Il cardinale tace, il parroco tace e il sindaco di Pescate fa il razzista a tempo pieno
di don Giorgio De Capitani
E pensare che Angelo Scola è originario di Malgrate, paese lecchese non lontano da Pescate, e che presto, appena darà le dimissioni da vescovo di Milano, andrà a risiedere a Imberido-Oggiono (Lc), non lontano da Pescate. Dunque, tante buone ragioni perché non possa fregarsene della situazione socio-politica e religiosa di Pescate (Lc). Ma non sembra che gli interessi molto che il sindaco Dante De Capitani (vorrei ripeterlo fino alla noia che non è un mio parente!) stia prendendo posizioni razziste, in antitesi con il Vangelo di Cristo.
Sì, Angelo Scola tace, come è stata sua abitudine nei riguardi di una Lega xenofoba, con cui, come tutti sanno, Comunione e Liberazione, di cui fa parte Scola, ha governato l’Italia per tanti anni, insieme al Porco d’Arcore (di cui, tra l’altro, Scola è stato professore, preparandolo ad entrare in politica). Come può, dunque, Scola prendere oggi posizione contro la Lega, nei suoi rappresentanti, e contro le contraddizioni dei leghisti che frequentano la Chiesa, magari presenti nei suoi Organismi direttivi, sempre convinti però che bisogna chiudere le frontiere di casa ai forestieri? Scola tace, anche perché, come ho già detto, andando fra poco a risiedere a Imberido-Oggiono (Lc), non vorrà avere rogne con i vicini di casa. Ma la sua coscienza di buon pastore non gli dice niente? Cristo ha forse detto che bisogna escludere i forestieri? Forse il cardinale dà all’aggettivo “buono” un significato tutto suo, ovvero fare il buonista, ovvero non scontentare nessuno.
Mi ricordo le dure prese di posizione contro la Lega, i suoi rappresentanti e i suoi sostenitori, da parte del cardinale Dionigi Tettamanzi. Ero allora anch’io coinvolto, insieme al mio vescovo. Ero a Monte: bei tempi, in cui la lotta era vita e la vita era lotta. Tettamanzi era definito dalla Padania “comunista”, “imam”, anche con epiteti vergognosi. Nelle numerose lettere che ricevevo, oltre a insulti nei miei riguardi, non mancavano riferimenti al mio cardinale definito “tettacazzi”. I caporioni leghisti ce l’avevano con lui, anche perché lo ritenevano responsabile della mia permanenza a Monte. In uno dei cordiali colloqui che ebbi con Tettamanzi, alla domanda: “Eminenza, che cosa prova di fronte agli insulti della Lega?”, mi rispose: “Don Giorgio, di proposito non leggo i giornali, per sentirmi più sereno. Agisco in nome di Gesù. Questo solo mi basta!”. “Scusi la curiosità, eminenza. So che Roberto Castelli Le scrive lettere perché si prendano provvedimenti nei miei riguardi. Che cosa risponde?”. “Non rispondo mai”!”.
Dopo Dionigi Tettamanzi, ecco Angelo Scola, imposto dal capo supremo della Chiesa, l’allora papa Ratzinger, forse con disegni su di lui altamente presuntuosi: che diventasse il suo successore sul soglio pontificio. Ma le cose andarono ben diversamente: Scola non solo rimase a Milano, ma a Milano assistette impotente alla caduta dell’impero ciellino. I preti milanesi non gli hanno mai perdonato questa “onta” o questo “marchio”, che lui stesso ha definito come un peccato originale che gli hanno messo addosso. Ma sta di fatto che Scola non ha mai rinnegato la sua origine ciellina e che la sua pastorale è stata contrassegnata da una deformazione mentale. In questi cinque anni di permanenza a Milano, Scola ha vissuto un calvario personale e pastorale, che ha coinvolto la Diocesi portandola a toccare il fondo mai visto prima.
Perché allora pretendo che un cardinale, che ha sempre taciuto sulle malefatte della Lega, prenda qualche netta posizione contro questo o quel politico leghista? Scherziamo! Se ne frega, come si è sempre fregato del vero bene di una Diocesi e dei suoi preti, anche se ultimamente ha voluto coprire il vuoto, organizzando un’assurda Visita pastorale di tutta la Diocesi: una pagliacciata che farà subito inorridire il nuovo vescovo di Milano, che spero prenderà sul serio il suo compito di guidare la più grande diocesi del mondo, riagganciandosi alla eredità di Martini.
