Questi preti di oggi
proprio non li capisco…
di don Giorgio De Capitani
Sì, questi preti di oggi proprio non li capisco, forse perché non mi sento prete di oggi.
Ma ciò non significa essere prete di ieri, nostalgico di un passato che non c’è più.
Forse mi sento più di altri partecipe di una società moderna, nel senso che vorrei lottare perché questa società, in cui sono immersi a capofitto i preti moderni, soprattutto giovani, cessi di essere tale per cui l’essere umano fatica a respirare.
Vorrei essere concreto e riflettere su un aspetto che sembra oggi mettere in crisi il clero ambrosiano, tanto per restare nell’ambito della mia diocesi, a cui nonostante tutto ancora mi sento di appartenere.
Si tratta dell’emergenza luce o gas, o meglio delle forti spese che si dovranno affrontare per l’uso della corrente o del gas, soprattutto per le Messe, ed è per questo che già si pensa di ridurle al minimo indispensabile.
Ed ecco la domanda: qual è il minimo indispensabile? In base a che cosa io parroco stabilisco il criterio per ridurre il numero delle Messe?
Non dimentichiamo che già, con l’entrata in vigore, da qualche decennio di anni, della istituzione (voluta dal cardinale Tettamanzi) delle Comunità pastorali, anche per il numero ridotto dei preti le Messe soprattutto feriali sono state significativamente ridotte.
E poi c’è sempre quelle parole di grande effetto del cardinale C. M. Martini, che fanno comodo soprattutto ai preti: “Meno messe più Messa!”. Peccato che ben pochi preti, forse volutamente, hanno frainteso il senso delle parole di Martini!
Ma la cosa paradossale è questa. Durante il Covid i preti si sono lamentati che, per il fatto che la gente non poteva più venire a Messa, o si era ridotta, per le norme restrittive del governo, erano diminuite le entrate. E ora che cosa succede? Per il fatto che la luce o il gas costano troppo, si diminuiscono le Messe. A che gioco giochiamo?
I preti, ve lo garantisco, hanno una fantasia creativa imbattibile, per cui potrebbero trovare qualche via d’uscita, ad esempio celebrando in settimana la Messa in giornata senza dover accendere né luci né riscaldamento, invitando al sacrificio, come quando un tempo la gente andava in chiesa al freddo. Per le quattro donnette rimaste fedeli alla Messa settimanale, basterebbe un piccolo locale, e tutto sarebbe risolto.
E allora un dubbio mi viene: non è che ogni occasione sia buona per ridurre le Messe o impostare diversamente la pastorale sulle comodità dei preti? Vanno e vengono come vogliono (“ego sum via” era apparso sulla porta di una canonica), e come farsi sostituire dal momento che neppure i religiosi della zona possono per la grande richiesta rendersi disponibili, e naturalmente vanno là dove il contributo economico è allettante, e succede spesso che non rispettino gli orari, arrivino con un forte ritardo anche per la Messa festiva, irritando la comunità.
Qualcuno dirà: siete proprio conciati male voi preti!
Una cosa è certa: io ad esempio sono entrato nel Seminario di San Pietro martire in prima media, e lungo gli anni che mi hanno portato alla Messa (1963) sono stato educato al sacrificio, al senso del dovere, ecc. per cui, da giovane prete, ho affrontato il ministero pastorale con i duri impegni che non erano pochi, senza lamentarmi. Erano altri tempi, certo. Tuttavia non riesco a capire perché i preti di oggi si lamentino di ogni disagio, e non conoscano più il senso del dovere, e poi facciamo delle belle prediche ai nostri ragazzi perché rinuncino a questo o a quello.
Non è il momento buono perché anche la nostra gente impari che andare a Messa non è come andare a ballare o in spiaggia a prendere il sole?
E poi noi preti diciamo ancora che la Messa è un sacrificio? Per chi?
Certo, nessuno dice che bisogna moltiplicare il numero delle Messe, anche perché la gente, Covid o non Covid, va poco a Messa. Ma qual è il criterio più saggio per reimpostare la pastorale oggi?
Me lo chiedo, neppure io ho la ricetta in tasca. Ma non ci si faccia condizionare dalle emergenze. Altrimenti, dovrei fare un mea culpa tutte le volte che io prete, quando tutto filava liscio, avevo sciupato magari un mucchio soldi per disattenzioni varie per spese corrente e gas, o correndo dietro alle mode della gente.
Certamente, occorre un punto di riferimento autorevole per ogni diocesi. Lasciare tutto alla discrezionalità di ogni prete non credo che sia saggio.
