Gli antidoti magici di Angelo Scola per i Decanati di Brivio e di Merate
di don Giorgio De Capitani
Potrei così riassumere, anche se riduttivamente (per provocare), le indicazioni salvifiche (o toccasana) di Angelo Scola per i fedeli dei Decanati di Brivio e di Merate: qualche Ave Maria lungo la giornata, molte giaculatorie (evitando possibilmente quelle leghiste che danno a dio ciò che loro sono: in ogni caso, sono perdonabili per i leghisti factotum che preparano le feste culinarie parrocchiali), leggere il portale della Diocesi milanese e Avvenire, oltre che i documenti ecclesiali (poteva anche proibire di entrare nel sito www.dongiorgio.it); ai laici sia permesso di tenere aperte le chiese (notate bene però le parole dei cardinale: “non vedo male l’ipotesi che i laici, dopo essere stati preparati adeguatamente, o una famiglia possano tenere aperta la chiesa”, come se fosse indispensabile andare a scuola di teologia per aprire o chiudere la porta di una chiesa o a recitare il rosario o programmare qualche novena: immagino già la corsa ad accaparrarsi il privilegio da parte delle bigotte fustrate!); ai ragazzi si continui a insegnare il catechismo e tante belle preghierine.
Ma c’è di più. Secondo il cardinale, Il vero problema della Diocesi milanese non è la mancanza dei preti che sono ancora tanti (certo, è vero, sono ancora circa duemila, ma quanti tra questi sono pronti a obbedire, quando il loro vescovo li sposta da una parrocchia all’altra?). E a proposito dei preti anziani sentite che cosa ha detto: «I preti anziani sono molto attivi, dando una mano splendida, soprattutto nel confessionale, nella visita agli ammalati, e nella loro consegna a Dio nella sofferenza». Eminenza, forse ti dimentichi che hai messo in disparte preti anziani tuttora “attivi” (almeno intellettualmente) ma “scomodi” e che uno tra questi è il sottoscritto, che risiede a vita privata nel Decanato di Brivio. Neppure te ne sei ricordato, neanche durante l’Anno giubilare, l’anno della misericordia: per me le porte sono rimaste chiuse, anche se il mio Dio, diverso per fortuna da quello della Chiesa cattolica, avrà sorriso pensando alle vostre pretese di mungere latte alle mammelle turgide di un dio fantoccio.
Ulteriori considerazioni
A un cardinale che se ne sta andando tutto è perdonabile, e il miglior perdono starà nel dimenticare ciò che in questi cinque anni ha fatto, distruggendo la Diocesi milanese. Non sarà facile, anche perché il tempo perso non si ricupererà più, e la Diocesi dovrà faticare a riprendere il suo passo. E non è stata tutta colpa sua: nessuno tra i suoi più stretti collaboratori ha tentato, almeno efficacemente, si è messo per traverso. Certo, anche il popolo di Dio è colpevole: ho avuto un’ulteriore prova sentendo le domandine smussate dei fedeli al cardinale.
Non sarà facile per il nuovo vescovo prendere in mano una diocesi così immobile e tentare di farla decollare. Non tocca a me insegnargli cosa dovrà fare, anche se, se me lo chiederà, potrò dare qualche consiglio. Ma non lo farà.
Leggere
Scola: «La partecipazione passiva è un tradimento della sequela di Gesù»
Oggi ascoltavo il gestore di una libreria religiosa e un frate francescano. Parlavano dell’assenza dei fedeli del decanato di Merate all’incontro con Scola nel salone dell’Istituto Beata Vergine Maria a Merate. Erano presenti solo quelli del decanato di Brivio. Parlavano dell’infelice gestione da parte di Scola della diocesi milanese. Per il frate francescano è fuori della realtà della diocesi nel quale vive. Da quanto ho capito: “Tutto fumo e niente arrosto”.
Questo tipo di intervento del vescovo serve quanto meno ad una cosa, cioè ad evidenziare la visuale di fede, una certa visione, che anche in questo si esprime pienamente, e che la dice lunga.
Preghiere, giaculatorie e quant’altro rinviano, a mio modesto avviso, ad una visuale puramente formale.
Con questo non intendo dire che siano aspetti negativi, ci mancherebbe, ma limitarsi a questo tende a ricondurre il tutto a qualche forma rituale da celebrare durante la giornata, e poi uno si sente a posto.
E’ quindi evidente un’altra prospettiva, che punti anche alla pastorale, all’impegno sociale, e ad altri aspetti, che certo vanno oltre la mera liturgia.
Aprire gli orizzonti dovrebbe essere il primo obiettivo del buon pastore, invece talora capita che al pastore interessi solo chiudere le pecore in un angusto ovile, dove tutti devono avere la stessa idea, o al limite godere di qualche spettacolo e di qualche liturgia.
Ci sono sicuramente taluni, per cui questo è poco, troppo poco.