“Pensare è un atto eroico”

L’EDITORIALE
di don Giorgio

“Pensare è un atto eroico”

Arriverà il momento in cui l’”uomo” potrà riconoscere di essere un “povero uomo”, ovvero un uomo povero di essere umano?
Riformulo la domanda: quanti momenti “lucidi” l’essere umano riesce a ritagliarsi su questa terra?
Che intendo dire per “lucidi”?
Intendo i momenti in cui siamo riusciti a rientrare in noi stessi e a dare spazio al nostro spirito interiore.
Sì, quante volte siamo riusciti a “intus legere”, a leggere dentro il nostro essere più profondo?
Il tratto caratteristico di Simone Weil nel suo essere nel mondo è la capacità di pensare. Da giovane, quando aveva 16/17 anni, nei suoi primi temi di filosofia aveva scritto che “pensare è un atto eroico”. Spieghiamo.
Ci vuole più eroismo a pensare che ad agire: molte volte l’azione è fatta solo dietro l’impulso del momento, e perciò non comporta quel mettersi di fronte alla realtà, guardandola in faccia per quella che è. Eroico per la Weil non è tanto colui che compie azioni coraggiose. Eroico è soprattutto colui che sa pensare. Perché? Perché ci vuole coraggio a pensare al di fuori del pensiero unico, al di fuori di quel pensiero che è costretto da ciò che Simone Weil chiamava, usando un’espressione presa dal suo filosofo preferito Platone, il “grosso animale”, cioè il collettivo.
E questo è avvenuto non solo nei due totalitarismi, che lei ha analizzato molto bene: il totalitarismo del nazismo e il totalitarismo dello stalinismo. Si è tentato nella storiografia di tenere aperti e distinti questi due totalitarismi, ma Simone Weil, affrontando anche dure critiche, ha detto chiaro: i due totalitarismi sono una sola e unica cosa. Ma non si è limitata ad analizzare i meccanismi del totalitarismo: ha aiutato, e aiuta ancora noi, a vedere gli elementi di totalitarismo che ci possono essere e che ci sono di fatto (altrimenti non saremmo arrivati alla seconda guerra mondiale), nelle democrazie occidentali.
Quando Simone Weil ha cominciato a “pensare” sul serio? Prima, nella lotta politica, e, dopo aver fatto le prime esperienze nei gruppi di sinistra e del sindacato, realizzando un tentativo di sintesi attraverso un testo scritto. Pensate: questo testo è stato redatto nel 1934, quando Simone Weil aveva solo venticinque anni! È di una straordinaria intensità e forza argomentativa. Ha come titolo: “Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale”. L’ha fatto leggere al suo maestro, un professore di filosofia straordinario, noto con un nome molto semplice, Alain (voleva far capire che la filosofia non è qualcosa di grandioso, ma è guardare in faccia alla realtà), ma il cui vero nome era Émile-Auguste Chartier. Ebbene, questo professore, che aveva formato generazioni intere di giovani francesi, dopo aver letto lo scritto, ha detto alla Weil: “Si tratta di Kant continuato”. Queste “Riflessioni” sono straordinarie non solo perché analizzano i meccanismi della società (la forza, il progresso indefinito, l’impossibilità della rivoluzione ecc.), ma perché ci indicano e ci insegnano come sia possibile pensare fuori dal coro.
Che dire oggi, in questa società ben lontana da quella in cui è vissuta Simone Weil? L’uomo ha ripreso a pensare o si è fatto attrarre ancora dalle seduzioni del capitalismo (sotto forme sempre più accattivanti e popolari) e dalle nuove e sofisticate scoperte tecnologiche? 
Oggi l’uomo “pensa”?
Pensare è oggi ancor più eroico!
25 marzo 2017
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

1 Commento

  1. GIANNI ha detto:

    Pensare è un atto talora eroico, ma oggi, più di ieri, tramontato il tempo dei grandi sistemi dittatoriali, è sopratutto eroico pensare con onestà intellettuale ed ammettere le cose, per come effettivamente le pensiamo.
    Con specifico riferimento alla ricerca teologica, devo dire che non approvo, non condivido, ad esempio, l’opinione di chi cerca di far rientrare certe tesi, a prescindere dal merito del loro fondamento, sotto un determinato cappello, spesso quello cattolico.
    L’ho già detto, ad esempio, a proposito di un teologo come Kung, le cui tesi possono essere condivise o meno, in base a diversi diciamo…..ragionamenti teologici.
    Ma non capisco perchè debba, necessariamente, cercare una reductio ad unum, cioè tentare di ricondurre certe tesi al cattolicesimo.
    Se una tesi non è conforme al cattolicesimo, in base ai canoni ed alle regole con cui si definiscono, appunto, le tesi cattoliche, perchè non dichiararlo apertamente?
    Forse per comodità, forse perchè avvantaggiarsi dell’ipese dixit fa pur sempre comodo, o perchè ancora, appunto, esiste una sudditanza in primis psicologica a uscire dai propri tradizionali percorsi di appartenenza.
    Credo, invece, che se ci fosse maggior onestà intellettuale, si renderebbe miglior servizio anche a chi cerca di capire meglio.
    Se il cattolicesimo la pensa in un certo modo, si crea solo confusione dicendo che dovrebbe pensarla diversamente….molto meglio chiarire che il cattolicesimo la pensa in un modo, ma che personalmente non si condivide, e che, quindi, ci si pone fuori, proprio perchè autonomia di pensiero significa anche distinzione nominalistica, ed evitare di fare di ogni erba un fascio, altrimenti anche il comunista diventa fascista, ed il protestante diviene cattolico.
    Peggio ancora se poi si tratta di sostenere un cristianesimo radicale, che non ama i cappelli, ed allora sostenere il cristianesimo radicale e definirsi cattolici, piuttosto che protestanti, ecc., è un’evidente contraddictio in terminis.
    Meglio evitarla.
    Altrimenti siamo, per dire…tutti cattolici a parole, e quando fa comodo, ma poi…..

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