L’imbecillità senza precedenti di un prete milanese diocesano, con il consenso di una diocesi al collasso totale

L’imbecillità senza precedenti

di un prete milanese diocesano,

con il consenso di una diocesi al collasso totale

di don Giorgio De Capitani
Mi ero ripromesso di non parlare più di don Alberto Ravagnani, prete diocesano milanese, ma, se torno a parlarne, è solo per denunciare una gerarchia milanese che vede e tace, anzi stupidamente approva. D’altronde, i vuoti si cercano e si uniscono in un amplesso carnale.
Il vuoto della carne, ovvero di una alienazione abissale, è tale che vive di se stessa e dei suoi figli, partoriti nel vuoto che non è solo esistenziale, ma ontologico: un vuoto d’essere, che è la peggiore “ostinazione” all’Essere supremo.
È sotto gli occhi di tutti che la società di oggi è radicalmente carnale, priva di quello spirito che è l’essenza dell’essere umano. Una società castrata nello spirito, e che produce figli solo carnalmente: alienati dalla nascita alla morte.
I primi ad esserne vittime sono i piccoli, che crescono alienati, e da giovani si compiacciono della loro alienazione, godendola in nome del “carpe diem”, e da adulti non fanno nulla per evitare una resa da coglioni: rassegnati anche al peggio, ma godendosi anch’essi il “carpe… noctem”.
I giovani preti di oggi sono figli del loro tempo, ovvero di una società alienata, castrata nello spirito, ed eccoli uscire dal seminario, ancor più vuoti di quando erano entrati.
Mi chiedo se almeno non ci sia un Superiore che si renda conto del fallimento di una educazione seminaristica, che sforna ogni anno recipienti vuoti.
Questi giovani entrano alienati nei seminari, ed escono ancor più alienati, perché ricoperti non solo di una esteriorità di pelle, ma di una apparente sacralità, che è di un tale formalismo come vecchiume stomachevole, o, al contrario, così sembra, di un tale stupido e ridicolo modernismo da offrire solo grappoli di illusioni che rasentano la bestemmia.
La bestemmia non è contro il loro dio, che è adorato in tutta la sua carnalità accattivante, ma è contro quella Divinità, che è purissimo Spirito, l’Eterno Sconosciuto, tenuto chiuso in cantina o in soffitta da una religione che impone se stessa nella sua carnalità, servendosi di schiavi e di schiavetti, sempre pronti a servirla, con metodi e con mezzi che più efficacemente ottengano effetti strabilianti, come i preti pazzerelli sanno benissimo fare.
Questo prete, don Alberto, è un esempio di stupidità servile, benedetto dalla curia milanese, anch’essa serva di una religione alienata, in una società alienata.
Non condanno il prete in sé, ma la brutta vergognosa deprimente immagine che dà di una Fede che avrebbe bisogno di ben altri testimoni: Testimoni dello Spirito, e non della imbecillità di credenze religiose che non stanno in piedi se non puntellandole con formalismi carnali.
I giovani d’oggi di che cosa hanno veramente bisogno? Ecco la domanda, che dovrebbe far seriamente riflettere.

1 Commento

  1. simone ha detto:

    A me sinceramente non stupisce.
    Più che far “pirlate” cosa fanno oggi i preti giovani?
    Questa continua progressione nel mostrarsi moderni o al passo coi tempi, per poi ricoprirsi di pizzi e vesti del 1800 quando debbono celebrare.
    E’ chiaro come interpretano il ministero: far di tuto per essere al centro dell’attenzione. Per far parlare sempre e solo di sé.
    Io non trovo altra ragione.
    Lo dica al vicario mons. Agnesi, don Alberto è il prototipo del prete giovane ambrosiano medio. Proiettato ad attirare tutte le attenzioni su di sé; mi permetto di dire, ma potrei sbagliarmi è solo una sensazione personale, che la sua aria da saputello, del “so tutto io” nasconda anche un pò di superbia.

    In questi giorni stavo riguardando alcuni filmati su San Giovanni XXIII e il card. Comastri in un’intervista definiva i tratti necessari in un prete per attirare a Dio gli uomini: umiltà e bontà.

    Questi preti giovani non hanno ne arte ne parte.

    Mi preme anche sottolineare una cosa: aderire a certe mode, sdoganare una certa confidenza con la mondanità è proprio la strada peggiore per edificare la chiesa del futuro.
    San Giovanni Paolo II, che abbiamo ricordato in settimana, nella veglia della GMG del 2000 definì i giovani “la primavera del Vangelo”.
    Ma non questi giovani; non questi finti modernisti che vorrebbero tornare a celebrare di spalle. Che fanno tanto i moderni e voglio ricostruire la chiesa sulla teologia pre-conciliare. Questi sono “l’inverno della Chiesa”, il declino inarrestabile!

    Io continuo a ripeterlo: don Alberto ha bisogno di 5 anni come fidei donum in missione! Può solo fargli bene!
    Togliere un pò o tutto quel benessere che lo adorna e scontrarsi coi problemi essenziali. L’aria da saputello presuntuoso vedrai che sparisce in pochi giorni!
    I vicari dovrebbero anzitutto conoscere i preti ed essere preoccupati della loro crescita UMANA e spirituale. Non semplicemente di coprire i buchi spostando pedine. Se un prete giovane ha bisogno di confrontarsi con problemi essenziali e realtà complesse per maturare, lo si faccia. Mandiamolo nell’hinterland, ad Affori a Cormano, dove il 60% della gente è straniera e la convivenza è quasi impossibile. Che muovano un pò il culo e si sporchino le mani. Magari capiscono che dei suoi video sui massimi sistemi non frega niente a nessuno. Vada a curare le ferite, a medicare le piaghe di questa umanità malata. Questa è la missione del prete.
    Ma oggi i preti sono pochi, molti lasciano dopo pochi anni e allora i superiori li crescono come tanti bambini vizziati.
    Non li mettono in difficoltà ritardando la loro maturazione; sì una massa di bamboccioni, immaturi e tutti impegnati nelle cose inutili. Sempre impegnati in cose esteriori e inutili!

    Umili e buoni, Umili e buoni, Umili e buoni!

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