Omelie 2014 di don Giorgio: Seconda di Avvento – rito ambrosiano

 23 novembre 2014: Seconda domenica di Avvento
Is 51,7-12a; Rm 15,15-21; Mt 3,1-12
Due sono i personaggi che la Liturgia mette in scena durante l’Avvento: sono diversi tra loro, ma complementari. Entrambi hanno un compito ben preciso da compiere: prepararci nel migliore dei modi alla venuta del Salvatore. Sono Giovanni il Battista e Maria santissima. Alla madre del Messia vengono dedicate una festa in particolare, l’Immacolata, e la domenica che precede immediatamente il Natale. Al Precursore la liturgia dedica ben tre brani del Vangelo che parlano di lui: questa domenica, la prossima e domenica 14 dicembre.
Prima di soffermarmi sulla figura di Giovanni, merita una particolare attenzione anche il primo brano, tolto dal Libro di Isaia, o meglio del Secondo Isaia, un anonimo profeta vissuto negli anni successivi al 538 a. C, quando il re persiano Ciro, dopo aver sconfitto i babilonesi, aveva permesso agli ebrei esuli a Babilonia di tornare nella terra dei padri, abbandonata nel 586 a.C., al momento della distruzione di Gerusalemme. Il compito di questo profeta consisteva appunto nello stimolare il ritorno in patria e nel cantarlo come un evento glorioso voluto da Dio.
Il brano di oggi è davvero interessante: è un dialogo che si alterna tra il Signore e il suo popolo. Prima interviene Dio che invita i suoi eletti ad ascoltarlo: “Ascoltatemi”. Più che invito, è un ordine. Un ordine che risuona ancora oggi. In mezzo a tanta confusione e a tante incertezze, bisogna a un certo punto fare silenzio, e ascoltare l’Essenziale.
Che cos’è l’Avvento, se non uno spazio di tempo che noi togliamo alle nostre quotidiane fatiche e preoccupazioni, per dar modo al nostro interiore di rimettere un po’ di ordine nella nostra mente e nel nostro cuore? Noi parliamo, attorno a noi tutti parlano, le cose parlano, e nessuno vuole ascoltare chi ne sa più di noi e più del mondo intero.
L’Avvento cristiano non è anzitutto un programmare chissà quali attività. Più si avvicina il Natale, più aumentano la frenesia e un insieme di cose da fare. Dovrebbe essere il contrario. Più ci avviciniamo al Natale, più dovremmo sentire l’esigenza di fare silenzio dentro e attorno a noi, per sentire la voce di Colui che è l’unico vero Necessario.
“Ascoltatemi”. Dio si rivolge ai suoi fedeli, agli amanti della giustizia, a coloro che portano nel cuore la sua legge. Non devono temere nulla. I nemici tenteranno di farli soccombere, ma Dio sta dalla parte dei giusti.
Ed ecco che il popolo d’Israele risponde, invitando a sua volta il Signore perché risvegli la sua potenza, la sua presenza, perché faccia sentire più forte la sua voce.
Sì, è vero, il Signore sta dalla parte dei giusti, ma non basta. Ci sono situazioni in cui sembra che il Signore stia in silenzio, sia quasi assente. Sembra, ma così non è. Ma il popolo fedele chiede di più. Proprio perché si è fidato di Dio, non accetta che sia continuamente messo alla prova. Ma Dio ha le sue buone ragioni: succedeva che, quando le cose andavano troppo bene, gli ebrei si dimenticassero di Dio. C’erano le crisi? Il popolo tornava al Signore. La storia si ripete sempre. Non ci chiediamo mai il perché la storia sia soggetta a tante crisi che tolgono il respiro e mettono a dura prova la stessa esistenza? Ogni epoca conosce almeno una grande crisi. Noi le chiamiamo crisi economiche e strutturali. Forse sarebbe più giusto chiamarle crisi di valori.
L’Avvento mette a nudo ancora di più questa crisi che sta erodendo l’anima e il corpo. Solo degli illusi potevano credere che la crisi sarebbe durata poco. Ogni crisi ha i suoi tempi. Nessuno, nemmeno gli economisti più esperti, li conosce. Ne usciremo, senza saperne i motivi. Di colpo.
Nel frattempo, diamo la colpa a tutto e a tutti, aggrappandoci a questo o a quello per salvarci. Nessun mago ci porterà fuori dalla crisi. La crisi, anche questa, è frutto di un sistema sbagliato che si è creato col tempo, tessuto senz’altro da qualche mente perversa, ma sempre con il sostegno del popolo. Non sopporto che ci si senta sempre delle vittime. Non solo al tempo degli ebrei, ma anche oggi i cosiddetti buoni sono come un peso morto di una grossa parte che subisce e subisce correndo dietro al sistema del momento. I giusti, invece, non si fanno omologare, non si fanno trascinare: su questi pochi eletti il Signore scommette il  suo progetto.
