Enrico Mattei, una lezione di speranza
da www.settimananews.it
Enrico Mattei, una lezione di speranza
13 giugno 2025
di: Tiziano Torresi
Si è svolto il 12 giugno 2025 all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede e il Sovrano Militare Ordine di Malta, il seminario: «Dall’energia al cuore di Enrico Mattei: una nuova energia per l’autosviluppo dell’Africa», in occasione dell’Ottantesimo anniversario dell’insediamento di Enrico Mattei come commissario straordinario dell’AGIP (12 maggio 1945) e nel decimo anniversario dell’Enciclica Laudato si’, in questo anno giubilare voluto da Papa Francesco per rinnovare «la speranza (che) non delude», mediante un nuovo rapporto col creato. Il seminario è stato promosso dal Movimento Laudato si’, con il patrocinio dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) e con la partnership scientifica di Ecco (The Italian Climate Change Think Thank). Pubblichiamo di seguito la versione integrale dell’articolo scientifico del prof. Tiziano Torresi (Università Pegaso) proposto in sintesi come relazione al seminario.
Una celebre fotografia scattata a Milano il 5 maggio 1945 ritrae Enrico Mattei in prima fila, accanto ai membri del Governo clandestino che ha diretto la battaglia per la liberazione del Nord Italia, alla testa del corteo della liberazione. Ottant’anni dopo, l’anniversario di quelle giornate di festa, di ritrovata libertà ma anche di nuova responsabilità per l’Italia avviata alla democrazia, è occasione propizia per ripercorrere il cammino che dalle strade impervie della Resistenza avrebbe condotto Mattei verso orizzonti ambiziosi e lungimiranti di impegno, lungo un itinerario ideale che dai sentieri dell’Appennino e della lotta partigiana si snoda sino alle dune sabbiose dell’emancipazione e dell’indipendenza politica ed economica dei popoli africani.
Un altro anniversario, meno celebre e forse un po’ eccentrico rispetto agli studi che hanno riguardato la sua figura, concorre ugualmente a suggerire l’incipit di questo percorso. È l’ottantesimo anniversario della designazione di Enrico Mattei a commissario dell’AGIP, alla fine di aprile 1945. Questa circostanza assume un significato non già per la nomina in sé quanto per il significato che essa avrebbe rivestito nell’itinerario professionale di Mattei.
Il mandato a lui conferito è inizialmente quello di dar corso alla liquidazione di una azienda il cui unico scopo è, per molti, la distribuzione di prodotti petroliferi altrui e che appare agli occhi delle forze politiche null’altro che un relitto della gestione economica del fascismo. Nessuno scommetterebbe un centesimo sulla possibilità che l’AGIP potrà un giorno reggere il confronto con le compagnie anglosassoni, intenzionate a fare dell’Italia una piattaforma per la raffinazione del greggio dei loro giacimenti in Medio Oriente e desiderose di orientare la politica energetica dell’Europa in funzione dello sviluppo e delle esigenze degli Stati Uniti. Le speranze di rinnovare l’azienda sembrano, del resto, per lungo tempo vane. Nonostante ciò, e contro l’approccio allora dominante, che tende a ridurre le aziende pubbliche a meri strumenti inefficienti di intervento statale, Mattei sa infondere all’AGIP un assetto manageriale improntato alla logica d’impresa, pur conservandone la natura pubblica. È l’inizio di un rivoluzionario sviluppo.
In queste brevi considerazioni vorrei soffermarmi proprio sulla caparbietà con la quale Mattei sa conseguire risultati in virtù di un impegno orientato al bene comune e alla progressiva volontà di affrancare l’Italia, prima, e le nazioni reduci dal colonialismo, poi, dalle servitù energetiche, in un contesto internazionale nel quale il Paese lotta per recuperare dignità e onore e i popoli africani combattono per ottenere la propria indipendenza politica ed economica[1].
Il progetto riuscito nei primi anni di impegno di Mattei – costruire cioè su fragili basi una solida architettura istituzionale e produttiva che sia patrimonio di tutti e non di pochissimi – costituisce il laboratorio per la grande e vasta azione politica ed economica che egli porta avanti grazie all’ENI a partire dagli anni Cinquanta nei delicati equilibri della sponda Sud del Mediterraneo, in un’ottica di collaborazione, di responsabilizzazione e non di sfruttamento dell’Africa, coniugando il riscatto politico, economico e sociale dei popoli africani, anche attraverso l’affermazione della sovranità sulle proprie risorse naturali, secondo la formula equilibrata che prevede la partecipazione attiva del paese produttore, con propri uomini e capitali.
