da www.huffingtonpost.it
24 Luglio 2024
Delmastro ha una soluzione per le carceri.
Ma c’è un problema: è assurda
di Michele Brambilla
Davanti al sovraffollamento, il sottosegretario vuole riportare i detenuti stranieri (un terzo del totale) nei loro paesi. Ma è impossibile: nessuno li riprende. La questione, che il governo ignora, è che il carcere va completamente ripensato
In un’intervista a Repubblica (vedi sotto) il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro ha parlato dell’attuale situazione delle carceri dicendo una cosa giusta, una assurda e una sbagliata.
Cominciamo dalla cosa giusta. Delmastro si è detto contrario ai decreti svuotacarceri. Non ha torto. Sono pezze che chiudono il buco solo per poche settimane, se non per pochi giorni. Occorrono invece svolte strutturali: ma non quelle proposte da Delmastro.
Perché veniamo alla seconda cosa che ha detto, quella assurda. Delmastro dice: un terzo dei detenuti son stranieri; basterebbe rimandarli nei loro paesi di provenienza e si svuoterebbero le carceri; e siccome un detenuto costa allo Stato tra i 137 e i 150 euro al giorno, basta moltiplicare i 19.213 detenuti stranieri per 365 giorni e abbiamo trovato i fondi per costruire carceri e assumere agenti.
Ecco, questo è assurdo perché rimandare gli stranieri nei loro paesi di provenienza è, semplicemente, impossibile. Di molti non sappiamo neppure con certezza quale sia, il paese di provenienza: ma, anche se lo sapessimo, che cosa si fa? Li si carica su una nave o su un aereo e li si scarica su una spiaggia o nel deserto? I paesi, diciamo così, “riceventi”, non accetterebbero la, diciamo così, “restituzione”. E se anche l’accettassero (ma è fantapolitica) questi uomini e queste donne finirebbero di nuovo nei lager libici, o nelle mani di altri delinquenti che prometterebbero loro di rimandarli in Europa, salvo poi abbandonarli in mare.
Per fortuna che è irrealizzabile, la proposta di Delmastro, perché è anche disumana. Chiunque abbia avuto contatto con i migranti sa benissimo che per la maggior parte di loro l’esperienza più dura non è stata la traversata del Mediterraneo su un barcone (che già quella non è proprio una crociera) ma il lungo viaggio via terra per arrivare sulla costa, attraversando deserti e zone di guerra, imbattendosi in bande di criminali e in soldati regolari a volte non meno criminali, e poi finendo nei lager dei torturatori. Un viaggio infernale intrapreso – non dimentichiamolo – perché infernale era anche la situazione di partenza, cioè la vita ordinaria nel loro paese: altrimenti non avrebbero cercato di emigrare. Vogliamo replicare questo film dell’orrore?
E la terza cosa, quella sbagliata: pensare che la soluzione finale (sia usato, questo termine, senza alcun intento malizioso) sia quella di costruire nuove carceri. Il problema non è lo spazio. Il problema, anzi i problemi, sono altri due: il motivo per cui le carceri sono piene e il modo in cui si vive in carcere.
Le carceri sono sovraffollate (61.480 detenuti al 30 giugno, su 51.234 posti regolamentari; meno di tre metri quadrati a testa nel 27,3 per cento degli istituti visitati da Antigone) perché sono la discarica indifferenziata in cui si gettano i rifiuti della società: malati psichiatrici, tossicodipendenti, disperati che si sono messi a rubare perché abbandonati a se stessi dopo che gli è stato consegnato un permesso di soggiorno. La maggioranza dei detenuti è composta da persone che dovrebbero, invece, essere curate e assistite.
E quando dico assistite non voglio certo invocare l’assistenzialismo. Le poche esperienze positive nelle carceri italiane sono quelle in cui alcuni imprenditori hanno portato i loro reparti all’interno degli istituti di pena e hanno assunto i detenuti facendo pagare loro tasse e contributi, stipulando però con loro un patto chiaro: il lavoro e lo stipendio ci saranno solo se i reparti all’interno del carcere produrranno utili. Non è beneficenza. È lavoro. È responsabilizzare i detenuti. È offrire loro la possibilità di un riscatto, di un futuro pulito quando usciranno di galera. È, tra l’altro, rispettare la Costituzione.
Questa è la via che funziona, tanto che coloro che in cella non lavorano hanno una recidiva, quando escono, ufficialmente del 70 per cento, ma in realtà superiore al 90, perché andrebbero considerati anche i reati non scoperti; mentre invece chi ha un lavoro vero ha una recidiva dell’1-2 per cento. Ma su sessanta e passa mila detenuti, ad avere un lavoro vero sono oggi poco più di un migliaio.
Perché a tentare di recuperare o semplicemente aiutare gli scarti dell’umanità ci sono solo persone di buona volontà, comunità di preti e di laici, comunque privati cittadini, non lo Stato, che pensa di allargare la discarica costruendo nuove carceri dopo averle italianizzate.
