Omelie 2024 di don Giorgio: SECONDA DI AVVENTO

24 novembre 2024: II DI AVVENTO
Is 19,18-24; Ef 3,8-13; Mc 12,1,1-8
Nell’omelia di domenica scorsa, prima di Avvento, avevo palato di un libro, che avevo scritto vent’anni fa, prendendo come spunto alcuni appunti scritti a mano su alcuni quadernetti, trovati dopo la morte improvvisa di don Maurizio Bidoglio.
Gli appunti non si possono stampare, proprio perché sono appunti, frasi anche sintetiche che servono per essere poi sviluppate nelle omelie o nelle conferenze. E così ho pensato di stendere mie riflessioni, sviluppando il tema degli appunti, in realtà facendo mio il pensiero implicito di don Maurizio. Un libro di 160 pagine, di cui 50 riguardano l’Avvento.
Rileggendole in questi giorni mi sono commosso nel pensare che 20 anni fa mi ponevo domande dando qualche risposta, proprio in riferimento al Mistero natalizio. Un Mistero che, in sintesi, potremmo definire: la Sorpresa delle Sorprese sempre più sorprendenti. E tale lo è, quando il Mistero lo si coglie nella sua realtà più interiore, più mistica, e ciò significa che l’incarnazione del Logos eterno, come ho già spiegato nell’omelia di domenica scorsa, non è solo un Evento, l’Evento degli eventi, ma un Avvento, ovvero la rigenerazione continua del Logos eterno nel nostro essere più profondo. Avvento che diventa Attesa attiva, nel senso di contemplativa.
Vi presenterò alcune riflessioni sulla figura di Giovanni il Precursore, di cui si parla nel Vangelo di oggi. Titolo: “Il profeta, servo di Dio e di nessun altro!”.
«Strani, questi profeti di Dio! Unici e originali: non parlano in proprio. Sono soltanto una voce. Tutto il resto lo mette Dio. Beh, proprio tutto no: il profeta mette il coraggio, la forza della testimonianza, talora il sangue. Ti pare poco? Certo è che questi uomini del Signore non seguono la corrente. Se chiedi loro una cosa, te ne danno un’altra: solo ciò che Dio vuole, quel vero bene che, il più delle volte, non corrisponde ai tuoi comandi, ai tuoi capricci, alle tue pretese. Non arrabbiarti dunque se i profeti annunciano una parola scomoda: è la verità di Dio che scotta, irrita, provoca. E non dimenticarlo: anche tu sei chiamato a essere un profeta scomodo.
Giovanni il Battista: un tipo strano, inquietante, selvatico. Costretto a qualificarsi, si autodefinisce: «Io sono una voce». Una voce. Non “la” voce. Una voce che grida, ai nostri tempi, non fa più effetto. Sono in molti ad alzare la loro. Gridano per sovrastare gli altri.
Ma la voce di Giovanni è unica, insolita: «Preparate la via del Signore». La via di Dio non è la via dell’uomo più potente, e non segue piste già battute. Il Signore arriva sempre da un’altra parte: attenzione, allora, perché possiamo perdere l’appuntamento con lui! Un appuntamento fissato nell’essenzialità dell’essere, lontano dal frastuono. Sta qui il compito del cristiano, come quello del Battista: denunciare la non praticabilità di certi sentieri, pur frequentatissimi, se vogliamo che l’uomo incontri Dio. Si corre, si corre, e si conclude poco.
La strada è sbagliata! Si corre dietro a idoli di cartapesta, e non si arriva in nessun luogo. Le vie dell’inganno, dell’avidità, dell’egoismo portano lontano dalla libertà e dalla salvezza.
Sono strade pericolose, proprio perché soffocate dal traffico. Ci si ritrova soli, tra folle anonime. Bisogna tenere desta la profezia: non importa se cade nel vuoto o nell’indifferenza più ostile. La verità va proclamata, anche a costo del sarcasmo più viscido.