Non si tratta di imporre dall’alto, ma di indicare con autorevolezza la via giusta da percorrere. Non è positivo assistere a continui cambiamenti, tali da disorientare ogni cammino che richiede sì delle tappe, ma non delle inversioni ogni anno.
Ogni emergenza è un’occasione per riflettere, ma senza farsi prendere ossessivamente dall’emergenza, che oggi c’è e domani scomparirà.
Perché non dire che ogni emergenza è come una purificazione? Quanta robaccia di cui spogliarci?
Anche per noi preti c’è bisogno di toglierci di dosso troppo superfluo, per recuperare l’essenziale.
Che non succeda che ci togliamo l’essenziale per tenerci il superfluo!
Tutti (io per primo lo confesso) pensiamo, desideriamo e sogniamo preti “come quelli di una volta”: i preti della nostra infanzia forse. Certo io ho il ricordo chiaro del mio vecchio parroco (per 35 anni!) che non ha mai fatto un giorno di “ferie” e viveva in una canonica gelata e semipericolante perché voleva che le offerte dei fedeli servissero ad altre necessità più importanti.
Ma non si deve essere ingiusti: primo, spesso rimpiangiamo tutti “il buon tempo antico” (come già Catone il censore…) proiettando una situazione ideale che forse non è mai veramente esistita del tutto; secondo, ancor di più: non dimentichiamoci che i “preti di oggi” non vengono dalla Luna, sono giovani che hanno risposto a una chiamata con immensa generosità (questo non dimentichiamolo mai, prima di guardare le loro miserie e difetti) ma sono umanamente, psicologicamente, antropologicamente, affettivamente etc… “figli del proprio tempo”. In altre parole: il “materiale umano” di cui è fatto un prete trentenne non è dissimile da quello di un altro suo coetaneo. Lo stesso vale per un giovane medico (“non ci sono più i dottori di una volta che venivano a visitare in bicicletta anche di notte”), vale per un giovane imprenditore (quelli di oggi non si fermano più in ditta fino a notte, anzi vanno a casa prima dei loro impiegati: vedi il mio capo che alle 15 saluta e va…) eccetera. E vale anche per noi che critichiamo. La Chiesa però o si fa con QUESTE “pietre” (consacrate e laiche) o rinunciamo a farla, perhé servono “pietre vive” (non ossa dei preti di una volta che sono morti) e queste ci sono. Dopodiché, tutte le critiche sono condivisibili, non ne dubito.
Ho 84 anni, e credo di avere uno spirito ancora giovanile, il che significa che lo spirito non ha tempo.Lo spirito: parola che sembra troppo vecchia per il clero giovane di oggi.
C’è bisogno di maestri veri che predichino e vivano quello che predicano, ma la massa preferisce i pasticcieri e gli adulatori.
Anziché la conoscenza si preferisce la demagogia e i complottismi.
Le omelie sono importanti e devono essere un momento di discesa nel profondo o di salita verso l’alto, in pratica devono aprire scuotere dentro. E devono parlare anche di Politica, perché no?
Politica con la P maiuscola perché è tendere al Bene Assoluto, perché è vivere il bene comune in una società che ha perso ogni virtù per lasciare posto all’individualismo di un ego spropositato.
Concordo con Simone riguardo alle omelie. Capisco un “breve” commento alle sacre scritture, per indicare un percorso in linea con gli insegnamenti di Cristo, ma il “pulpito” non mi sembra sia il posto per discettare di politica e di organizzazione parrocchiale, ci sono posti ed occasioni più adatte. Purtroppo troppi preti indugiano su argomenti fuori dal contesto del rito e, spesso sono di una noia mortale.
Avrei molto da dire sulle cosiddette “omelie”. Non dimentichiamo che la Messa è divisa in due parti: Mensa della parola e Mensa eucaristica. Prima ci si nutre della Parola e poi del Corpo e del Sangue del Risorto. Il prima e il dopo hanno una loro importanza. Bisognerebbe comunque specificare.
Alla “mensa della parola” i primi cristiani davano un’enorme importanza, scegliendo brani scritturistici densi di significato. Poi sappiamo ciò che è capitato, con il latino ecc., per cui il popolo è stato allontanato dalla comprensione della parola di Dio. E le prediche per lo più avevano un aspetto fortemente moralistico.
Mi pare che oggi, considerando anche la mia esperienza di prete di parrocchia (a Monte nelle tre messe festive c’erano più di 500 persone) la gente abbia bisogno più di parola che di fare la comunione.
