L’EDITORIALE
di don Giorgio
Un vescovo fatuo e vanesio
Non so quanti tra i milanesi, se potessero esprimere pubblicamente il loro parere, direbbero bene di un vescovo che, da oramai più di un anno, è stato messo da papa Bergoglio sulla cattedra di Sant’Ambrogio a guidare la diocesi più grande del mondo.
Avesse compiuto almeno un gesto “interessante”!
Avesse almeno pronunciato una parola “dignitosa”!
Lui continua, ogni giorno, a sorprendermi nella sua inspiegabile capacità di banalizzare ogni attesa di qualcosa di nuovo.
Pensavo che, almeno quest’anno, all’avvicinarsi dell’Avvento cristiano, scrivesse col cuore due righe al suo clero, invitandolo a prendere sul serio uno dei periodi più forti dell’anno liturgico.
Ci speravo ancora, ma di nuovo sono rimasto deluso: l’Avvento ambrosiano è iniziato come tutti gli altri anni, in una oscena ostentazione di riti e di inviti di carattere culinario, come se ansiosamente e avidamente si aspettasse anche quest’anno un’occasione ghiotta, in una spasmodica progressione lunga più di un mese, tra piaceri del ventre e pseudo esigenze di carattere spirituale.
Non è osceno un Avvento vissuto per ottenere un orgasmo che, a differenza di quanto può succedere tra due amanti, non è che il prodotto finale di stimolazioni sensoriali che si protraggono, oltre la durata di una notte, sfruttando un Evento che per un cristiano dovrebbe essere il Risveglio interiore per la rinascita divina?
E il vescovo milanese, anche quest’anno, nella sua cocciuta superficialità, irrimediabilmente chiusa ad ogni ravvedimento o conversione, di nuovo ha lasciato il suo gregge nelle mani di lupi rapaci, ovvero di un blasfemo sfruttamento di quel Mistero che, se fosse vissuto nella sua purissima Realtà, potrebbe di colpo cambiare la faccia della terra.
È da più di duemila anni che il “resto” di giusti aspetta il miracolo, ma il miracolo viene procrastinato di anno in anno, di giorno in giorno, anche per colpa di una Chiesa cieca e dei suoi ottusi ministri, che sembrano agire per primi da lupi che rapinano nelle anime anche dei più semplici ogni desiderio di puro cielo.
Almeno tentare! Almeno fingere di tentare! No!
Questo vescovo fatuo e vanesio se ne sta nel suo castello di cartapesta a contemplarsi in specchi di carta stagnola!
E i lupi, altri lupi, sempre più selvaggi, rapinano il gregge, conducendolo lontano da quel Sommo Bene che sembra anch’esso stanco di emanare semi di Bontà.
Un altro Avvento, “altro” da quel bisogno di Spirito che fecondi l’umanità.
E lui, il vanesio, il fatuo, seduto come un burattino sulla cattedra di Sant’Ambrogio, galoppino di una Chiesa, valle di scheletri che si agitano dietro colpi di vento impazzito di un mal-essere generale, non si accorge o, del tutto fuori di sé, dice e fa agitando solo parvenze di un fatuo divino, idolatrato da una massa di cultori del ventre.
24 novembre 2018
Il vescovo è un mediatore. Deve sapere orientare i fedeli e non solo i fedeli (categoria alla quale appartengo) verso il Dio giusto che ama l’uomo nella sua singolarità e totalità. Se non lo fa, vuol dire che non è capace. Il rischio è che i fedeli, ma anche i non fedeli si orientino verso il Dio ingiusto che non ama l’uomo nè nella singolarità, nè nella totalità. In parole povere e semplici il Dio di Salvini. Il Dio dei crocefissi sbandierati, dei rosari e dei vangeli esibiti. Il Dio degli zelanti osservanti e non dei samaritani misericordiosi. Delpini in quale Dio crede? Quello che ama gli stranieri o quello con la croce in mano che li odia. Se non ha il coraggio e si nasconde, è meglio che si faccia da parte per il bene dei fedeli e non solo dei fedeli.