Morte nell’abisso e abissi di ipocrisia

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Morte nell’abisso e abissi di ipocrisia

di MASSIMO NAVA
Giornali e televisioni di tutto il mondo hanno dedicato pagine e servizi a quella che è ormai senza dubbio una tragedia del mare, essendosi ridotte a nulla le speranze di recuperare il Titan dopo la probabile implosione e la morte ormai certa dei suoi cinque passeggeri andati all’avventura per esplorare il relitto del Titanic. Fin troppo facile spiegare l’enorme attenzione alla vicenda con l’emotività evocativa di una così celebre odissea (l’affondamento del Titanic) narrata in decine di libri, documentari e film e la suggestione mitologica del Titano, il nome della grande stella e titolo della più famosa sinfonia di Mahler.
Meno facile interpretare i sentimenti dei comuni mortali e delle rispettive opinioni pubbliche internazionali di fronte alla spettacolare e costosissima operazione (peraltro fallita) di salvataggio e di fronte alle motivazioni che hanno spinto quattro miliardari e il loro pilota a concepire l’impresa. Per alcuni sono, appunto, quattro eccentrici miliardari, che hanno potuto permettersi una spedizione da 250 mila dollari a testa. «Peggio per loro», quindi, secondo il vecchio adagio che nessuna cassaforte ha mai seguito un funerale, tantomeno negli abissi. Per altri sono eroi del nostro tempo, emuli di esploratori in mondi sconosciuti, intrepidi scalatori di vette, Space o Ocean Cow Boy, discendenti di Magellano, Marco Polo e Colombo senza i quali il mondo non sarebbe andato oltre le colonne d’Ercole. Giulio Verne ci avrebbe scritto un romanzo e Kubrick avrebbe girato un film.
Ma la conquista dell’Olimpo (perché questo sognavano i Titani) e soprattutto il gigantesco impiego di mezzi e uomini per tentare di recuperare il piccolo sommergibile ci dice anche quanta sia la distanza davvero abissale in termini di sensibilità collettiva di fronte ad altre tragedie del mare e — soprattutto — di fronte al terribile naufragio di metà giugno nel mare della Grecia, costato la vita a più di seicento migranti. Secondo un rapporto di Medici senza Frontiere, dall’inizio dell’anno oltre mille e cento persone, oltre alle migliaia degli anni precedenti, hanno perso la vita nel Mediterraneo, il Mare Nostrum diventato un’immensa fossa comune di vittime di guerra non combattenti. Numeri, appunto, che, come diceva Stalin, diventano statistiche, molto meno commoventi della morte con un volto e un nome, come quella dei passeggeri del Titan. In fondo, anche meno eroica, perché non c’è nulla di eroico nel morire cercando di sfuggire alla morte, alla fame, alla miseria come fanno circa 70 milioni di esseri umani nel mondo sconvolto da guerre e carestie.
Migranti eritrei e sudanesi in un barcone in acque libiche, il 17 giugno (Ap)
«Viviamo nell’epoca dell’ ipocrisia», come ha detto ad Andrea Nicastro lo scrittore greco Petros Markaris. Come dargli torto? Il barcone affondato nell’Egeo è soltanto oggetto di polemiche e rimpalli di responsabilità, mentre l’Europa promette azioni che non azionerà mai, mentre nessuno nemmeno si preoccupa di dare un nome alle vittime e magari un risarcimento alle loro famiglie. Eppure anche i migranti disperati hanno pagato il viaggio, forse molto di più, in proporzione, al biglietto di non ritorno acquistato dai miliardari. Tecnicamente, l’abisso dell’Egeo è più esplorabile dell’abisso dell’Atlantico, quantomeno per recuperare relitto e corpi, benché un’operazione del genere appaia certamente meno suggestiva dell’esplorazione del Titanic.
Un’immagine satellitare di tre navi in cerca del Titan, giovedì (Afp)
Ma quanta pietà smuoverebbe un tentativo del genere? Domanda senza risposta, mentre — leggiamo da Usa Today, come da altri quotidiani e resoconti televisivi — ecco l’incredibile task force messa insieme per la ricerca del sottomarino, mentre decine di specialisti della Nasa e della Marina americana e canadese hanno analizzato per giorni i più impercettibili segnali provenienti dal fondo dell’oceano. Robot sottomarini, boe dotate di sonar, aerei e navi da ricognizione — tre C-130 e tre velivoli da trasporto C-17 dell’esercito statunitense, un aereo di pattuglia e due navi canadesi — hanno perlustrato un’area di più di diecimila miglia quadrate, anche se si fa notare che, pur nell’ipotesi di riuscire a rintracciare il Titan, sarebbe stato tecnicamente molto complicato riportarlo in superficie per l’enorme pressione e inimmaginabile che i passeggeri fossero ancora vivi, essendo le scorte di ossigeno limitate a 96 ore.
Il destino ha anche imposto un beffardo collegamento fra gli scafisti criminali e i responsabili della società che gestisce il sommergibile scomparso. La differenza è che si sa in anticipo che i barconi sono tombe del mare, mentre si è saputo dopo che la OceanGate, la società che gestisce il sommergibile scomparso, era stata avvertita che il suo approccio all’impresa avrebbe potuto avere un esito «catastrofico», secondo una lettera del 2018 scritta da leader dell’industria dei sommergibili ottenuta dal New York Times. La lettera dice fra l’altro che l’affermazione di OceanGate secondo cui il design della sua imbarcazione soddisfa o supera gli standard di sicurezza è «fuorviante per il pubblico e viola il codice di condotta professionale dell’industria che tutti noi ci sforziamo di rispettare».
Insomma una truffa, ammantata da enfasi d’avventura. Un primo gruppo di turisti nel 2021 aveva pagato dai 100.000 ai 150.000 dollari a testa per visitare il sito del relitto. Il sito web di OceanGate descrive la «tassa di supporto alla missione» per la spedizione del 2023 come 250.000 dollari a persona. L’uomo d’affari britannico Hamish Harding, che viveva a Dubai negli Emirati Arabi Uniti, era uno degli specialisti della missione: detiene tre Guinness World Record, tra cui quello della più lunga permanenza alla massima profondità dell’oceano da parte di una nave con equipaggio.
Nel marzo 2021, insieme all’esploratore oceanico Victor Vescovo, si era immerso nella profondità più bassa della Fossa delle Marianne, nel Pacifico occidentale. Nel giugno 2022 ha volato nello spazio con il razzo New Shepard di Blue Origin. Secondo una dichiarazione della famiglia inviata all’Associated Press, erano a bordo anche Shahzada Dawood e suo figlio Suleman, membri di una delle famiglie più importanti del Pakistan. La famiglia è nota per gli investimenti nell’agricoltura, nell’industria e nel settore sanitario. Shahzada Dawood fa anche parte del consiglio di amministrazione del Seti Institute, con sede in California, che si occupa della ricerca di intelligenza extraterrestre. Anche l’esploratore francese ed esperto del Titanic Paul-Henry Nargeolet era a bordo, secondo David Gallo, consulente senior per le iniziative strategiche e i progetti speciali della Rms Titanic. Gallo ha identificato Nargeolet, un amico che ha guidato diverse spedizioni sul Titanic, martedì durante un’intervista alla Cnn. Molto probabilmente, molti migranti morti nell’Egeo si chiamavano Mohammed.
mnava@corriere.it Link

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