Questa missione ha una sua robusta radice nella scelta di campo per la democrazia e per la libertà compiuta con la Resistenza. Il 25 aprile 1960 sulle colonne di «Europa libera» Mattei scrive: «La democrazia, come gli uomini della Resistenza l’hanno concepita e preparata, è regime di libertà integrale: non sarebbe vera libertà quella che non si attuasse anche come giustizia sociale, ossia come liberazione dei più umili dalla miseria e dall’incubo del bisogno. La Resistenza, iniziatasi come opposizione contro la sopraffazione e la tirannia, maturò negli animi la consapevole ribellione contro ogni forma di ingiustizia ed ogni privilegio»[2]. Queste parole costituiscono dunque la nota di fondo delle considerazioni che seguono.
Il crogiolo della Resistenza
La visione di libertà e di impegno coraggioso e creativo di Mattei ricava un’ispirazione, declinatasi poi in tante pagine della sua esperienza professionale, dalla partecipazione in prima persona alla Resistenza italiana[3]. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, l’ideale di una patria coinvolta nella guerra lo porta a ritenere un proprio dovere, in quanto imprenditore, contribuire allo sforzo collettivo cui l’intera nazione si trova. Tuttavia, non tardano a emergere in lui timori e scrupoli morali, derivanti dalla consapevolezza di poter concorrere, seppure indirettamente e attraverso l’impegno lavorativo, al sostegno di una causa percepita sempre più come ingiusta e fatale per il destino del Paese. Questo convincimento, progressivamente chiaritosi nella coscienza, detta una scelta di campo. Ha ricordato in proposito Marcello Boldrini:
«In quegli anni le idee di Mattei cominciarono veramente a modernizzarsi e ad assumere una densità nobile e profonda. […] Mentre premevano lutti e sventure, cominciò a subentrare nella sua coscienza il pensiero che la res publica ordinata, le comunità fraterna degli uomini, sono valori di gran lunga preminenti, i quali non impegnano solo lo Stato ma innanzitutto e soprattutto investono la responsabilità del cittadino. Da questo convincimento breve era il passo per un uomo di azione come Enrico, che doveva far tradurre l’imperativo in decisioni esecutive»[4].
Il passo è effettivamente breve: Mattei aderisce al movimento partigiano delle sue Marche, affiliandosi al Comitato di Liberazione Nazionale ma il suo ingresso nelle file della Resistenza viene accolto con una certa diffidenza. Sono ancora vivi i ricordi delle sue posizioni nazionaliste e dell’adesione al fascismo. I suoi concittadini di Matelica non possono conoscere il lungo e complesso processo di revisione interiore che ha portato il giovane industriale a maturare un radicale cambiamento ideologico ed è soltanto grazie a prove tangibili e immediate della sua ormai sincera e convinta adesione agli ideali resistenziali che Mattei riesce progressivamente a dissipare ogni sospetto. Egli si espone personalmente per fornire un concreto sostegno ai partigiani, mettendo a disposizione armi, materiali e generi di prima necessità, e organizzando attività di reclutamento di uomini e raccolte di risorse da destinare alla lotta clandestina.
Questo attivismo contribuisce in modo determinante a consolidare la fiducia nei suoi confronti e a sancire il suo inserimento nel movimento di liberazione. Tuttavia, la prosecuzione delle sue attività cospirative nel ristretto ambito di Matelica si rivela, in breve tempo, insostenibile: la sua notorietà personale rende impossibile mantenere l’anonimato e aumenta il rischio di essere scoperti e di vedere coinvolti i propri familiari. È dunque a Milano che Mattei vive una nuova intensa pagina della sua esperienza nella lotta partigiana, che gli permette di comprendere la straordinaria complessità dell’azione politica e militare condotta in condizioni di clandestinità, la pericolosità di ogni forma di improvvisazione e, soprattutto, la necessità di operare all’interno di strutture organizzative robuste, coordinate e dirette da leadership dotate di esperienza e di competenza. Un lavoro di squadra, insomma, fondato sulla reciproca fiducia e sul coraggio di realizzare nel presente la propria scelta di futuro, che forgia la sua successiva leadership aziendale.
Due testimonianze di Mario Ferrari Aggradi aiutano a cogliere la tempra dell’uomo e l’importanza dell’azione che egli svolse nei mesi tormentati che precedono la liberazione. Una testimonianza delinea con poche parole la forza del suo carisma: «Probabilmente [Mattei] non ha visioni di alta politica, ma è una personalità forte, avvezza a funzioni di guida e di organizzazione; ha un gran senso di concretezza e un grande slancio; può portare la carica, la vis che tanto desideriamo»[5]. Una seconda testimonianza riassume la base e il senso della sua attività:
«Non passava settimana, senza che Mattei affrontasse i rischi di un viaggio in treno e in macchina. In Emilia, nel bresciano, nell’Ossola o in val Sesia, nel Veneto o nel bergamasco, Mattei andava personalmente: portava denaro, armi, ordini del comando militare ai capi delle nostre formazioni, visitava i gruppi degli amici organizzati nelle città, nelle campagne e sui monti, concertava metodi di operazioni di lotta. Dire cosa fece allora Mattei significa fare la storia della lotta delle formazioni partigiane cattoliche e la storia di gran parte della lotta sostenuta dal movimento partigiano»[6].