Il profeta non fa calcoli, e non valuta le probabilità di essere accolto. Il profeta parla perché sa di custodire una parola che scotta: non può tenerla chiusa in bocca. Una parola infuocata, mentre intorno non c’è che ghiaccio polare!
Il profeta non aspetta risposte: lancia la Parola eterna, e sa che Dio la condurrà a buon fine.
Il profeta non misura il tempo di Dio: sa che c’è un tempo lungo quanto la pazienza infinita.
Le stagioni di Dio non sono le nostre. L’amore tenace sa rispettare le tappe, non ammette forzature. Punta al convincimento interiore. Nessuno, meglio di Dio, conosce l’ostinazione umana, e nessuno, meglio di Dio, conosce il valore supremo della libertà.
Il profeta va controcorrente: contro il buon senso comune di chi ritaglia la verità a misura del proprio vestito, rigorosamente consono alla moda del momento. Il profeta, più che di raccogliere i frutti, si preoccupa di essere fedele, ostinatamente fedele, radicalmente fedele alla scomoda Parola di Dio. Come Giovanni Battista: testimone vero, capace di scomparire nell’attimo stabilito da Dio.
Il profeta non si fa un monumento, non erige per sé un piedistallo: è uno che dà spazio a Dio, solo a Dio. Toglie il disturbo quando non serve più. Non è mai ingombrante, accentratore, invadente. Il profeta dà spazio a Dio, e dà spazio all’altro: alla libertà degli altri.
La sua missione è quella di provocare, di favorire, di preparare l’incontro di Dio con l’uomo.
Quando scatta la scintilla, il profeta è felice di mettersi da parte. Se viene ignorato, non ama mugugnare.
Essere solo voce! Voce dell’Altro! Essere una voce nuda, senza preamboli o addobbi inutili.
Per questo il Battista è stato l’uomo della penitenza, dell’essenzialità più radicale. Solo una voce di Dio, e nient’altro. Di suo ha messo il timbro, forte, deciso, talora violento.
Il vero testimone sa unire uno straordinario coraggio a una straordinaria modestia; una spiccata personalità a una spiccata capacità di cancellarsi. Nel profeta si fondono scomodità e pudore, franchezza e delicatezza. Il profeta non si accontenta di lanciare la Parola di Dio. La prepara, l’attende con ansia, la soffre, la chiede, la desidera intensamente. Poi… se ne va, esce di scena per non ostacolare la Parola, che vuole spazio di libertà.
Il profeta riconosce: «Non sono io l’Atteso, il Veniente!». Non mescola le carte: il gioco — inteso nel senso più nobile — è nelle mani di Dio, solo di Dio.
E se Dio tardasse a manifestarsi, il profeta continuerebbe a tenere alta l’attesa. Più Dio tarda, più il profeta si fa forte e si fa umile. Come è facile per chi ascolta perdere fiducia e voler sostituire Dio, che sembra non arrivare!».
Oggi, potrei anche calcare la mano, confrontando la dura radicale testimonianza del Battista con la testimonianza di una Chiesa istituzionale, più meretrix che sancta, in balìa di una tale carnalità e di tale imbecillità da renderla impotente, incapace di contrapporsi alla carnalità e imbecillità di una società e di un mondo politico osceno, con il cervello fuso.
L’ho già tempo, anche un tempo le istituzioni terrene erano quelle che erano nelle mani di imperi criminali, di una Chiesa criminale (pensate al periodo delle Inquisizioni), ma c’erano grandi geni, grandi santi, fari di luce, vescovi autorevoli, punti riferimento. E oggi? Vuoto assoluto, da una parte e dall’altra. Un tempo l’Avvento era tutto cristiano, tempo di preghiera, di contemplazione, in attesa del Natale. Oggi i preti pensano solo a organizzare mangiate, iniziative prive di ogni senso spirituale. E il Mistero natalizio anche quest’anno non sarà neppure una meteora. È già svanito sotto i nostri occhi spenti.

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