25 maggio 2025: SESTA DI PASQUA
At 21,40b-22,22; Eb 7,17-26; Gv 16,12-22
Soffermiamoci di nuovo sul primo brano, tolto dal libro “Atti degli Apostoli”. Diciamo subito che san Paolo non finisce di stupirci.
Bisognerebbe tenere una lunga conferenza sulla figura di Paolo, visto che è sempre stata contestata un po’ da tutti, anche da cristiani che hanno sempre avuto quel brutto vizio di correre dietro alle ultime mode, come se ciò fosse segno di grande apertura. In breve, a Paolo si contesta di essere lui il fondatore del cristianesimo, o per lo meno di averlo spostato su binari diversi da quelli del vero fondatore che è Gesù Cristo.
Sinceramente non capisco queste illazioni o supposizioni, che non hanno alcun fondamento. Se qualcuno mi dicesse che non è facile leggere le lettere di san Paolo, per un suo modo di ragionare tipicamente rabbinico, che a noi moderni sembra contorto e sibillino, non potrei negarlo, anche se mi chiedo dove sono i bravi esegeti che potrebbero illuminarci.
Ma non credo che tutto ciò che san Paolo ha scritto sia così complesso e sibillino: ci sono pagine, ci sono brani nelle Lettere, che ci sconvolgono per la loro chiarezza. Perché intestardirci nel voler capire tutto, se bastano poche parole per riflettere, sempre in nome di quella fede che animava lo stesso Paolo? Poniamoci una domanda: forse che quando leggiamo un brano del Vangelo, da tutti comprensibile, abbiamo cambiato qualcosa del nostro modo di pensare e di agire?
Soffermiamoci dunque sul primo brano. Dopo il terzo viaggio missionario, Paolo ritorna a Gerusalemme, il cuore dell’ebraismo e anche degli Apostoli: per loro era la città del rifiuto di Cristo, della sua condanna e della sua morte, ma proprio da Gerusalemme sarebbe uscito il dono dello Spirito santo. In ogni caso, Gerusalemme era sempre il cuore del potere politico e religioso, un pericolo per i nuovi credenti, minacciati a causa del loro tradimento.
Tornando a Gerusalemme Paolo sapeva a che cosa andava incontro, era consapevole dei pericoli che doveva attraversare, ma sentiva dentro che doveva ubbidire alla voce dello Spirito, e rendere un servizio ai fratelli.
Si erano sparse voci che Paolo predicava ai pagani e che li portava alla fede in Gesù, attraverso quel Mosè, che poi lui l’ebreo convertito non rispettava nelle sue leggi. Infatti, Paolo insegnava sia ai giudei che ai pagani – che accoglievano la Parola di Gesù e credevano in Lui – di “non circoncidere più i loro figli e di non comportarsi secondo gli usi tradizionali”.
Tuttavia, Paolo vede il lato positivo del suo ritorno nella Città santa: incontra cristiani accoglienti, fa visita a Giacomo apostolo e, mentre viene informato di tutte le dicerie contro di lui, riceve segni di fiducia e di venerazione.
Tuttavia, un giorno, nel Tempio, Paolo viene riconosciuto dai Giudei, e quindi viene sequestrato da persone che vogliono ucciderlo. Salvato dai soldati romani, in un trambusto in cui nessuno si raccapezza più per la confusione, prima di essere portato in caserma, Paolo chiede di poter parlare al popolo. Protetto dai soldati, pronuncia la sua prima difesa, riportata dagli Atti (ci saranno poi altre due). Paolo parla in ebraico, sorprendendo la gente che si incuriosisce e resta ad ascoltarlo in silenzio.
Ed ecco l’astuzia di Paolo: mentre si difende, sviluppa una catechesi su Gesù di Nazaret. Sembra che sia unicamente preoccupato di salvare la propria pelle, ma non è così. Per l’Apostolo ogni occasione è grazia per annunciare a tutti, pagani e ebrei, la Buona Novella, che è la Grazia. E, se ricorda – non è la prima volta – la sua conversione sulla strada verso Damasco dove stava andando per condurre in prigione i cristiani, lo fa davanti agli ebrei, ebrei come lui, per far capire quanto egli fosse cieco prima di ascoltare quella voce di Dio, in quanto potente luce da farlo cadere da cavallo.
Lui, fanatico ebreo, per di più fariseo, perseguitava a morte (uso la sua parola) la Via, in greco “odòs”, lo stesso termine che verrà usato per indicare gli stessi cristiani; prima erano chiamati “fratelli”, poi “santi”, poi “cristiani, e successivamente “quelli della Via”.
Non è un gioco di parole: era sulla via verso Damasco, una via sbagliata in quanto andava a perseguitare i cristiani, e, proprio sulla strada sbagliata, incontra Colui che è la Via. Cristo stesso non si era definito: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”? Sì, “Io sono”: Lui “è” la Via.
E allora possiamo vedere la conversione di Paolo come un cambiare radicalmente strada, per prendere la Via del Risorto, luce e vita. Anche qui: prima c’è la Luce che proviene dall’Alto, una Luce che porta sulla strada della Vita.
Come potete notare, Paolo non dice che ha cambiato i suoi comportamenti morali, come se fosse uno che violava la legge morale ebraica. Oggi diremmo, un peccatore su tutti i fronti. No, Paolo osservava la legge mosaica, così fedelmente o fanaticamente da perseguitare i nemici degli ebrei, ovvero i primi cristiani. Era cieco interiormente. Il Risorto ha tolto dai suoi occhi le scaglie della cecità della mente, diciamo intellettuale.
Sembrerebbe un assurdo: Dio che acceca! Paolo dice che non vedeva più nulla. Era nel buio più totale, tanto da farsi accompagnare per andare, su indicazione della stessa voce celeste, a visitare un certo Anania, che abitava proprio a Damasco.
Certo, qualcuno potrebbe dire: Paolo doveva avere la mente così piena di pregiudizi da richiedere un annullamento totale di quanto gli impediva di vedere la verità.
Noi accettiamo sì di convertici, ma a modo nostro: qualche pregiudizio ce lo teniamo, abbiamo paura che Dio ci accechi a modo suo. Forse perché vedere la verità nuda e cruda ci fa paura. Ci mette in crisi. La stessa nostra morale andrebbe totalmente in crisi.
Un po’ sì, e possibilmente a tempi ristretti, il troppo no, soprattutto se comportasse un tempo troppo lungo.
Qualcuno traduce le parole di Paolo così: “Ha visto il nulla!”. Dunque, in senso positivo. La Luce dall’Alto gli ha fatto vedere il Nulla, ovvero Dio stesso. Così ha inteso Meister Eckhart, l’unico a leggere in profondità le parole di Paolo, solitamente intese in senso fisico: non vedere più nulla con gli occhi carnali.
Convertirci significa, come ha detto lo stesso Cristo, cambiare il nostro modo di pensare, e già il fatto che vogliamo sempre pensare qualcosa su Dio, che è il Nulla, ovvero Essenzialità d’essere, siamo sulla strada sbagliata. La nostra migliore preghiera è quella di Meister Eckhart: “Prego Dio che mi liberi da dio”. Ovvero, prego il vero Dio che mi liberi dalle false immagini di un dio, quello della religione o degli stessi atei (anche gli atei hanno un loro credo), che acceca così da vedere solo cose da idolatrare.
Cambiare mentalità, ovvero farci illuminare dalla Luce, che è Dio, purissimo spirito!
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