L’intuizione del futuro
È in virtù di questo impegno, forgiato nel crogiolo della Resistenza e della rinascita democratica del Paese, che si spiega la fotografia richiamata all’inizio. Qualche giorno prima, la Commissione Centrale Economica del Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia, sotto la presidenza di Cesare Merzagora, ha conferito a Mattei l’incarico di commissario straordinario dell’AGIP per l’Italia settentrionale[7].
L’Azienda Generale Italiana Petroli è stata istituita con Regio Decreto-Legge del 3 aprile 1926, con un capitale iniziale di 100 milioni di lire, di cui il 60% sottoscritto dallo Stato e il restante 40% suddiviso equamente tra l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni e la Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali. La missione originaria della società è stata ampia e ambiziosa: promuovere attività di esplorazione, estrazione, trasporto, raffinazione e commercializzazione di idrocarburi, sia sul territorio nazionale che all’estero. Sin dalla sua fondazione, AGIP si configura dunque come una realtà potenzialmente proiettata sul piano internazionale, ma l’evoluzione del contesto politico e le vicende belliche impediscono lo sviluppo di numerose e promettenti iniziative di ricerca.
Oltre alle attività di esplorazione, l’ente ottiene risultati apprezzabili anche nel settore della raffinazione e della distribuzione dei derivati petroliferi. Un’eredità particolarmente rilevante della società è inoltre rappresentata dalla formazione di un solido corpo tecnico e dirigenziale, una risorsa strategica che si rivelerà fondamentale per la ripresa economica nazionale.
L’incarico affidato a Mattei il 28 aprile 1945, lo stesso giorno della morte del Duce, viene inizialmente percepito come marginale e privo di prospettive, tanto da essere interpretato da alcuni osservatori come un espediente per allontanare dalla scena politica un partigiano di ispirazione democristiana e, come si è visto, di tempra talmente eccezionale da poter costituire un rischio nel delicato e fragile equilibrio tra i partiti del CLN. Lo stesso Mattei, almeno in un primo momento, giudica l’assegnazione irrilevante. Nondimeno − ed è qui che l’intuizione dell’uomo sa riscrivere una storia che appare già scritta – contravvenendo all’incarico, Mattei intraprende invece un’opera silenziosa quanto risoluta di difesa e di rilancio dell’Ente, intuendone le potenzialità strategiche nel quadro della rinascita industriale del Paese.
La scoperta di metano in un pozzo nei pressi di Lodi, già nel 1944, e successivamente l’individuazione del giacimento di Caviaga, lo convincono che il futuro energetico italiano può finalmente fondarsi su una risorsa interna, in grado di affrancare l’Italia dalla dipendenza da fonti estere. Da questa consapevolezza scaturisce la sua decisione di avviare una campagna di ricerche e di trivellazioni, in violazione del mandato ricevuto, spostando fondi destinati all’amministrazione ordinaria verso l’esplorazione mineraria. Egli biasima l’atteggiamento rinunciatario di alcuni esponenti istituzionali, inclini a concepire la situazione postbellica in termini di liquidazione piuttosto che di ricostruzione e formula una lucida analisi del ruolo che AGIP avrebbe dovuto assumere nel riequilibrio del mercato energetico nazionale, allora dominato da interessi stranieri[8].
Rinnovando il proprio impegno a favore della difesa degli interessi nazionali, proprio sulla scia del servizio offerto alla patria al momento della Liberazione, egli sottolinea con forza la necessità di preservare l’esistenza e l’autonomia dell’AGIP. Il contesto politico non è favorevole: da un lato, una parte della sinistra considera l’ente un retaggio del corporativismo fascista; dall’altro, ampi settori della Democrazia Cristiana, tra cui il Ministro del Tesoro Epicarmo Corbino e il Ministro dell’Industria Giovanni Gronchi, propendono per la sua dismissione in favore del capitale privato. Nonostante ciò, Mattei oppone una resistenza tenace, sostenuta da un’inedita capacità di visione strategica. Le pressioni provenienti dagli Stati Uniti, desiderosi di acquisire concessioni e impianti, contribuiscono a rafforzare in lui la determinazione a preservare un asset industriale nazionale. Il suo ingresso in Parlamento e il rafforzamento della sua posizione nell’ente petrolifero, sostenuto dal Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e dal Ministro delle Finanze Ezio Vanoni, gli permettono di articolare una strategia di lungo periodo che presenta l’espansione dell’ente energetico statale come un argine alla penetrazione comunista e come un volano di benessere collettivo.