Infine, il Signore termina con queste parole: «Io, io sono il vostro consolatore». Non so esattamente il significato del termine “consolazione” in ebraico. Mi soffermo sulla parola italiana, che deriva dal latino: “cum + solari”. “Cum” vuol dire “mezzo”, “strumento”, mentre “solari” contiene “solus”, che non vuol dire “solo”, ma “intero”.  Perciò, possiamo intendere così le parole del Signore: “Io, io sono colui che soddisferà il vostro desiderio di pienezza, la vostra sete di giustizia”. Le vere sofferenze sono di coloro che cercano il bene, ma non lo trovano. I giusti soffrono perché vivono in un mondo di iniquità. Non si accontentano del poco di bene che c’è. Il disegno di Dio è grande. Non si accontenta del minimo.
Il Vangelo di oggi introduce la figura di Giovanni il Battista. L’evangelista Matteo non usa preamboli: «In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”».
“In quei giorni”: una frase che non fissa un determinato tempo. Non si sa esattamente quando Giovanni è apparso sulla scena pubblica. All’evangelista non interessava. Forse non si ricordava, forse non lo sapeva. Ma una cosa è certa: a un certo punto, Giovanni si è fatto sentire. “In quei giorni” può benissimo indicare qualsiasi tempo: anche i nostri tempi. C’è sempre un momento in cui un certo Giovanni Battista compare a dirci: “Convertitevi!”. Anche in italiano il verbo “convertire” è significativo: vuol dire di per sé “cambiare strada”, invertire la rotta. Mi converto quando mi accorgo di aver preso una strada sbagliata, mi fermo, torno indietro a prendere quella giusta. Il verbo greco, “metanoèite”, è ancora più pregnante di senso: deriva da “metànoia” (“noia” deriva da “nous”, che significa mente, pensiero). Dunque, convertirsi significa cambiare mente, pensiero. È dalla mente e dal pensiero che derivano le nostre azioni, i nostri comportamenti. Quindi, Giovanni il Battista non si è limitato a dire alle folle: “Agite bene”. In altre parole, il suo messaggio non era anzitutto di tipo moralistico. Fate i bravi! Il messaggio di Giovanni era radicale: puntava alla mente e al cuore.
Giovanni ha voluto essere coerente anche nel suo vestito e nel suo cibo. Sobrio, essenziale, asciutto, quasi scostante. Duro nelle parole, altrettanto duro nelle sue scelte di vita. La gente accorreva, perché sentiva che in Giovanni c’era qualcosa di autentico. E non si è ribellata, quando si è sentita colpita sul vivo dalle parole: “Razza di vipere!”. Se dovessimo usare oggi espressioni simili, saremmo denunciati.
Ma Giovanni non andava tanto per il sottile: sapeva che l’ipocrisia era anche allora il peccato più grave. Per cambiare la mente, occorrevano parole forti, sconvolgenti, rivoltanti, urticanti. Cristo stesso tornerà sull’ipocrisia, rivolgendosi anzitutto ai capi politici e religiosi.
Certo, Gesù, a differenza di Giovanni, ha manifestato anche il volto di un Dio misericordioso. Misericordia sì, ma la misericordia non è una specie di condono a ripetizione. La misericordia conduce alla giustizia. Tutti abbiamo bisogno di misericordia di Dio. Ma Dio vuole anzitutto il nostro bene, e il nostro bene è il nostro essere umano, che, se è debole e perciò bisognoso di misericordia, ha però bisogno di essere risvegliato e guidato verso la sua piena realizzazione.
La misericordia è la pazienza di Dio che sa attendere, e nel frattempo ci sostiene nelle nostre debolezze. Dio è paziente ma in vista della giustizia, intesa nella pienezza del nostro essere e nella realizzazione del suo disegno sulla storia umana. Secondo la Bibbia, giustizia e misericordia si abbracciano. Ambedue si rifanno al nostro essere umano, da sviluppare nella sua bontà radicale (ecco la giustizia), ma da sostenere a causa dei suoi limiti e debolezze (ecco la misericordia).

 

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