L’anno nero e le due strategie del governo sovranista

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24 SETTEMBRE 2023

L’anno nero

e le due strategie del governo sovranista

di Maurizio Molinari

L’esecutivo Meloni punta a riposizionarci in Europa come Paese leader di un approccio nazionalista verso Bruxelles, aggressivo sui migranti, dirigista sull’economia e securitario sui diritti. La rivoluzione culturale è invece un’ambizione di lungo termine, che impone come valori collettivi quelli di una destra minoritaria

Ad un anno dalla vittoria elettorale di Fratelli d’Italia è possibile affermare che il governo Meloni sta perseguendo due differenti ma complementari obiettivi: realizzare politiche sovraniste e guidare una profonda trasformazione culturale.
Sono binari paralleli ma convergenti: il sovranismo è un’agenda, politica ed economica, che punta a sfruttare la legislatura per riposizionarci in Europa come Paese leader di un approccio nazionalista verso Bruxelles, aggressivo sui migranti, dirigista sull’economia e securitario sui diritti; la rivoluzione culturale è invece un’ambizione più di lungo termine, puntando a imporre come valori collettivi quelli che per oltre 70 anni hanno identificato solo una destra molto minoritaria.
La costante delle politiche di governo è l’aggressività contro qualcuno o qualcosa: Bruxelles è un luogo verso il quale diffidare; i migranti sono un nemico esterno che bisogna tener lontano in ogni modo dalle nostre coste oppure detenere il più a lungo possibile; le banche sono un avversario interno da tartassare; i Paesi con cui abbiamo fondato l’Ue complottano contro di noi; la Bce alza i tassi per impoverirci.
Guardando attorno alle nostre frontiere, Meloni non si fida di Parigi e Berlino, sfida Madrid, non firma il Trattato Mes, chiede di congelare il rinnovo del Patto di Stabilità e sospetta delle istituzioni europee mentre condivide l’idea di «patria e famiglia» con l’estrema destra spagnola di Vox, la necessità di «difendere di Dio» con l’Ungheria di Viktor Orbán e sostiene una proiezione solitaria dell’Italia in Africa in nome del Piano Mattei.
Per non parlare delle simpatie per i No Vax, a dispetto della strage di connazionali causata dal Covid-19, e dello scetticismo sui cambiamenti climatici, sebbene abbiano devastato la Romagna in quello che è stato anche nel Mediterraneo l’anno più caldo della Storia.
A conti fatti, il sovranismo italiano somma una riedizione del nazionalismo pre-Ue all’esaltazione di presunte radici etniche italiane — nel linguaggio del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida — con il risultato di allontanare il nostro Paese dall’agenda che più conta per l’Unione Europea: le riforme per affrontare il prossimo allargamento ad Est, la giustizia economica per disinnescare le diseguaglianze, la transizione ecologica per rispondere ai cambiamenti del clima e l’innovazione tecnologica per competere a livello globale con Usa e Cina.
È come se davanti alle sfide del XXI secolo, l’Italia di Giorgia Meloni decidesse di guardare all’indietro, ignorando l’agenda della modernità.
Ma non è tutto perché c’è poi il secondo e più ambizioso obiettivo: la trasformazione culturale. Dai nuovi nomi per i ministeri all’informazione pubblica uniforme, dal sostegno dichiarato a editori ideologicamente alleati fino alle campagne ostili nei confronti di direttori di musei universalmente apprezzati, siamo davanti ad un tentativo strategico di trasformare la cultura in una sorta di megafono del governo.
Il tutto condito dal gelo verso i diritti Lgbtq+, l’indifferenza per la ferita delle diseguaglianze e la convinzione che l’uso della forza sia la soluzione migliore per sanare il degrado sociale.
Per non parlare del silenzio sul centenario della Marcia su Roma, dell’incapacità della premier di parlare di antifascismo e degli imbarazzanti scivoloni storici su Via Rasella e Fosse Ardeatine. A cui bisogna aggiungere divise naziste, lampade di Himmler, saluti romani e riletture della strage di Bologna che ogni tanto emergono dall’humus di Fratelli d’Italia.
In appena dodici mesi Giorgia Meloni, grazie all’alleanza con Matteo Salvini ed all’avallo di una Forza Italia indebolita da declino e scomparsa di Silvio Berlusconi, ha dimostrato che l’Italia è diventata il laboratorio di un sovranismo che ci allontana sempre più dal testo del Trattato di Roma del 1957, che fondò l’attuale Ue, e dai valori del Manifesto di Ventotene redatto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni.
Il tutto a dispetto di scelte di politica estera che invece hanno confermato e rafforzato la coesione atlantica: dal sostegno politico e militare all’Ucraina aggredita dalla Russia fino alla decisione di uscire dall’accordo sulla Nuova Via della Seta con la Cina di Xi.
È questa l’Italia che dal primo gennaio diventa presidente di turno del G7, il principale foro delle democrazie occidentali, ed a metà giugno sarà uno dei palcoscenici più importanti delle elezioni europee da cui dipende il futuro dell’Unione.

1 Commento

  1. Giuseppe ha detto:

    Se solo dieci anni fa qualcuno mi avesse detto che oggi avremmo avuto come presidente del consiglio la Meloni, gli avrei dato del matto o del visionario. La leader di Fratelli d’ Italia, nel suo disperato tentativo di non apparire fascista, fa di tutto per esserlo e, fingendosi europeista, tradisce i principi che ispirarono i trattati di Roma, oltre a posizionarsi come leader (in concorrenza con Marine Le Pen) dell’ultradestra europea. La sua ascesa “irresistibile” è stata favorita senza dubbio dalla scomparsa di Berlusconi e dall’indebolimento di ciò che resta dei partiti di centro, che pure è convinta di rappresentare.

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