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da www.unita.it
La desertificazione industriale
Fabriano chiude lo storico stabilimento
di carta per ufficio:
è l’anno zero dell’industria italiana
A Melano Beko ha messo in cassa integrazione 520 operai, e a Comunanza sospende le attività. Cala il sipario anche sulla Giano, nel luogo che è diventato sinonimo di foglio di carta. Le Marche sono lo specchio fedele di un Paese ormai divorato dalla desertificazione industriale
CRONACA – di Cesare Damiano
19 Dicembre 2024
La desertificazione industriale è più di un rischio imminente per il nostro tessuto produttivo. È un fatto concreto quanto attuale. Produzioni significative e strategiche per la nostra industria scompaiono, annichilendo posti di lavoro e attività determinanti per i territori nei quali si svolgevano. Il deserto, appunto, sostituisce quelle che furono rigogliose aree produttive.
Prendiamo l’esempio di Fabriano, centro industriale di una attivissima Regione come quella delle Marche. Fabriano è stato un polo produttivo del cosiddetto “bianco”, cioè quel settore dell’industria metalmeccanica che produce elettrodomestici, legato a marchi storici che tutti abbiamo ben fissati nella mente come Merloni e Indesit. Ma il nome di quella provincia è anche sinonimo di una produzione di tutt’altro tipo: la carta, della quale Fabriano è praticamente sinonimo. Ed ecco che due crisi industriali, che riguardano due settori così diversi, investono quel territorio.
Probabilmente tutti, o perlomeno molti di noi, abbiamo letto e sentito della crisi della Beko di Melano, stabilimento che produce forni e piani cottura, situato a una manciata di chilometri da Fabriano. Lunedì i suoi 520 operai sono stati messi in cassa integrazione fino alla prima settimana di gennaio, in considerazione di una riduzione produttiva del 40 per cento della sua capacità. Già da settembre una parte dei lavoratori è rimasta a casa alcune settimane al mese con la conseguente perdita di reddito. Non solo, il piano industriale di Beko Europe – proprietà al 75 per cento della turca Arçelik e al 25 per cento dell’americana Whirlpool -, presentato in novembre, prevede l’eliminazione di quasi 2mila dei 5mila dipendenti italiani, la chiusura degli stabilimenti di Comunanza (Ascoli Piceno) e Siena e un pesante ridimensionamento di quello di Cassinetta, in provincia di Varese.
Vengono delocalizzate in altri Paesi, o vengono fortemente ridotte, soprattutto sotto l’immane pressione della concorrenza cinese, le produzioni di lavatrici, congelatori, frigoriferi e forni a incasso e a microonde. Il taglio su Melano prevede 66 esuberi tra gli operai e la chiusura dell’area ricerca e sviluppo, che occupa 300 designer e progettisti. Turchia, Egitto e Romania sono, con i loro costi inferiori, le destinazioni delle produzioni che abbandonano l’Italia. Meno risalto nel discorso pubblico è, probabilmente, stato dato alla fine di un’altra produzione: quella della carta per fotocopie negli stabilimenti della Giano, società del Gruppo Fedrigoni di Fabriano e Vetralla. 174 dipendenti dei due siti sono stati posti in cassa integrazione straordinaria per un anno. Per loro, perlomeno, l’azienda proporrà dei ricollocamenti.
Ma gettando un occhio in giro per il mondo, scopriamo che i maggiori produttori di carta per ufficio si trovano, oggi – come dubitarne -, negli Stati Uniti e in Cina. Ma anche in India, Indonesia e Thailandia. Nel XIII Secolo i cartai di Fabriano innovarono e cambiarono l’universo di quella produzione. Fabriano divenne sinonimo stesso della carta. Ora, almeno per quel che riguarda la produzione di carta da ufficio, la città ha prodotto il suo ultimo foglio. E quel territorio vede sempre più sfilacciarsi la propria capacità industriale. Questo è quel che sta accadendo, oggi, in questo momento storico al nostro tessuto produttivo. Il destino dell’Italia come grande Paese industriale, in tutti i suoi settori, è ben più che in dubbio. La desertificazione è qui, adesso.
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