La scoperta del giacimento di petrolio a Cortemaggiore rappresenta un punto di svolta. L’entusiasmo e la determinazione con cui Mattei ne enfatizza la rilevanza economica contribuiscono a modificare gli equilibri politici. Nel 1953, con l’approvazione della legge n. 136, viene istituito l’Ente Nazionale Idrocarburi, che funge da holding pubblica ma lascia alle società partecipate autonomia gestionale e una configurazione giuridica privata. Alla nuova entità viene conferito il monopolio della ricerca e dell’estrazione di idrocarburi nella pianura padana e nei mari adiacenti, sancendo l’ingresso dell’Italia nel novero dei Paesi dotati di una politica energetica autonoma ma incontrando la risoluta opposizione del Dipartimento di Stato americano, che intravede nella figura di Mattei una minaccia agli interessi angloamericani nel settore petrolifero italiano[9].
Strategia energetica ed etica della cooperazione
A Washington sono politicamente miopi rispetto alla visione di Mattei, ma vedono giusto sul proprio tornaconto. La diplomazia statunitense, così come quella francese, infatti comincia a guardare con sospetto crescente all’azione di Mattei, considerandolo un elemento destabilizzante[10]. Il suo sostegno, diretto e indiretto, alla causa della decolonizzazione, alimenta timori e ritorsioni. Ciò che Mattei intuisce rispetto alla politica energetica dell’Italia assume del resto e in breve tempo un significato peculiare nel contesto geopolitico della decolonizzazione e della Guerra Fredda, nel quale l’azione diplomatica ed economica da lui promossa si configura come un’alternativa sistemica alla logica predatoria adottata fino ad allora dalle principali compagnie petrolifere occidentali[11].
La cosiddetta «formula Mattei» rappresenta l’articolazione operativa di questa visione: essa prevede l’istituzione di società miste con i Paesi produttori, fondate su criteri di equità e di condivisione, sia dei profitti sia delle responsabilità decisionali: per la prima volta nella storia del settore petrolifero si riconosce ai Paesi produttori non solo una quota equa dei proventi, ma un ruolo attivo nella governance delle attività estrattive e nella condivisione della tecnologia.
La portata rivoluzionaria della «formula Mattei» risiede nella sua capacità di ridefinire i rapporti economici su basi nuove, opponendosi alle pratiche oligopolistiche delle grandi compagnie angloamericane che dominano il mercato globale. A differenza di queste ultime, Mattei intende costruire relazioni fondate su reciprocità, sviluppo sostenibile e rispetto delle sovranità nazionali, avviando progetti infrastrutturali e sociali volti alla modernizzazione dei territori ancora interessati dal colonialismo, attraverso programmi integrati che combinano accesso all’energia, formazione, trasferimento tecnologico e investimenti mirati alla creazione di capacità industriali autonome. Questa strategia, che anticipa i moderni concetti di sostenibilità e di sviluppo inclusivo, trova le sue radici in un’etica ispirata alla solidarietà cristiana e a un forte senso di giustizia sociale, già in parte richiamata. La sintesi che ne trae lo stesso Mattei concludendo un lungo e articolato discorso tenuto a Parigi il 22 novembre 1957, condensa la cifra politica e morale dell’azione da lui propiziata, progettata e intrapresa:
«Il petrolio è una risorsa “politica” per eccellenza, sin dai tempi in cui la sua importanza era più strategica che economica. Si tratta ora di porla al servizio di una buona politica, il più possibile priva di reminiscenze imperialistiche e colonialistiche, volta al mantenimento della pace, al benessere di chi quella risorsa possiede per dono della natura e di chi la utilizza per forza della sua industria. L’elevazione dei Paesi produttori al rango di associati delle imprese di coltivazione mi sembra un passo sulla via di quella politica»[12].
Un esempio di questo nuovo passo della politica energetica è l’accordo stipulato nel 1954 con l’Egitto: per la prima volta un Paese produttore ottiene una partecipazione paritaria nella gestione e negli utili di una società petrolifera e, come si è detto, Mattei offre agli interlocutori africani e mediorientali non solo condizioni economiche più favorevoli rispetto al tradizionale schema del 50-50, ma anche il trasferimento di competenze tecniche, la formazione di quadri locali e l’accesso alle tecnologie di esplorazione e di raffinazione[13]. Questo approccio si diffonde rapidamente anche in Iran, con la creazione di una joint venture italo-iraniana che prevede che l’ENI sostenga integralmente i costi di esplorazione, mentre l’Iran interviene finanziariamente solo in caso di ritrovamento di giacimenti. La ripartizione degli utili contempla un ulteriore 50% distribuito tra le due compagnie operanti, al di là del compenso già garantito allo Stato produttore[14].
L’impatto geopolitico di un’economia delle risorse così fondata su relazioni paritarie, sulla legittimità delle aspirazioni nazionali e sull’armonia tra produttori e consumatori, nella consapevolezza che la questione energetica non sia una mera materia tecnica, bensì terreno di confronto tra modelli di sviluppo, visioni del mondo e sistemi di potere, è perciò rilevante. L’8 gennaio 1959, in un discorso al Centro italiano di studi per la riconciliazione internazionale, Mattei afferma:
«I Paesi non industrializzati nei quali sono ubicate le risorse petrolifere esprimono esigenze di emancipazione da uno stato di soggezione semi-coloniale e di sottosviluppo. Essi guardano al petrolio come a un mezzo di miglioramento economico e sociale, e tendono a porsi di fronte all’industria petrolifera, non più soltanto come passivi percettori di imposte, bensì come partecipi attivi dello sfruttamento delle proprie risorse»[15].
