24 gennaio 2021: TERZA DOPO L’EPIFANIA
Nm 11,4-7.16a.18-20.31-32a; 1Cor 10,1-11b; Mt 4,13b-21
La gente schiava del proprio ventre
Leggendo i brani della Messa diciamo subito una cosa: si parla di cibo, di bevanda e di divertimenti. E la cosa interessante è questa: la gente borbotta, quando non può riempirsi la pancia, ed è disposta a tutto, anche a servire qualche padrone, pur di avere qualcosa sotto i denti.
Gli ebrei, liberi finalmente dalla schiavitù egiziana, in cammino verso la terra promessa, rimpiangono le cipolle d’Egitto! Meglio una bella cipolla da schiavi che da liberi patire magari la fame, tirare un po’ la cinghia.
In poche parole, la pancia vuole il suo primato, non importa se ciò costasse la libertà. Ci si vende anima e corpo per una cipolla d’Egitto.
Il popolo si lamenta non per la mancanza di un po’ di saggezza, ma perché vengono a mancare “i pesci, i cetrioli, i cocomeri, i porri, le cipolle e l’aglio”. Lo dice la Bibbia nel primo brano della Messa.
È sempre il gesto di Esaù che domina la storia dell’umanità: si vende la propria primogenitura, per un piatto di lenticchie. E se la primogenitura rappresenta il nostro essere, il piatto di lenticchie è sempre fisicamente un piatto di lenticchie o una cipolla d’Egitto. Non è questione di barattare una cosa per un’altra (e ci potrebbe anche stare!), ma si scambia un valore per una cosa, anche magari banale, ed è questa la tragedia di una società che vive di cose che riempiono la pancia, e consumano il cervello.
Credo che ogni dittatura nasca e si mantenga sulle esigenze della pancia della gente. In fondo, anche il populismo, che paradossalmente sembra la caratteristica di ogni democrazia, nasce e si mantiene su un popolo che sogna solo carnalità, star bene fisicamente, accaparrarsi più cose possibili, pagare meno tasse, avere tutto come diritto, e perciò pretendere senza mai dare.
Il populismo è la più feroce bestia di questi ultimi tempi: lo vediamo in Europa, e lo stiamo subendo nella nostra bella Italia. Sì, feroce perché toglie alla gente la cosa più importante: saper ragionare con la propria testa. Basta che un tizio qualsiasi prometta una pancia piena, e il popolo ci crede, lo vota, lo fa re dell’Egitto, dove gratuitamente ci sono “i pesci, i cetrioli, i cocomeri, i porri, le cipolle e l’aglio”.
Non ho mai capito una cosa, da quando in Italia è iniziata la Democrazia: come si possa conciliare la libertà con le esigenze di una pancia da riempire con ogni cosa, buona o cattiva che sia, a caro prezzo o a buon mercato. Ma di pancia sempre si tratta.
E allora mi chiedo: che democrazia è mai quella che dà il predominio alla pancia, anche a danno dei valori dell’essere umano? Non sento mai dire, soprattutto oggi, che la libertà e la giustizia vanno al di là di una concezione puramente carnale della vita. Parlo anche della democrazia politica nel senso più nobile del termine: dare a tutti al possibilità di star bene nel proprio essere interiore.
Che ci siano i diritti anche del corpo, non ho nulla in contrario, ma, quando il corpo non mantiene le proprie proporzioni, superando la misura della realtà, allora dell’essere umano rimane solo carnalità.
La cosa assurda è quando tutto dipende dalle esigenze carnali, quando la democrazia si trasforma in una accondiscendenza alla carnalità, quando il popolo prende per libertà ogni rivendicazione carnale, arrivando a quella forma di egoismo che è la radice di ogni male.
Mi chiedo come si possa conciliare l’egoismo con la democrazia, se per democrazia si intende il rispetto dei diritti di ognuno in una consapevolezza personale e collettiva dei propri doveri.
