25 agosto 2024: CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
2Mac 7,1-2.20-41; 2Cor 4,7-14; Mt 10,28-42
Il primo brano della Messa riporta un episodio edificante, che merita diverse riflessioni.
Per inquadrarlo nel periodo storico, siamo nel secondo secolo a.C. durante il regno di Antioco IV Epìfane, re della Siria, che volle sviluppare una politica di revisione e di smantellamento del culto ebraico. Tale politica affrettò la rivolta partigiana della famiglia dei Maccabei: cinque fratelli che si ribellarono al re Antioco nel 167 a.C. e che resistettero alle campagne degli eserciti greci, riuscendo, alla fine, a liberare Gerusalemme. In questo clima di contrasto e di persecuzione verso gli ebrei si sviluppò un accanimento che provocò molte vittime. L’autore biblico ha voluto, in particolare, raccontare un processo pubblico, alla presenza del re contro una famiglia di 7 fratelli con accanto la loro madre, colpevoli del rifiuto di mangiare cibo impuro secondo la legge ebraica.
Anzitutto, l’autore biblico ha voluto portare a conoscenza questo processo per offrire un grande esempio che fosse di aiuto ai credenti a riprendere coraggio e mantenere fedeltà al loro Dio. Qui potremmo già fare una prima riflessione.
Ci chiediamo se siano ancora di aiuto e di stimolo modelli o esempi di santi e di martiri, una delle ragioni per cui la Chiesa li ha canonizzati, ovvero ha dichiarato ufficialmente che sono stati fedeli nella loro fede e nelle opere al volere di Dio. In altre parole, la canonizzazione dei santi e dei martiri non è una questione strettamente personale. In particolare sappiamo con quanto fervore venissero proposti ai ragazzi i santi più giovani, con novene e altro. E oggi? Oggi c’è una tale marea di idoli che di santità hanno nulla, ma che affascinano i ragazzi da rifiutare a priori testimonianze di ideali come nobili virtù, oramai scomparse nell’oblio più totale. Ma, proprio perché oggi tutto sembra così deleterio, non ci sarebbe bisogno di forti modelli che richiamino valori altrettanto forti?
Forse bisognava evitare eccessi controproducenti: identificare ad esempio la virtù con l’individuo, come se il santo o il martire incarnasse perfettamente la virtù, invece che semplicemente testimoniarla anche con difetti e manchevolezze, tipicamente di creature precarie, ma alla ricerca del mondo divino da far proprio in una unione profondamente mistica. Ed è successo quello che oggi noi cristiani contestiamo, ovvero l’idolatria di personaggi diventati famosi per ragioni le più strampalate.
Aver dato un culto eccessivo per non dire blasfemo a santi o martiri, indipendentemente dalle loro più nobili intenzioni, è aver creato tra gli spiriti più esigenti perché puri una tale insofferenza da chiedersi se sia stato conservato il primato di Dio, da venerare in tutta la sua radicalità o essenzialità.
Nei santi e nei martiri non devo onorare sublimandole come sovrumane le loro doti umane, ma casomai la loro fede in quel Dio che sa trasformare un moscerino in una farfalla che vola verso l’infinito.
Noi credenti facciamo bellissimi discorsi sulla santità divina, e poi la confondiamo con le opere di creature che sono strumenti del volere divino. E così a fare la parte del leone sono i santi che hanno fatto cose strepitose, supposto che tutto sia vero e non inventato. Pensate a Padre Pio sulle cui stigmatiche ancora oggi si discute. Non dico la mia su Padre Pio perché scandalizzerei anche gli angeli. Mi ricordo che quando ero teologo avevo letto la biografia di una santa mi pare americana, ma scritta così bene che veramente mi sono meravigliato che non si dicesse nulla di particolare. Una santa vissuta testimoniando umilmente i propri doveri verso Dio e verso il prossimo. Ma che interesse possono avere i nostri piccoli se si leggono loro vite di giovani santi che non sono imitabili? Lo stesso discorso vale per gli adulti, i quali hanno bisogno di testimonianze che, spoglie di ogni spettacolarità o di grandi doti umane, possono stimolare coscienze assopite. C’è proprio bisogno, anzi non è controproducente scrivere biografie che sembrano l’esaltazione del personaggio che ha questo o quello di tanto straordinario da far impallidire gli stessi angeli celesti? E non parlo della oscenità delle reliquie, perché dovrei alzare la voce.
Passiamo al brano di San Paolo che fa parte della lettera che egli ha scritto ai cristiani di Corinto. Trovo in questo brano la conferma di quanto ho detto poco fa. Paolo ha un profondo senso di consapevolezza della propria precarietà, anche se sa difendersi quando viene attaccato, poiché non sopporta di essere considerato ambiguo, o superficiale, o alla ricerca di interessi e privilegi. Egli rivendica la sua onestà che lo porta ad essere scrupoloso nel proporre il Vangelo di Gesù che gli è stato affidato. E rivendica di aver predicato la verità davanti ad ogni coscienza: “La verità è Cristo Gesù Signore”. E tuttavia, l’esperienza gli fa riconoscere che il Vangelo è custodito in vasi di creta, nella sua debolezza e infermità. Tutta la persona e tutta la vita, che soffrono questa limitatezza, sono chiamate ad una altissima vocazione. Proprio qui si manifesta “la potenza straordinaria di Dio”. E se nella mentalità comune e nella sensibilità greca il valore della persona, alla fine, si mostra nella saggezza, nel rispetto, nel prestigio, nell’accoglienza, nell’accettazione entusiasta della Parola nuova, Paolo si rende conto che la sua vita non è un grande esempio di popolarità, di successo e di riuscita. “Tribolati da ogni parte” ma non disperati, perseguitati eppure soprattutto coscienti di non essere abbandonati. Paolo sente di essere consegnato come “alla morte”, a somiglianza di Gesù “e a causa di Gesù”.
Per quanto disorientati per un cammino niente affatto desiderabile e gioioso, proprio la morte di Gesù e l’esempio che egli ha dato sono diventati una verifica che capovolge i criteri di valore e di successo.
Il terzo brano inizia con le parole: “Non abbiate paura!”.
“Non abbiate paura” che le prospettive del Regno siano travolte e vanificate. Anzi il Regno ha una forza esplosiva. “Nulla resterà nascosto” e perciò “quello che vi dico nelle tenebre ditelo alla luce e predicatelo sui tetti”.
“Non abbiate paura” di perdere la vostra posizione, la stima dei superiori o le amicizie, o ciò che è vostro; non temete di essere puniti, degradati o addirittura uccisi, poiché tutto quello che ci possono derubare non costituisce la dignità piena.
Abbiate invece paura del male che c’è in ogni essere umano, “di chi ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo”. È quella forza negativa che ci conduce lontano da Gesù, che ci fa fare scelte ambigue, ci fa tenere amicizie distorte, ci fa mantenere legami che ci rendono schiavi e incapaci di vivere.
Se crediamo sul serio nel Cristo risorto noi cristiani di che cosa dovremmo avere paura? Forse dovremmo temere una Chiesa istituzionale che ci porta lontano dalla via della giustizia divina, che è il Volere del Bene Assoluto.
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