Nessun dubbio allora, per Mattei, che si sta per dischiudere per molti paesi, a cominciare da quelli del Medio Oriente, l’opportunità storica di eliminare le carenze strutturali della loro economia, come la ristrettezza dei mercati, la sperequazione nella distribuzione dei mezzi finanziari e la loro limitata circolazione.
Proprio le iniziative di Mattei in Medio Oriente e nel Nord Africa, dettate da una logica radicalmente nuova, «equilibrata e adeguata alle necessità»[16] del tempo nuovo che si annuncia, minano i presupposti del dominio energetico angloamericano, inducendo le compagnie petrolifere a rivedere le loro strategie e contribuendo alla nascita di forme di aggregazione tra Paesi produttori, come l’OPEC[17].
«Non spaventatevi neanche voi»
L’intuizione di saper cogliere e sfruttare la sfida del presente, la volontà di coniugare la libertà e la giustizia sociale radicata sin nella scelta di campo della Resistenza, la sapienza nel conciliare le esigenze della crescita della economia con l’opportunità di coinvolgere le giovani nazioni africane in un processo di sviluppo e di avanzamento produttivo, politico e sociale: si muove lungo questa linea l’impegno di Mattei, rispetto a quello prettamente economico, per favorire la partecipazione dei popoli africani, senza l’obbedienza a progetti imposti o preconfezionati o eterodiretti, e garantirne l’emancipazione, intesa come collaborazione ai destini della storia.
Questa visione affonda le proprie radici in una concezione etica dell’economia che vede nel progresso materiale un diritto universale e nella lotta contro le diseguaglianze una componente strutturale della stabilità globale. L’originalità dell’impostazione di Mattei risiede nella capacità di superare il paradigma egemonico coloniale, sostituendolo con un modello di cooperazione politica fondato sulla pari dignità degli interlocutori, sul rispetto delle sovranità nazionali e sulla condivisione delle opportunità di crescita.
In anni in cui il mondo è ancora diviso tra le sfere di influenza statunitense e sovietica, Mattei delinea quindi una terza via, un’alternativa concreta e praticabile, capace di proiettare l’Italia – pur priva di un passato coloniale di potenza egemone – al centro di un nuovo ordine economico multipolare. La sua proposta non si limita alla mera fornitura di energia, ma si configura come un vero e proprio progetto di modernizzazione condivisa e di sviluppo endogeno. Come già accennato, Mattei non offre solamente contratti, ma trasferimenti di know-how, programmi di formazione tecnica e ingegneristica, investimenti nel capitale umano: scuole, infrastrutture, impianti di trasformazione e reti di distribuzione che restituiscono ai Paesi partner la possibilità concreta di entrare in circuiti produttivi globali non da subalterni, ma da attori protagonisti. Il caso della Nigeria è emblematico.
Qui, grazie all’intervento dell’ENI, il gas associato all’estrazione petrolifera − che fino ad allora veniva disperso con pratiche ad alto impatto ambientale − viene convertito in energia elettrica, contribuendo sia alla riduzione delle emissioni, sia all’elettrificazione di intere aree urbane, con evidenti benefici per la popolazione. Progetti analoghi in Africa propongono una strategia coerente e sistemica volta alla costruzione di infrastrutture sociali ed economiche in grado di generare uno sviluppo duraturo.
A differenza dei modelli neocoloniali, che perpetuano relazioni asimmetriche mascherate da cooperazione, l’approccio di Mattei si fonda su un principio autentico di partenariato. Laddove le grandi compagnie petrolifere anglosassoni tendono a ridurre i Paesi produttori al ruolo di semplici fornitori di materie prime, egli concepisce invece la possibilità di un riscatto economico e politico basato sulla proprietà delle risorse e sulla corresponsabilità gestionale. Anche questo ha una robusta radice nell’esperienza che egli ha avuto in Italia. La faticosa ricostruzione di una dignità per l’Italia all’indomani della seconda guerra mondiale ha infatti tracciato la scia lungo la quale egli ha saputo proporre il suo metodo e il suo progetto a nazioni per decenni vittime del colonialismo, innescando un meccanismo virtuoso di reciproca fiducia e realizzando iniziative radicate in un continuo ricorso alla competenza come norma dell’azione. Una competenza che diventa anche criterio dell’agire del laico nella storia e nel mondo.
