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24 Maggio 2023
Meloni e Schlein.
Occupazione senza opposizione
di Alessandro De Angelis
La premier si prende tutto il prendibile e lo affida ai fedeli anziché ai capaci. Vale anche con Colosimo all’Antimafia. E lo fa indisturbata perché non c’è nessuno a disturbarla
C’è un’unica cosa che funziona meravigliosamente nel governo, con perfetta rispondenza tra pensiero e azione, bisogno e soddisfazione: l’occupazione del potere portata avanti con la voracità di chi deve soddisfare una fame atavica. Piglio revanscista e modalità voraci del barbaro che occupa il trono dorato di Bisanzio, si chiami Antimafia o Rai (dopo Polizia e Finanza). Mentre l’Ue mette nero su bianco le sue “raccomandazioni” che attestano come sul piano del rapporto con la realtà non funziona niente, dall’immigrazione fuori controllo al Pnrr prossimo al fallimento.
Ma evidentemente l’ebbrezza del comando è più forte della preoccupazione, complice l’assenza di alternative, se è vero che l’opposizione oscilla tra la declamazione pura schleiniana e il consociativismo contiano che, nel piatto ricco della Rai, si è materializzato con una bella fetta di torta, a partire da Rai Fiction: mica male, luogo strategico in quanto a risorse e possibilità di influenzare la narrazione del paese. Acclarata postura e protervia, c’è da registrare, come criterio dominante, lo spirito clanico nella scelta delle figure nelle tolde di comando: la fedeltà a Colle Oppio più che la competenza, la “purezza” più che la contaminazione, l’appartenenza più che il grande disegno. Vale per Chiara Colosimo, giovane stella del melonismo capitolino, con discutibili frequentazioni nella galassia nera. E vale per Giampaolo Rossi, piazzato come direttore generale del servizio pubblico e prossimo amministratore delegato che vanta nel suo curriculum convinti elogi a Vladimir Putin e Viktor Orbán e convinte critiche a Sergio Mattarella. Una contraddizione vivente con l’attuale posizionamento internazionale filoatlantico della premier. Ma, anche in questo caso, prevale il vincolo settario più del vincolo esterno.
E del racconto “noi e loro”, della destra che si istituzionalizza ma non si omologa e contamina, fa parte proprio il rapporto con l’informazione, accettata solo quando controllata. Di cui fa parte l’Aventino mediatico dei Fratelli e delle Sorelle d’Italia da emittenti che non siano addomesticate come la Rai e non alleate come Mediaset. E pure il rifiuto sistematico di conferenze stampa, dopo la catastrofe di Cutro, sostituite dalla disintermediazione di video, nel set di Palazzo Chigi o nel fango emiliano trasformato in un set, e peccato che allo sfollato plaudente sia partito qualche braccio alzato e qualche foto del Duce – olé – sulla sua pagina Facebook.
Chiarito, se ve ne fosse stato bisogno, il “chi sono” – qualcosa di diverso da “Sandra” che cinguetta con “Raimondo” – la questione squadernata quotidianamente è se cotanta falange d’acciaio viva solo di una forza propria o se l’imperizia altrui la fa sembrare più forte di ciò che è. Ipotesi per cui propende il cronista innamorato del Palmiro Togliatti salernitano (nel senso di “svolta di Salerno”) che, in nome del gioco democratico, fece riporre i fucili a un popolo pronto a sparare e del Togliatti lateranense (nel senso di Patti Lateranensi) che, in nome della Repubblica avrebbe accettato il Papa presidente, monumentale esempio del primato della grande politica sulle chiacchiere inconcludenti. Ma basterebbero anche esempi minori.
Ed è un discorso che vale sul tema generale – la capacità di incalzare sulle urgenze reali – ma anche sul tema delle occupazioni del potere, che attiene anche alla capacità di contrasto alla dispersa sapienza parlamentare che può essere anche arte astuta, arte della volpe quando non hai la forza del leone. Tutto fuorché il raglio dell’asino. Quanto cioè l’opposizione aventinesca e ululante sia perfettamente funzionale alla caduta dei freni inibitori, anche minimi, del governo oppiesco (inteso come Colle oppio) che, sentendosi indisturbato, quando prepara l’affondo non si pone il problema del rischio.
Insomma: Ignazio La Russa, a proposito di freni inibitori persi nella candidatura proposta e nella condotta da essa esercitata, si è andato a sedere su quello scranno non perché le squadracce avevano ammutolito l’opposizione, ma perché la geniale idea di votare scheda bianca, senza una candidatura alternativa per tracciare le schede, ha aperto la strada ai franchi tiratori (di Matteo Renzi, ma non solo). Magari sarebbe andata allo stesso modo, ma comunque non si è messa in campo, nel gioco parlamentare, una manovra alternativa. E qualcosa di simile è accaduto con Chiara Colosimo: si poteva proporre Rita Dalla Chiesa, provando a dividere la destra, oppure candidare come bandiera Federico Cafiero De Raho (chissà, nel voto segreto succedono tante cose); comunque sarebbe stato un tentativo provare anche per stanare le vere intenzioni di Giuseppe Conte se è vero che il suo Aventino era funzionale a far eleggere Chiara Colosimo, come parte di un accordo sulla Rai. E invece: niente. Tranne poi gridare al “fascista” e a “quella che si fa le foto con gli ex terroristi”, frasi buone per i talk che cozzano drammaticamente coi comportamenti conseguenti. Perché, tecnicamente, se è vero il pericolo democratico, allora non si può rientrare per eleggere i vicepresidenti e partecipare ai lavori presieduti da cotante figure. Ma per dirne una, fai dimettere tutti i tuoi dall’Antimafia e la impalli. E così via, fino alla Rai dove, dopo aver lottizzato e denunciato la lottizzazione altrui, nessuno ha la forza per una discussione in Parlamento sui tanti progetti di legge per cacciare i partiti dalla Rai.
E allora: siamo alle chiacchiere, frutto di imperizia e di finzione scenica, in cui il tema democratico è ridotto a suggestione armocromica, come il colore di una giacca destrutturata che fa molto “de sinistra” da indossare alla bisogna. Gioco che andrebbe condotto con cautela, perché il giorno che l’allarme dovesse diventare vero si pone un problema molto serio nel farlo prendere sul serio.
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