di don Giorgio De Capitani
Se il Natale di Cristo è essenzialità, fino a spogliarsi di ogni orpello decorativo, di ogni convenienza rituale e di ogni sentimentalismo bonario, allora forse una speranza ci è rimasta di cogliere qualcosa di quel Mistero che già i primi cristiani avevano rivestito di miti, trasformatisi subito in leggende più o meno edificanti ed edulcorate via via sempre più superflue e di facciata.
Sinceramente non so nulla di quell’Evento chiamato “incarnazione del Figlio di Dio”, che ancora oggi la Chiesa celebra con ostinata e ostentata fastosità rituale, facendoci credere che più di duemila anni fa sia successo qualcosa di Straordinario, di cui è rimasto come traccia solo un ricordo mitico che, ogni anno che passa, si aggiudica primati su primati di formalità sociali e di legami convenzionali, tanto da chiederci: perché lo facciamo? qual è il vero movente di tutto un insieme di ipocrisie e di droghe eccitanti?
Eppure, ad ogni Natale che arriva sappiamo che saremo ancora ossessionati da un tale clima pubblicitario da toglierci perfino ogni pudore per non sentirci ridicoli.
Che poi, tolti gli orpelli inutili e i sentimentalismi bonari, ridotte all’osso le convenzioni sociali e i fottuti reciproci regali, siamo rimasti al freddo e al gelo, quasi emarginati dalla frenesia collettiva e con tanta solitudine da sentirci privati della gioia di goderci una festa più che legittima, in una società che parla solo di tasse, di sacrifici, di violenze e di morti, ciò non significa che come credente mi senta un infelice o addirittura tagliato fuori dal Mistero divino.
Anche qui i Mistici parlerebbero di distacco, e per distacco non intendevano giocare al minimo indispensabile, ma puntare a quella radicalità che mette sotto accusa, oltre l’avere, anche il volere e il sapere, in vista dell’unico intento: quello di dare all’essere tutto il suo essere, nella sua migliore purezza d’essere.
Certo, il Natale perderebbe tutto il suo apparente calore e il suo fascino consumistico, creando addirittura una aridità tale da sembrare di non vivere più il Natale, ma di sentirlo un giorno come un altro, come se quell’Evento straordinario di tanti anni fa venisse sepolto sotto la cenere. Ma è proprio così?
A parte che ogni giorno dovrebbe essere Natale nella più ordinaria normalità, il fatto è che, dando un peso eccessivo, per non dire allucinante e paranoico, ad una ricorrenza annuale che strumentalizza e usa il Natale come se fosse un oggetto magico, a cui è stata tolta l’anima, rimaniamo delusi quando la messinscena farsesca crolla all’improvviso, appena arriva la sera del 25 dicembre, lasciandoci con i nostri problemi di sempre, irrisolti anche per colpa nostra, di credenti che hanno svuotato il cuore del Mistero.
Quanto vorrei che noi cristiani la smettessimo di proporre un giorno, quello di Natale, come se fosse l’abbraccio con l’umanità più disperata, o la solita ipocrisia di aprire la porta delle nostre case confortevoli ad un poveraccio di strada. Sì, l’ipocrisia continua, e il povero il giorno dopo si sentirà ancor più povero e ancor più maledetto dalla nostra quotidiana indifferenza.
Quando sento dire: “Quest’anno non mi sembra Natale”, non angustiarti, forse sei sulla buona strada: quella della sincerità con te stesso, e quella della essenzialità, che ti porterà all’incontro con il Divino che nasce e si rigenera nell’essere, ogni giorno, lontano dal clamore di una società impazzita.
Concludo queste riflessioni citando un grande poeta mistico del ‘700, Angelus Silesius, che, nel suo capolavoro “Il pellegrino cherubico” (che vi invito a leggere!), scrive:
“Mille volte nascesse Cristo a Betlemme,
ma non in te: sei perduto in eterno”. (I, 61)
“Se lo Spirito di Dio ti tocca con la sua essenza,
in te nascerà il Figlio dell’eternità”. (II, 103)
“Davvero è generato ancor oggi il Verbo eterno!
Dove? Qui, dove in te hai perduto te stesso”. (III, 188)
“L’anima che è vergine e accoglie solo Dio
può incingersi di lui ogni qual volta lo pensa”. (IV, 216)
Sarà come sarà, ma questa festa è sicuramente al centro del nostro cuore.
Un augurio a tutti di un Natale felice.
a Lei don Giorgio ho inviato una mail privata spero che le sia arrivata.
In effetti Natale è un giorno come gli altri, solo che, per convenzione, questa è la data in cui la Chiesa fa cadere il “compleanno” di Gesù incarnato. Che poi la solennità religiosa si possa trasformare in festa mondana non mi sembra così scandaloso, perché l’essere umano è legato a questa vita terrena, ed anche se a volte ha slanci di spiritualità e sente il bisogno di riscoprire ciò che è sacro, addentrandosi nei meandri del mistero divino, le sue manifestazioni di gaiezza sono fondamentalmente mondane. Semmai lo scandaloso è oltrepassare i limiti della decenza e del buon gusto, finendo per trasformare qualcosa di buono in una sagra degli eccessi.
La cosa che mi sembra più fastidiosa di questo momento dell’anno sono i luoghi comuni e le frasi fatte, tipo “a Natale siamo tutti più buoni” oppure l’opportunismo di chi sfrutta questa presunta maggiore indulgenza, disponibilità e sensibilità verso il prossimo e in particolare verso coloro che soffrono e si trovano nel bisogno, come se così potessimo mettere a tacere le nostre coscienze, avendo svolto il nostro compitino e nel resto dell’anno, invece, ce ne potessimo altamente fregare.
Il mio augurio a tutti di poter fare di ogni giorno il proprio Natale, realizzando quanto sperato per sè e per gli altri
E’ vero Natale, quando ogni giorno è Natale, con i propri doni, intesi sopratutto in senso spirituale.
Auguri