Mattei giunge a definire tutto questo, a Tunisi, nel giugno 1960, come un’ideale di indefessa lotta contro la fatalità e la rassegnazione. E stabilisce un limpido paragone proprio con le vicende italiane:
«Io leggo sempre i vostri discorsi − dice ai tunisini − e quello che più mi ha colpito è la lotta contro la fatalità e la rassegnazione. Ho lottato anch’io contro l’idea fissa che esisteva nel mio Paese: che l’Italia fosse condannata ad essere povera per mancanza di materie prime e di fonti energetiche. Queste fonti energetiche le ho individuate e le ho messe in valore e ne ho tratto delle materie prime. Ma prima di far tutto questo ho dovuto fare anch’io della decolonizzazione, perché molti settori dell’economia italiana erano colonizzati»[18].
La formula nuova adottata da Mattei scardina la logica di involuzione e di regresso nel passato, sprona a vincere la paura della novità e, in fondo, ad accogliere in pieno il rischio della libertà:
«Io vi offro un mercato eccedente della vostra produzione – dice allora ai tunisini – e vi offro soprattutto la parità, la cogestione, la formazione di una élite tecnologica perché non siate il ricevitore passivo di una iniziativa straniera, ma siate soggetto, non oggetto, di economia. Io avrò delle critiche in Italia (perché non una raffineria in Sicilia?) e voi subirete delle pressioni angloamericane. Non lasciatevi spaventare. Io non mi sono spaventato; non spaventatevi neanche voi»[19].
Il coraggio che si coglie in queste parole è l’anima di un disegno che Mattei traccia vedendo, nelle sue parole e nelle sue azioni, in controluce quello realizzato nella liberazione. Egli ritiene che l’indipendenza politica e il controllo delle risorse naturali rappresentino condizioni imprescindibili per lo sviluppo economico e per una pacifica convivenza internazionale[20].
Il prezzo della libertà e l’urgenza della giustizia sociale
Alla luce di tutto ciò, Enrico Mattei non può essere interpretato unicamente come un imprenditore pubblico o un tecnico lungimirante: egli è, a pieno titolo, un attore politico di statura internazionale, capace di anticipare i temi della sovranità energetica, della cooperazione e di un nuovo multilateralismo economico[21].
Il legame tra l’esperienza resistenziale e la visione geopolitica di Mattei si dimostra essere come un elemento fondativo della sua azione pubblica, non soltanto per le sue implicazioni biografiche, ma per il profondo retroterra etico, culturale e ideologico che essa dischiude. Mattei non è un imprenditore nel senso tradizionale del termine, bensì un uomo della ricostruzione morale prima ancora che materiale del Paese. La sua militanza nelle file partigiane rappresenta per lui non un’esperienza transitoria, bensì una matrice ideologica permanente, destinata a informare la sua concezione dello Stato, dell’economia e dei rapporti internazionali.
Nel solco dell’antifascismo, Mattei matura una visione della sovranità non come semplice esercizio di potestà istituzionale, bensì come autodeterminazione sostanziale, fondata sulla capacità di un popolo di governare le proprie risorse e il proprio destino economico. Questa idea costituisce la lente attraverso cui leggere e interpretare i processi di decolonizzazione in atto nel secondo dopoguerra: egli riconosce nelle lotte di liberazione dei popoli africani e asiatici la stessa istanza di dignità, di partecipazione alla cittadinanza e di riscatto che hanno animato la Resistenza italiana.
In tal senso, l’azione internazionale dell’ENI e la politica energetica promossa da Mattei si configurano come estensione del progetto resistenziale. La sua insistenza nel paragonare il colonialismo europeo al regime fascista, la sua convinzione che non può esservi pace né sviluppo laddove perdurino rapporti di sfruttamento economico o di soggezione politica, rivelano una coerenza ideologica rara nella prassi imprenditoriale. Mattei attribuisce perciò alla lotta per le risorse lo stesso significato morale che la Resistenza ha attribuito alla lotta per la libertà: entrambe esigono il superamento della subordinazione, il riconoscimento della piena sovranità e la costruzione di un ordine più giusto dove lo Stato e il cittadino collaborino in modo virtuoso per il bene comune.
Tale visione non si limita a una dimensione teorica. La concreta articolazione della “formula Mattei” nei confronti dei Paesi produttori di petrolio è il risultato operativo di una concezione post-coloniale ante litteram, che lega in modo indissolubile indipendenza politica e indipendenza economica. La partecipazione diretta dei Paesi partner alla proprietà delle infrastrutture, alla formazione tecnica, alla redistribuzione dei proventi, rappresenta un capovolgimento radicale delle consuetudini del tempo, ancora segnate dalla logica estrattiva e gerarchica delle ex potenze coloniali.
È in questa prospettiva che si comprende la profonda affinità ideale che Mattei sentiva nei confronti dei movimenti indipendentisti africani e arabi. Il suo sostegno, morale e materiale, al Fronte di Liberazione Nazionale algerino non è di conseguenza un episodio isolato né un gesto opportunistico: esso si iscrive in un orizzonte ideologico in cui il diritto dei popoli alla piena sovranità si pone come valore non negoziabile, anche a costo di entrare in conflitto con le grandi potenze.
