Questi ragazzi educati con la psicologia del sentimento

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Questi ragazzi educati

con la psicologia del sentimento

Lunedì dell’Angelo, 18 aprile: una marea di 70 mila ragazzi provenienti da ogni diocesi italiana si sono radunati in Piazza San Pietro, a Roma, per ascoltare la parola del Papa.
Grande manifestazione, così almeno è apparsa.
Tanta allegria, tanta esuberanza, tanto entusiasmo…
Un momento di gioia perché negarlo, in questo periodo così drammatico.
Il sangue di una guerra atroce ha pesato sulla celebrazione della Pasqua di quest’anno, lasciando perplesso e confuso anche il mondo cattolico, a iniziare da un Papa in balìa di una solitudine talora enigmatica.
Certo, mi aspettavo una Pasqua diversa: non saprei come, ma diversa sì.
Ed ecco subito questa adunata di ragazzi, vivacissimi nei loro colori più simbolici, un tocco di gioia e di creatività.
Il Papa anzitutto ne aveva bisogno, anche per se stesso.
Dopo le dure critiche dei giorni scorsi per certe sue scelte davvero discutibili, un po’ di aria fresca, un po’ di calore anche umano certo non fanno mai dispiacere. Nemmeno al Papa, che vive anche di consenso soprattutto giovanile.
Ma il pericolo c’è che non si vada oltre a queste manifestazioni di massa, che possono assumere un esibizionismo troppo carnale.
E si fa il populista, si adula una gioventù che forse andrebbe anche stimolata, non dico repressa, ma stimolata sì perché esca da quell’anonimato rivestito di un certo folclore che può nascondere il nulla.
No, non bisogna tarpare le ali ai giovani, anzi bisogna far sì che riprendano a volare, ma come?
Farli giocare solo con i sentimenti non è il modo giusto per educarli a volare.
Per volare bisogna distaccarsi da ormeggi inutili, che bloccano il decollo, lo stacco dalla terra.
Credo che abbiamo paura a educare i giovani al decollo. Temiamo di perderli. E così li si educa al minimo necessario per essere bravi ragazzi, non importa se poi non vanno oltre l’essere “bravi”.
E non basta per essere bravi impegnarsi in qualcosa, darsi da fare, organizzare.
È quel rientrare in sé, continuamente in sé, che conta, ma questo sembra quasi un azzardo, un rischio: lasciarli in un mondo intimistico oppure perdere energie utili per l’attivismo pastorale.
Nulla di tutto questo, se si capisce che rientrare in sé porta a quella scoperta capace di rivoluzionare il modo di pensare e di agire, per il meglio di una società che, essendo carnale, ha bisogno non di giovani attivisti, ma di giovani che attingano al loro mondo interiore la forza di trasformare una società sempre più in via di estinzione.
Che cosa allora aspettarci dagli educatori?
Che siano maestri, veri maestri… e non populisti che accarezzano il pelo di una gioventù che, sarà anche brava, ma sembra priva di quel mordente interiore, che è nascosto, o floscio, o troppo timido, e che appunto per questo andrebbe doverosamente stimolato al massimo.
Oggi mancano grandi maestri!
Scuole e comunità cristiane difettano gravemente di forti educatori che sappiano portare i ragazzi fuori di quella normalità stagnante, che è la caratteristica dei tempi privi di luce.
23/04/2022
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