Quel brutto vizio di trovare sempre un capro espiatorio

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Quel brutto vizio di trovare sempre un capro espiatorio

Il libro del Levitico narra di un rito ebraico compiuto nel giorno dell’Espiazione (kippur), quando un capro veniva caricato dal sommo sacerdote di tutti i peccati del popolo e poi mandato a morire nel deserto (Lev. 16, 8-10; 26). Questa usanza era conosciuta anche dai Babilonesi e Assiri, e dai Greci.
In senso figurato, un “capro espiatorio” è qualcuno a cui viene attribuita tutta la responsabilità di malefatte ed errori altrui o di eventi negativi casuali, dovendo poi subire ingiustamente le conseguenze.
Si trova sempre un capro espiatorio in ogni circostanza avversa. E ciò succede anche nelle piccole cose quotidiane. Non è mai colpa nostra, ma sempre di qualcun altro, di qualcosa su cui scarichiamo ogni responsabilità. Colpa del governo, o del destino. Colpa di qualche divinità che ci vuole male. E alla fine tiriamo in ballo perfino il nostro buon Dio, che proprio così buono non sembra.
Non so se noi italiani primeggiamo anche in questo. So tuttavia che siamo famosi per il nostro facile criticare tutto e tutti, addossando le colpe sugli altri. E siamo abili nel tirarci sempre fuori da ogni responsabilità, anche quando siamo colpevoli. Ma non vogliamo mai ammetterlo, se non quando ci torna comodo per evitare guai peggiori.
Cito l’ultimo caso, quello di Genova colpita dalle recenti alluvioni. Le prime parole sono state: Colpa del Sindaco o degli amministratori, e anche del governo, non importa quale. Colpa del governo, e basta. Piove? Governo ladro!
Sono d’accordo che le colpe andrebbero divise, e che talora le inadempienze dei nostri amministratori sono gravi. Sono d’accordo che la colpa ricade anche sul governo. Ma credo che ci siano anche responsabilità che non possiamo nascondere.
Una certa responsabilità ricade anche sui cittadini. Ma nessuno ha il coraggio di dirlo. Più facile cavalcare l’onda della protesta generica, o della protesta mirata, solidarizzando con la gente, e la gente subito reclama risarcimenti, piangendo sulle proprie rovine.
E poi tutto è concentrato in pochi giorni: la tensione è altissima, così le lamentele, così le proteste, così la messinscena di spettacoli grotteschi, per non dire vergognosi: artisti che si fanno vivi solo perché così si fanno un po’ di pubblicità.
Sì, anche i cittadini sono responsabili di certe tragedie. O, meglio, sono responsabili delle conseguenze delle tragedie diciamo naturali, che poi così naturali non lo sono. Certo, non è colpa della gente se l’acqua viene giù a dirotto, non è colpa nostra se succede un terremoto, o altro. Ma è colpa nostra se abbiamo preteso di costruire case nel posto sbagliato. E così via.
Poi, passata l’emergenza, tutto torna come prima. Come al solito. I giornali tacciono, perché impegnati a riempire pagine con altre notizie più accattivanti. E la gente resta sola a leccarsi le ferite. Tutto come prima. Si ricostruirà nei punti sbagliati, mettendo i sindaci ancora con le spalle al muro.
Ci dimentichiamo facilmente del nostro brutto vizio, che è quello di votare i corruttibili, quei politici che noi “riteniamo” siano facilmente manovrabili. Questo è il senso profondamente democratico che ci caratterizza?
Una cosa comunque va riconosciuta ai genovesi, e non solo a loro. Borbottano, si lamentano, contestano, ma poi si tirano indietro le maniche e si danno subito da fare: non aspettano gli interventi divini! Speriamo che però capiscano anche la lezione: devono essere loro i primi a voler bene al loro ambiente, stimolando gli amministratori a fare politiche più coraggiose, più sagge e più preveggenti.
25 ottobre 2014
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

 

 

1 Commento

  1. Giuseppe ha detto:

    Credo che una categoria che ricade pienamente nella tipologia di chi si lamenta a prescindere e che difficilmente si assume le proprie responsabilità, tendendo anzi spesso a scaricare sugli altri le colpe delle situazioni di crisi (istituzioni e datori di lavoro in primis) ricorrendo a pretesti e/o giustificazioni per lo più inconsistenti , sia quella delle organizzazioni sindacali. Non voglio assolutamente generalizzare, dato che ho conosciuto sindacalisti molto corretti e degni di stima, che svolgevano il loro compito con competenza ed abnegazione ma, basandomi sulla mia esperienza personale, devo ribadire (purtroppo) che si tratta di una minoranza. Ho l’impressione, infatti, che parecchi scelgano di dedicarsi all’attività sindacale per sottrarsi ad impegni di lavoro che non sopportano o che sono causa perenne di conflittualità con i superiori o, “meglio ancora”, per scegliere una occupazione meno faticosa, che gli consenta comunque di vivacchiare all’ombra di una istituzione che li tutela e rappresenta pur sempre un centro di potere molto rilevante nel mondo del lavoro. Sono il primo a riconoscere i meriti del movimento sindacale che, in anni complicati e in mezzo a situazioni di estrema difficoltà ha contribuito in maniera determinante nel passato a raggiungere conquiste sociali e civili estremamente importanti. Mi pare di poter dire però che, in modo particolare negli ultimi decenni, ci sia stata una vistosa decadenza, anche se accompagnata -ovviamente- dalle solite lamentele di rito, come se si volesse tirare a campare vivendo di rendita sulle glorie del passato. Probabilmente, in parte ciò è dovuto agli interpreti attuali dei ruoli principali, che non sono certo all’altezza dei protagonisti delle battaglie sindacali di una volta, un po’ a somiglianza di quello che sta accadendo nella odierna classe politica, ma c’è anche, secondo me, una miopia di fondo che rende incapaci di leggere correttamente la contingenza attuale, e non tiene conto di tutte le variabili che contribuiscono al perseguimento del benessere sociale, oltre che individuale.

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