Tecnica tra arte e dis-umanità

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Tecnica tra arte e dis-umanità

Sembrava che la tecnica favorisse il progresso umano-sociale, nel senso anche di quel benessere sia materiale che spirituale.
Sì, ci eravamo illusi, e siamo rimasti delusi.
La tecnica doveva essere positiva, se per tecnica intendiamo il suo senso etimologico, che risale agli antichi pensatori greci.
La parola “tecnica” deriva infatti dal greco τέχνη (téchne), che significa “arte”: indicava una prerogativa degli dèi, di cui è stato fatto dono agli uomini per sopperire alla loro intrinseca debolezza. È importante sottolineare che le divinità possedevano le tecniche non perché le avessero apprese o inventate, bensì perché a loro sostanziali. Poi successe che le tecniche divennero proprietà degli uomini, che fecero a meno degli dèi.
Dall’Arte divina si è passati all’arte umana, intesa come “perizia”, “saper fare”, “saper operare”, e l’uomo riuscì a sfruttare i doni del Creato, riducendoli a strumenti sempre più sofisticati, manipolabili anche ai fini bellici.
L’Arte come dono divino, e l’arte come strumento pericoloso, nelle mani di uomini sempre pronti a usare per il male anche gli oggetti più innocui.
Oggi si parla di arte indifferentemente in qualsiasi campo, anche in quello diabolico, ma dobbiamo pur tornare alle origini delle parole, quando il loro significato era pregnante di essere.
Gli antichi pensatori greci erano alla ricerca – era la loro vocazione – di quel pensiero profondo, che scendeva nel pozzo senza fondo del Divino.
E li abbiamo chiamati, ancora oggi, con disprezzo “pagani”, come fossero idolatri di oggetti da manipolare a piacere: invenzioni ingannevoli dietro cui si nascondevano passioni, anche le più brutali.
Dunque, per gli antichi “techne” era quell’Arte che attingeva al mondo del Divino.
Il mondo stesso del Divino era l’Arte per eccellenza.
Riuscite ora a immaginare il contrasto tra l’Arte divina e quella tecnologia di oggi che sembra solo qualcosa di carnale, di materiale, di produzione umana?
Riuscite a immaginate che cosa possa significare “arte tecnologica”, del resto una tautologia paradossale?
L’Arte o è divina, ed è fondata sull’essere, o è qualcosa di creatività carnale, usata ai fini carnali, senza quella spiritualità che è insita nell’essere umano.
L’uomo prende la tecnica, che è il frutto dell’Arte divina, e ne fa un mezzo diabolico, ovvero che separa l’umano dal divino.
Si dice che la tecnologia sia senz’anima o senza lo spirito, ed è vero, e sta qui il dramma di una società che si sente soffocare da invenzioni diaboliche, per cui l’uomo, e di conseguenza la società, è dis-umana.
E non basta dire, come si sente ultimamente dire con slogan privi di senso, che bisogna tornare ad essere umani: che significa essere umani?
Non è una questione di pelle più o meno rifatta, o di carne più o meno carezzevole o piacevole in nome di quel buonismo che non è che una infarinatura della Bontà divina.
Rientrare in sé è un dovere, quando tutto si è fatto carnalità tecnologica, come una corazza protettiva che però è talmente asfissiante da togliere quel respiro profondo, che è il Divino in noi.
Forse le parole non bastano più, neppure i ragionamenti, quando le parole e i ragionamenti provengono da spiragli di luce, che subito però vengono chiusi da quell’inarrestabile progresso tecnologico, privo di ogni respiro divino.
Tutti, coscientemente o incoscientemente, ne soffriamo, ma quanti sono gli spiriti veramente liberi (sciolti da ogni dittatura tecnologica) che sappiano imporre la loro voce di protesta, ma con quella carica divina che solo i Mistici possono avere?
E non basta, come si è detto e magari si continua a ripetere, un “supplemento d’anima o di spirito”, come ha scritto Henri Bergson, filosofo francese.
Oggi ci vuole ben più di un “supplemento d’anima”.
Lo spirito vuole tutto il suo spazio, solo così anche la tecnologia troverà quel “giusto” posto che ne misura i limiti.
25/06/2022
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