mélenchon (il leader della sinistra radicale) arrivi davvero. «La riforma delle pensioni con i 64 anni di età entrerà in vigore entro l’anno», ha ribadito Macron. I sindacati, i partiti di opposizione di destra e sinistra, gli studenti e centinaia di migliaia di lavoratori continuano a sentirsi inascoltati e torneranno a manifestare, a cominciare da domani.

Lascia un Commento

CAPTCHA
*