A distanza di decenni, questa impostazione si rivela ancora carica di attualità. Le attuali crisi globali − dalla questione climatica alla disuguaglianza energetica, dalle migrazioni alle tensioni post-coloniali irrisolte − interpellano la comunità internazionale sulla necessità di ripensare le relazioni internazionali secondo principi di giustizia e corresponsabilità. L’intuizione secondo cui non può esservi vera libertà senza autonomia economica conserva una forza propositiva con pochi eguali.
In un tempo in cui lo sfruttamento delle risorse e l’instabilità dei mercati internazionali continuano a penalizzare i Paesi in via di sviluppo, il modello di Mattei, costruito sulla sinergia tra sviluppo locale e interesse reciproco, appare come un esempio di straordinaria lungimiranza, capace di rendere concreta una nuova architettura delle relazioni globali, fondata sul rispetto, sulla condivisione delle risorse, sull’emancipazione reale dei popoli.
Conclusioni
Alla luce degli ultimi sviluppi della storiografia e grazie alla pubblicazione delle fonti, la figura di Mattei si distingue ormai per un insieme di tratti così peculiari da sottrarsi a ogni tentativo di riduzione a stereotipo, per la complessità della sua traiettoria esistenziale e per la natura molteplice della sua azione pubblica. Il suo progetto, dall’acquisizione di responsabilità nella liquidazione dell’AGIP sino alle iniziative dell’Eni, qui, per sommi capi, ripercorso, ha saputo porre alla sua base un preciso ordine di priorità, un corretto e accurato bilanciamento di interessi e un orizzonte giocato sui tempi lunghi.
Come si è visto, la lezione di Mattei è stata anche quella di una tenace lotta contro la passività, la fatalità, la rassegnazione. La portata di questa lotta è oggi ancora più evidente. In un mondo segnato da disuguaglianze economiche crescenti, da tensioni geostrategiche intorno alle risorse energetiche e da un ritardo cronico nello sviluppo infrastrutturale del Sud del mondo, il pensiero di Mattei si rivela senza dubbio attuale. La sua insistenza sulla necessità di una partecipazione piena dei Paesi africani ai benefici derivanti dalle proprie risorse, nonché la sua denuncia dell’oligopolio energetico internazionale, anticipavano le attuali istanze di giustizia climatica, equità economica e sostenibilità.
Quello di Mattei è perciò esempio virtuoso che può aiutare a promuovere oggi l’autosviluppo e una sovranità energetica sostenibile. Un modello per far ritrovare l’orgoglio e l’entusiasmo e rendere protagonisti popoli fragili e giovani e di realizzare progetti e iniziative che in una visione integrale dello sviluppo sappia, come e più di allora, coniugare le ragioni morali della dignità umana con le ragioni economiche della produttività.
La sua eredità, oggi più che mai, interroga le politiche energetiche globali sul dovere di conciliare profitto, sviluppo e giustizia. In un’epoca in cui la transizione ecologica e l’equità globale si impongono come priorità irrinunciabili, il messaggio di Mattei continua a costituire una risorsa culturale e strategica per ripensare, su nuove basi, le relazioni tra Nord e Sud del mondo. La bussola per una autentica transizione ecologica e per la costruzione di un modello completamente nuovo, indica che il bene comune deve restare sempre una priorità di chi fa politica nel senso più nobile e alto della parola e che dunque le istituzioni − l’impulso virtuoso dato da Mattei alla storia dell’AGIP esattamente ottant’anni fa lo dimostra − sono serventi ad esso e non un mero strumento utile alla difesa di beni particolaristici[22].
In questo senso è opportuno raccogliere la sua testimonianza come un metodo utilissimo per tornare a calibrare l’urgenza e la pazienza, senza alibi all’azione, per una nuova politica energetica. Nel singolare incrocio tra memoria storica, etica della responsabilità e progettualità geopolitica che la visione di Mattei suscita in chiunque vi si accosti, si colloca la grande modernità della sua figura e sta la freschezza del suo messaggio.
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[1] Della vastissima bibliografia sulla personalità e l’azione di Mattei mi limito a citare, oltre alla voce curata da Marcello Colitti per il Dizionario Biografico degli Italiani, N. Perrone, Mattei, il nemico italiano. Politica e morte del presidente dell’ENI attraverso i documenti segreti, 1945-1962, Leonardo, Milano 1989, Id., Enrico Mattei, Il Mulino, Bologna 2001 e D. Guarnieri, Enrico Mattei. Il comandante, il partigiano, l’uomo politico, il manager di stato, BFS Edizioni, Pisa 2007; cf. anche M. Colitti, Energia e sviluppo in Italia. La vicenda di Enrico Mattei, De Donato, Bari 1979; L. Bazzoli, R. Renzi, Il miracolo Mattei, Rizzoli, Milano 1984; B. Li Vigni, La grande sfida. Mattei, il petrolio e la politica, Mondadori, Milano 1996.