I diritti del corpo sono al servizio dei diritti dell’essere umano, e i diritti dell’essere umano sono fondati sul dovere di essere ciò che si è. Io non ho il diritto di essere, perché l’essere è la realtà del mio spirito. Io sono, ciò è indiscutibile: sono, dunque ho il dovere di dare all’essere il suo primato. Se il corpo avanza dei diritti, il mondo del mio essere interiore impone i suoi diritti, diritti di essere se stesso, perciò impone a ciascuno di noi il dovere di essere noi stessi. Il mondo di oggi neppure sa che esiste l’essere, la realtà interiore, e perciò vive di carnalità, che pretende solo diritti di carnalità.
In altre parole, viviamo in una società (già dire ”viviamo” è assurdo, perché, più che un vivere, è un vegetare!), in cui a prevalere sono i diritti di un corpo, fatti valere da una falsa concezione di democrazia. Non accetto una democrazia fondata solo sull’aspetto materiale, e sui suoi presunti diritti, che non sono altro che pretese di un egoismo tale da frantumare ogni concetto di uguaglianza e di giustizia.
Il brano di San Paolo
Adesso vorrei alzare di tono le riflessioni. Dobbiamo farlo, se vogliamo uscire dal cerchio infernale di una società carnale, che si ammanta di forme democratiche per ingannare una massa ridotta a tubo digerente.
San Paolo nel brano della Messa immagina gli antichi padri nella fede immersi o battezzati nella realtà dello Spirito, di cui si nutrivano. La nube, il mare, la bevanda, il cibo, la roccia: tutte parole che per l’Apostolo richiamano, più che una situazione storica, uno stato d’animo in una simbologia che è ancora attuale. Da cogliere in tutta la sua essenzialità è la realtà dello spirito: il cibo come spirito, la bevanda come spirito, una roccia da cui sgorga l’acqua spirituale.
E San Paolo afferma addirittura che quella roccia era già Cristo. Cristo, in quanto Figlio di Dio, in quanto Logos eterno già presente nel passato.
E allora ci chiediamo: se Cristo al tempo degli antichi padri nella fede era la roccia da cui sgorgava l’acqua dello Spirito, ovvero la grazia divina, che dire della fede dei cristiani di oggi? Prendono il Cristo carnale, quello storico, per farne un cibo e una bevanda che nutrono il corpo. Tutto si riduce a qualcosa di esteriore. Cristo serve solo per qualche grazia che riguarda il corpo.
Lo stesso miracolo di Gesù, che ha moltiplicato i pani e i pesci, andava oltre la carnalità, ovvero nutrire il corpo affamato, ma neppure gli apostoli avevano capito. Pensavano al cibo per il corpo. Cristo dirà: Io sono il Pane della vita. Come ha detto alla Samaritana: Io sono l’acqua dissetante per la vita eterna.
Il Pane della Vita è il Cristo risorto, e non il Cristo storico. Il Cristo risorto è lo Spirito santo.
Ecco perché Gesù ha detto alla Samaritana: «Viene l’Ora, ed è questa in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità».
Riempire solo la pancia non dà gioia. Solo lo Spirito ce la può dare. I preti autentici devono dare gioia. Le loro preghiere dovrebbero terminare con “A te, Padre, la gloria, a te, Figlio, l’amore, a te, Spirito, il canto.” Paolo VI diceva: “La vera vita sacerdotale è gioia. La grazia è gioia. Cristo è la gioia, la vera gioia del mondo”. Don Giorgio, senza trascurare la sofferenza, con le omelie continui a trasmettere gioia. A dire che non si trova nella carnalità, ma nella spiritualità. I cristiani per essere credibili non devono aver nostalgia dell’evento del Cristo storico, ma trasmettere la gioia nel Cristo risorto, lo Spirito santo. Dio non guarda se siamo atei, agnostici o credenti. Guarda se accogliamo la sua grazia che dà gioia.