La gente sente il bisogno di una parola diversa dalla solita morale, una parola forte e incisiva: oggi tanti vengono a Messa per sentire la Parola spiegata nella sua radicalità, immersa anche nel contesto storico. La Parola si è “incarnata”, così dice Giovanni. La Parola deve incarnarsi nella storia, per cui non deve essere astratta o puramente esegetica. Poi sui minuti dell’omelia sono d’accordo che non devono superare un certo limite (l’omelia non deve essere una conferenza). E che dire di certi canti che superano il tempo di un’omelia, dimenticando che i canti devono essere al servizio della celebrazione liturgica, e non viceversa.
La Parola è essenziale oggi, in una società in cui la massa sente solo gli stimoli di una fame materiale. Solo ventre, e poi ci lamentiamo che prolifichino i populismi?
Infine, vorrei dire che l’omelia non va improvvisata, ma va ben preparata. A me costa diverse ore, e mi consulto quando occorre.
La mia voleva essere una provocazione, mai chiederei di rimuovere un’omelia pensata, preparata e che tocca le corde dell’anima.
Purtroppo in settimana l’omelia è spesso improvvisata e confusa.
Ritengo la liturgia della Parola parte fondamentale della Messa e ritengo importante anche abituare il popolo a lasciarsi provocare dalla parola di Dio, a dare credito e importanza a ciò che si ascolta. Ricordo che nelle esperienze di Lectio, che vivo ancora personalmente, dopo l’invocazione allo Spirito e la recita di un salmo si leggeva un brano della Parola e si lasciava un congruo tempo, di solito mezz’ora, dove si rileggeva il brano e si lasciava spazio allo Spirito di suggerire uno spunto, una riflessione, prima di condividerla con gli altri.
Certo non è possibile farlo durante la celebrazione Eucaristica ma continuo a pensare che prima dell’omelia debba esserci un tempo di silenzio dove ogni persona possa raccogliere uno spunto suggerito dallo Spirito e dalla propria sensibilità personale. Mi pare un giusto modo per invitare il popolo a fare silenzio e far risuonare “dentro” la Parola ascoltata. Mi pare che questo avvenisse nelle prime comunità cristiane…
Poi, ripeto, la mia era una pura provocazione…e ritengo corretto che la Parola coinvolga il vissuto personale e sociale. Concordo con don Giorgio che purtroppo, nel passato, si è finito per pronunciare omelie di stampo unicamente moralistico. Oggi l’omelia è spesso momento di trovate geniali o di sfide a chi trova l’idea più disparata (soprattutto tra il clero giovane). Alle volte è la lettura di qualcosa scopiazzata da internet. Spesso è pensata, meditata e vissuta…si percepisce che coinvolge la carne di chi la pronuncia.
Insomma ci sono omelie e omelie….personalmente ascolto sempre il sabato mattina l’omelia di don Giorgio e mi reco più di un’ora prima della celebrazione in chiesa per poter fare la riflessione personale e silenziosa sui brani che verranno proclamati. Certo non ho la cultura e la preparazione di un sacerdote ma lo Spirito qualcosa riesce a suggerire anche ad una zucca vuota come la mia. E quando non suggerisce molto rimane comunque la preghiera, il silenzio e lo stare insieme a Dio.
Chiedo scusa per il mio precedente commento maldestro che ha generato qualche incomprensione.
Finirò per scriver un commento inutile, uno dei tanti per me, ma ho veramente poco da aggiungere.
Sui preti credo che oggi abbiano due interessi sopra tutti gli altri: i soldi e il tempo. I soldi perché ogni cosa che fanno è in relazione ad un ritorno economico. Se la gente è poca e le offerte son poche non conviene celebrare la Messa, quindi togliamola. Le spese superano i guadagni.
Ritorniamo al discorso su ‘Villa Sacro Cuore’ ma da questo punto di vista la curia milanese è coerentissima. Forse hanno lacune in morale o teologia ma in economia sono impeccabili. Il tempo è l’altro grande interesse del clero odierno; il tempo per sé. Da qualche anno il prete è sempre meno presente e sempre più impegnato. Ha sempre qualcosa da fare.. Lungi da me dire che non hanno niente da fare ma avverto un certo sindacalismo in alcuni. La scelta di non andare oltre il dovuto e non concedere straordinari per riservarsi un buon tempo per sé. Non ci trovo niente di male sto solo sottolineando una differenza col passato. In quest’ottica togliere delle Messe si sposa con la loro idea. Poi vorrei capire che valore ha per loro la Messa?
Concordo con don Giorgio: ci sono un sacco di iniziative superflue che ci farebbero risparmiare energia, tempo e soldi. Togliere le Messe per un problema economico è deleterio…voi valete più dei corvi,non preoccupatevi di nulla….il Vangelo, eterno sconosciuto!
Piuttosto risparmiamo sulle omelie lunghe e senza senso ma non togliamo la Messa quotidiana.