[2] E. Mattei, Il nostro Risorgimento, in «Europa libera», 26 aprile 1960, ora in Id., Scritti e discorsi 1945-1962, Rizzoli, Milano 2012, pp. 182-184.
[3] Cf. G. Ignesti, Gli anni della formazione e della resistenza, in «Civitas», a. XLVI, luglio-settembre 3/1995.
[4] M. Boldrini, Enrico Mattei, Grafica Editrice Romana, Roma 1968, pp. 3-4
[5] M. Ferrari Aggradi, Mattei e Mentasti nella lotta di liberazione, in «Civitas», a. XVI, n. 12, dicembre 1965.
[6] Ibid.
[7] Cf. M. Pizzigallo, Alle origini della politica petrolifera italiana (1920-1925), Milano, Giuffrè, Milano 1981; Id., L’AGIP degli anni ruggenti (1926-1932), Giuffrè, Milano 1984.
[8] Cf. P. Arnaldo, La ripresa dell’AGIP nel discorso del suo Presidente, in «La rivista italiana del petrolio», fasc. 8, n. 148, agosto 1945.
[9] Cf. F. Venanzi, M. Faggiani (a cura di), Eni: un’autobiografia, Sperling e Kupfer, Torino 1994; F. Carnevali, State enterprise and Italy’s “Economic miracle”: The Ente Nazionale Idrocarburi, 1946-1962. Enterprise & Society, June 2000, vol. 1, n. 2, pp. 248-278, Cambridge University Press; G. Sapelli, F. Carnevali, Uno sviluppo tra politica e strategia. ENI (1953-1985), Franco Angeli, Milano 1992.
[10] Cf. M. Caligiuri (a cura di), Enrico Mattei e l’Intelligence. Petrolio e interesse nazionale nella Guerra Fredda, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2002
[11] Cf. L. Maugeri, L’arma del petrolio. Questione petrolifera globale, guerra fredda e politica italiana nella vicenda di Enrico Mattei, Loggia de’ Lanzi, Firenze 1994 e A. Tonini, Il sogno proibito. Mattei, il petrolio arabo e le “sette sorelle”, Polistampa, Firenze 2003.
[12] E. Mattei, [I problemi e le prospettive dell’industria petrolifera per l’Europa occidentale], discorso tenuto a Parigi il 22 novembre 1957 alla conferenza organizzata dal Centro d’études de politique étrangère e dal Comitato per lo studio dei problemi franco-italiani, ora in Id., Scritti e discorsi 1945-1962, cit., pp. 509-518.
[13] Cf. B. Bagnato, Petrolio e politica. Mattei in Marocco, Polistampa, Firenze 2004 e M. Pirani, Mattei e l’Algeria, in F. Venanzi, M. Faggiani (a cura di), ENI un’autobiografia, cit.
[14] Cf. I. Tremolada, La via italiana al petrolio. L’ENI di Enrico Mattei in Iran 1951-1958, L’Ornitorinco, Milano 2011.
[15] E. Mattei, Considerazioni sui problemi internazionali del petrolio, discorso tenuto a Roma, Banco di Roma, Centro italiano di studi per la riconciliazione internazionale, l’8 gennaio 1959, ora in Id., Scritti e discorsi 1945-1962, cit., pp. 633-643.
[16] Ibid.
[17] G. Garavini, The Rise and Fall of OPEC in the Twentieth Century, Oxford University Press, New York 2019.
[18] E. Mattei, [Sulla decolonizzazione degli Stati e dell’economia], Tunisi, 9-10 giugno 1960, ora in Id., Scritti e discorsi 1945-1962, cit., pp. 730-731.
[19] Ibid.
[20] Cf. L. Pinasco (a cura di), La via italiana alle relazioni internazionali. La lezione di Enrico Mattei, Maltemi, Sesto San Giovanni 2023; cf. anche G. Migani, Strategie nazionali ed istituzionali alle origini dell’assistenza comunitaria allo sviluppo: la Cee, la Francia e l’Africa negli anni Sessanta, in E. Calandri (a cura di), Il primato sfuggente. L’ Europa e l’intervento per lo sviluppo (1957-2007), Franco Angeli, Milano 2009, pp. 17-34 e M. Bonne, I colloqui tra l’Unione Sovietica e l’industria energetica italiana dal 1959 al 1961: la strategia di Enrico Mattei e i suoi risvolti nella politica internazionale, in «Ventunesimo Secolo», Febbraio 2011, vol. 10. n. 24, pp. 159-197.
[21] Cf. A. Aresu, Enrico Mattei, una figura di manager pubblico, in «Rivista italiana di Public Management», vol. 3, n. 1, 2020.
[22] Cf. S. Cassese, Mattei e le istituzioni, in AA.VV., ENI un’autobiografia, cit.
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