Omelie 2019 di don Giorgio: SECONDA DOPO PENTECOSTE

23 giugno 2019: SECONDA DOPO PENTECOSTE
Sir 18,1-2.4-9a.10-13b; Rm 8,18-25; Mt 6,25-33
La liricità del brano evangelico
Tutti concordano nel dire che il terzo brano di questa domenica, che fa parte del famoso Discorso della Montagna, sia la pagina più lirica presente nei quattro Vangeli.
Tutto dipende da che cosa intendiamo per lirica o poesia. Ci sono ad esempio delle parabole di Gesù che contengono elementi poetici, e ci sono incontri, come quello di Gesù con la samaritana, dove lirica e misticità si armonizzano a meraviglia.
Ad ogni modo, è fuori discussione che il brano di Matteo sia particolarmente lirico: ci sono  tutti gli elementi: gli uccelli, i fiori, l’erba, la precarietà del tempo.
Un brano che ha un messaggio ben preciso
Ma attenzione: la liricità del brano non addolcisce per nulla il messaggio che è paradossalmente espresso in imperativi, sia negativi che positivi. In realtà, si tratta dello stesso verbo, in greco “merimnao”, che significa “sono in ansia”, ripetuto nel testo per tre volte. Anzitutto, vorrei dire una cosa: la liturgia ha fatto un danno, fermandosi al versetto 33, perciò trascurando l’ultimo dove è presente per la terza volta il verbo all’imperativo “merimnao”. Eccolo: «Non siate in ansia dunque per il domani, perché sarà in ansia per se stesso. A ciascun  giorno basta la sua pena».
In realtà la traduzione ufficiale italiana riporta il verbo “preoccuparsi”: “non preoccupatevi”.
Forse c’è una distinzione magari sottile tra “essere in ansia” e “preoccuparsi”. Il verbo “preoccuparsi” è composto di due parole: “pre”, che vuol dire “prima”, e “occuparsi”. Dunque, significa “mi occupo prima”, prima che avvenga una cosa, un evento, da qui nascondono le ansie. Quindi, le ansie derivano dal fatto che mi lascio prendere da previsioni eccessive riguardanti il futuro.
È invece interessante il verbo greco “merimnao, che è usato da Matteo: è una combinazione di due parole: “merizo”, che significa “dividere”, e “nous”, che significa “mente” (includendo le facoltà percettive, di comprensione, sentimento, giudizio e determinazione).
Quindi, chi è in ansia ha la mente divisa, è confuso, si lascia prendere da emozioni o sentimenti fuori controllo, che non provengono dall’intelligenza. Forse annoio dicendo ancora una volta che la parola “intelligenza” deriva da “intus”, dentro, e “legere”, leggere, interpretare. Intelligente è colui che legge gli avvenimenti nella loro interiorità, e non nella loro superficialità.
Da che cosa non bisogna avere ansia?
Gesù dice: «Non siate in ansia per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?». E poi, poco dopo ripete: «Non siate in ansia, dunque, dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”».
L’italiano traduce “vita” il termine greco “psichè”, e traduce “corpo” il termine greco “soma”. Qui troviamo, dunque, due elementi che compongono l’essere umano: corpo e psiche (anima). Manca il termine fondamentale: spirito.
Già questo fa capire come la nostra esistenza la si giochi tra i piaceri del corpo e la felicità della psiche. In ogni caso, pur con emozioni diverse, gli affanni o le ansie ci accompagnano, togliendo quella beatitudine che è solo dello spirito.
Certo, se fosse qui oggi, Gesù Cristo se la prenderebbe non solo con i responsabili della religione o della Chiesa, con parole minacciose: “Guai a voi…!”, ma anche con quei capi politici, che si dicono blasfemicamente cristiani, che hanno ridotto o stanno riducendo un popolo a una massa di ventri o di corpi affamati e assetati di cose e di cose.
Il problema oggi non è “evitare di stare in ansia”, ma di trovare le vere ragioni per cui tutto è corpo. E non si risolvono i problemi pensando solo alla psiche, se poi manca il mondo dello spirito.
“Cercate invece anzitutto il regno di Dio…!”
Ed ecco il verbo imperativo positivo: “Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio!”.
“Cercate!”, in greco “zetèite!”. Il verbo “zetèin” in greco significa cercare, investigare…  Ma può anche significare cercare e volere, perciò bramare, desiderare.
Pensate: la prima parola che Gesù pronuncia nel Vangelo di Giovanni è una domanda che pone a bruciapelo ai due che lo stanno seguendo: “Che cosa cercate?” Τί ζητεῖτε;
È questa una domanda importante che tende a scavare le intenzioni più intime; l’evangelista la sceglie con cura e la riproporrà ancora due volte nel corso della sua narrazione: all’inizio della sua passione, Gesù chiede per due volte a coloro che sono venuti ad arrestarlo nel giardino: «Chi cercate?» (18,4.7); la stessa domanda ripete il Risorto al mattino di Pasqua, quando vuole scuotere la Maddalena piangente: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» (20,15).
Gesù indica chiaramente ciò che bisogna cercare: il regno di Dio! E sul “regno di Dio” potremmo star qui delle ore, giornate intere, a elencare tutte le spiegazioni che se ne sono date, dimenticando che quella giusta, quella vera, l’ha data Gesù stesso che alla domanda dei farisei:; «Quando verrà il regno di Dio?», risponde: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è dentro di voi! (in greco ἐντὸς ὑμῶν ἐστιν». Tutti traducono: “Il regno di Dio è in mezzo a voi, è tra di voi”. Ma l’avverbio greco “entòs” significa all’interno, dentro.
Dire che il regno di Dio è dentro di noi cambia tutto. Il regno di Dio è spirituale, è il regno dello Spirito che agisce nello spirito di ogni essere umano.
Ecco perché Gesù invita più volte a ”guardare”, “osservare”. Ma con quali occhi? Con gli occhi della carne, o con gli occhi dello spirito?
Infine, Gesù unisce al regno di Dio la giustizia. La giustizia di Dio è qualcosa che va ben oltre il concetto umano di giustizia. Non posso soffermarmi: il tempo a disposizione è trascorso.
Ma una cosa è da dire: chi cerca il regno di Dio e la sua giustizia otterrà anche tutto il resto. Gesù non l’ha detto, ma sembra chiaro: chi scopre il regno dello spirito scopre anche il segreto per la risoluzione dei problemi sociali e politici, che non troveranno una soluzione finché si rimane fuori dal proprio essere.
Chi è un alienato, vive fuori dal proprio essere, penserà, vivrà sempre da alienato.

 

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