Sarei tentato ora di rivolgermi al signor parroco di Pescate, don Matteo Giglioli, e chiedergli che cosa ne pensi delle sparate razziste del suo sindaco, che se la prende con i più deboli. Inoltre: sarei tentato di chiedergli che cosa ne pensi dei suoi parrocchiani che in buona parte sono leghisti o per lo meno hanno votato e sostengono un sindaco xenofobo. Probabilmente, mi risponderà che solo da qualche mese è parroco di Pescate, tanto più che, oltre a Pescate, è anche parroco di Garlate e che perciò non può perdere tempo dietro a qualche battuta pittoresca del suo sindaco. Ma forse la ragione è più opportunistica: come potrebbe subito scontrarsi con la sua gente? Dovrebbe fare subito le valigie e andarsene! E poi: il buon pastore si preoccupa anche dei figli lontani, che non vanno mai condannati ed emarginati. Sono i privilegiati di Cristo! Certo. Ma non penso che Cristo abbia detto agli scribi e ai farisei: Venite, benedetti del Signore, accomodatevi pure, sarete i preferiti nel mio nuovo regno! Li ha invece apostrofati come “ipocriti”! E a proposito di buon senso o di voler tutto accomodare nel pacifismo più asettico, ricordo le parole di Cristo: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: sono venuto a portare non pace, ma spada!” (Matteo 10,34). Che intendeva dire? La verità è una spada che divide dalla menzogna, la giustizia è una spada che divide dall’ingiustizia, la fratellanza è una spada che divide dal razzismo! Basta predicare il Vangelo radicale, e ciò stesso divide. Chi non lo predica, è un buonista da quattro soldi!
Oggi i preti, anche quelli milanesi, se ne stanno buoni buoni a fare il pastore pacioccone: meno prendono posizioni, e meno rogne da grattare; e il posto è garantito a lungo. Sì, predicano anche il Vangelo di Cristo, ma così vagamente, stando cioè sulle generali, che i parrocchiani, di qualsiasi tendenza politica, di qualsiasi ideologia, di qualsiasi credenza religiosa, di qualsiasi morale, sono tutti soddisfatti, e ammirano il loro prete, capace di unire sotto lo stesso tetto conviventi di ogni letto.
Vorrei, infine, chiarire una cosa. Sento dire: bisogna amare il proprio paese in anima e corpo. Esatto! Doveroso! Quando ero a Monte, tutti sapevano quanto amassi il mio paese fino alla fedeltà anche fisica, ovvero restando sempre a Monte, senza evadere o prendere altri incarichi, fuori. Anch’io, dunque, avevo sposato lo slogan: agire nel locale. Ma lo slogan non è completo: agire nel locale, ma… pensare in grande! Monte è uscito dal suo isolamento anche fisico, e si è aperto al mondo, non solo perché tutti parlavano di Monte per le mie polemiche, ma perché la gente di Monte ha aperto le proprie visuali, al di là del proprio orticello.
Dunque agire nel piccolo, e pensare in grande. Non credo proprio che questa sia l’ideologia leghista, che parla certamente di località, di amore per il proprio paese, ma non vuole pensare in grande, ovvero lascia i paesi nel loro gretto mondo, chiuso all’universale.
È il caso del sindaco di Pescate!
Che la Chiesa sia sempre stata vicina ai potenti di turno è acclarato. Si pensi a Richelieu o alla vita nefasta della Roma rinascimentale.Poco o nulla è cambiato.I sacerdoti “di strada” vicini alla realtà della vita quotidiana, lontana anni luce dai tranquilli salotti arcivescovili, hanno dato sempre fastidio. Denunciare aperte manifestazioni di razzismo e xenofobia, come nel caso di Pescate, fa solo alzare le sopracciglia ai vescovi mentre le chiese si svuotano di fedeli come non si era mai visto in passato.
Nei Promessi Sposi il Manzoni al capitolo 25 fa rispondere così don Abbondio al cardinale Federigo che chiedeva perché non avesse celebrato le nozze di Renzo e Lucia: “Torno a dire, monsignore,” rispose dunque, “che avrò torto io… Il coraggio, uno non se lo può dare.” E’ il “coraggio” che manca a tanti preti. Per paura dei “bravi” moderni, leghisti o cattolici fondamentalisti, fanno i “cerchiobottisti”. Pescate al posto di Pescarenico: coincidenze della storia. Dove sono Renzo e Lucia? Dov’è il cardinale Federigo?
Avevo in mente di dire le stesse cose nell’articolo: nella bozza avevo accennato a don Abbondio, poi ho preferito sorvolare.
A me talora la chiesa ricorda quella che un tempo si chimava balena bianca, cioè la DC.
PArtito talmente largo e suddiviso in correnti, che ci stava dentro tutto ed il contrario di tutto, poteva starci dentro un De HGAsperi ma anche qualche mafioso……
PArimenti, ecco che la chiesa può comprendere persone che guardano al vangelo radicale, e persone che…il vangelo non sanno neanche cosa sia..magari, però, sanno bene cosa sia l’equilibrismo e la diplomazia politici, sopratutto se si tratta di non sconfessare l’opera di certi politici.
Inutile nasconderlo, la religione, la confessione altro non è che un pretesto per imporre proprie visuali, spesso non solo di fede, ma politiche.
Diversamente, come si fa a conciliare il messaggio evangelico di un certo tipo con quello che la chiesa sopporta, finge di non vedere e spesso condivide?