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Per il sovraffollamento delle carceri
Delmastro incolpa i migranti:
“Rimandiamoli a casa loro
e avremo i fondi necessari”
di Liana Milella
Intervista al sottosegretario meloniano alla Giustizia: “No allo svuotacarceri mascherato della sinistra perché erode la certezza della pena”. Le mamme in cella? “Decide il giudice, ma le borseggiatrici seriali non hanno diritto all’impunità perché sono madri”. Nordio nelle carceri? “Non tengo il pallottoliere delle sue visite”
24 LUGLIO 2024
Andrea Delmastro dica un po’, ai duri di Meloni non frega niente se un detenuto crepa in cella?
«Certo che ci frega. Il problema è se le colpe siano dei morbidi anti-meloniani, dato che questa è la fotografia esatta della catastrofica eredità penitenziaria che stiamo cercando di risolvere».
Peccato che non si vede visto che le carceri scoppiano.
«Mentre gli altri parlavano retoricamente di trattamento noi abbiamo saturato le piante organiche degli educatori, nonché quelle dei mediatori culturali, 3 in tutta Italia a ottobre 2022, e ora 61, sulla pianta organica di 67. Questa è realtà, il resto chiacchiere”.
Qua non contano i numeri, ma i fatti. E 61 mediatori su 61mila detenuti fanno ridere.
«E facevano piangere i tre che c’erano con la sinistra, autrice della pianta organica dei 67».
Pensa davvero di affrontare così i 58 suicidi?
«No, certo. Dobbiamo recuperare altri posti detentivi per umanizzare la pena. Tant’è che abbiamo sbloccato 166 milioni per l’edilizia penitenziaria incredibilmente bloccati, più 84 col Pnrr, recuperando 6.754 posti sui 10mila che mancavano».
Suicidi e sovraffollamento ci sono. È mai andato in una prigione dove c’è stato un suicidio? Non mi pare…
«E sbaglia. Sono andato più volte nelle carceri dove c’erano stati. Ma la sinistra ci suggerisce uno svuotacarceri già vissuto e quindi inutile. La risposta non può essere questa».
E quale sarebbe? Mandare gli stranieri da dove sono venuti?
«Anche, ma non solo. Un terzo dei detenuti è straniero e costa tra i 137 e i 150 euro al giorno. Basta moltiplicare 19.213 detenuti stranieri per queste cifre per 365 giorni e abbiamo già trovato i fondi per costruire nuove carceri, assumere agenti e personale per trattamento e rieducazione».
Lei e Nordio vi tenete mano e parlate sempre al futuro, ma qui bisogna fare subito perché la gente muore.
«Io parlo di misure per i detenuti tossicodipendenti per aumentare la possibilità che possano andare nelle comunità terapeutiche».
Perché Nordio perde tempo a scrivere su Churchill e non va nelle galere?
«Lei non sa che Nordio ha visitato parecchi istituti…».
Mi dica quanti.
«Non tengo il pallottoliere delle sue visite e non invidio l’altrui cultura. Spiace constatare che da sinistra sia un problema».
È cultura lo sfregio di far passare le telefonate da 4 a 6 al mese?
«Mi pare che farle crescere, a differenza di quanto ha fatto la sinistra quando ha governato, sia un’umanizzazione della pena e corrisponde all’idea del centrodestra, umanizzare la pena senza cedere sul fronte delle misure svuotacarceri ancorché mascherate».
Ma di che misure parla? Della Giachetti, 30 giorni in più all’anno per chi si comporta bene in cella?
«Pur rispettando la proposta dell’ottimo collega non voglio aderire a un’ipotesi che erode la certezza della pena».
Ah, l’ha detto, lei vuole che i detenuti marciscano in galera.
«No, voglio che espiino la loro pena perché guardo alle vittime dei reati e ai cittadini per bene che non devono vivere nell’insicurezza sociale».
E tenere i bambini in cella con le madri fa sicurezza?
«Lo deciderà un giudice. Abbiamo solo detto che il rinvio della pena per donne incinte o con figli piccoli non è più obbligatorio. Il giudice valuterà la pericolosità sociale».
Bella furbata, così se una ladruncola ci ricasca voi ci fate una campagna stampa.
«Nessun giudice dotato di senno sbatte in galera una ladruncola con un bimbo di un anno. Diverso è il caso di borseggiatrici seriali che non devono più confidare nell’impunità grazie alla maternità».
Su, lo ammetta, lei è un duro e sta difendendo solo le guardie. Tant’è che ha creato il Gio, la squadretta dei super picchiatori anti-rivolte.
«Io sono un morbido, e lo può chiedere a mia figlia che mi compra con un sorriso. Non sono mai stato con le guardie, ma sempre al fianco degli agenti della polizia penitenziaria, uomini e donne in divisa che rappresentano la legalità e che con il Gio avranno un supporto importante per mantenere la sicurezza, tant’è che tra loro ci sarà anche il negoziatore».
Nuovi picchiatori come al Beccaria?
«Sono professionisti equipaggiati e addestrati per usare meno forza ma garantire più sicurezza».
Un commissario per l’edilizia? Qua siamo agli annunci in stile democristiano.
«Invece è un realtà che ci permetterà di recuperare più velocemente i posti mancanti che abbiamo ereditato».
Un’altra illusione come le caserme di Nordio?
«Dalla sinistra abbiamo ricevuto delusioni e sul binomio umanizzazione e certezza della pena stiamo cercando di ricostruire le carceri».
Dice Scalfarotto che date meno spazio ai detenuti in cella che ai suini negli allevamenti…
«Temo che questa battuta si commenti da sola».
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