Omelie 2022 di don Giorgio: NATALE DEL SIGNORE

25 dicembre 2022: NATALE DEL SIGNORE
Is 8,23b-9,6a; Eb 1,1-8a; Lc 1,1-14
Quando si festeggiano ricorrenze liturgiche di notevole importanza – pensiamo al Natale, alla Pasqua e alla Pentecoste –, anche noi preti, per varie ragioni, tra cui una certa stanchezza pastorale – pensiamo ad esempio alle benedizioni delle famiglie – ci sentiamo a disagio nel trovare ogniqualvolta parole nuove, e così cadiamo nel difetto di ripetere cose scontate, pensando che bastino i riti che, è vero, hanno sempre un loro fascino, ma dimentichiamo che il Mistero che celebriamo va oltre i riti solenni, proprio perché il Mistero è la stessa quotidiana divina presenza, ma talora così invisibile da essere paradossalmente coperta proprio dalle rituali ricorrenze liturgiche, che agiscono molto sui sensi anche per la fantasiosa creatività dei preti che non cessano mai di stupirci.
La mia difficoltà, quando preparo le omelie, sta nell’imbarazzo della scelta di riflessioni che nella mia mente sono quasi incontenibili. Vorrei dire tutto, dire troppo, dire l’indicibile, anche perché, meno stressato dall’attivismo pastorale, la mia mente è sempre effervescente, diciamo vivace, briosa, esuberante, ardente, fremente, ecc. ecc.
Preparando, giorni fa, l’omelia del giorno di Natale, subito mi si è presentata davanti la figura di una giovane ebrea olandese, morta ad Auschwitz nel 1943, all’età di 27 anni, si tratta di Etty Hillesum, che, dopo la provvidenziale scoperta del suo voluminoso Diario, è diventata emblema del cammino di una donna, che, oltre tutti i fili spinati, interiori ed esteriori, ha voluto “pensare con il cuore”, alla ricerca di una sorgente molto profonda, il divino che è in noi, da riscoprire e liberare.
Il Natale che cos’è se non la scoperta della Sorgente divina, zampillante in noi per la vita eterna? Già qui, una lezione ci arriva proprio da una giovane ragazza ebrea, che è maturata grazie anche al dolore inferto da una prigionia ad opera di un nazismo che voleva conquistare il mondo intero.
Il Natale, si dice, ci porta il dono della Pace. Tutto parla di pace nei riti e nei canti natalizi. Etty Hillesum scrive nel suo Diario: «Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso, se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso. Forse, alla lunga, in amore, se non è chiedere troppo».
E ancora: «Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, continuavo a predicare; e non vedo nessun’altra soluzione, veramente nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver fatto prima la nostra parte dentro di noi. È l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove».
Ancora: «È un periodo troppo duro per persone fragili come me. So che seguirà un periodo di umanesimo. Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l’umanità che conservo in me stessa, malgrado le mie esperienze quotidiane. L’unico modo che abbiamo di preparare questi tempi nuovi è di prepararli fin d’ora in noi stessi. In qualche modo mi sento leggera, senza alcuna amarezza e con tanta forza e amore. Vorrei tanto vivere per aiutare a preparare questi tempi nuovi: verranno di certo, non sento forse che stanno crescendo in me, ogni giorno?».
Notate l’insistenza con cui Etty Hillesum parla di interiorità, ovvero del dovere di rientrare in noi stessi, nella nostra parte più interiore. Qui si gioca il nostro e il futuro dell’umanità.
Una pace, fondata solo sui trattati, sulle convezioni, sui compromessi, sui cosiddetti equilibri internazionali, sarà sempre fragile, pronta per essere frantumata dall’egoismo dei più potenti. I piccoli potenti, sempre vassalli dei grandi, fanno sempre da contorno, forse neppure da antipasto.
Una semplice domanda: forse che c’è stato un momento della storia in cui almeno qualche potente abbia agito veramente per il bene del popolo, intendendo per bene non solo quello materiale, ma in particolare il ben-essere dei cittadini, sempre tenuti sudditi?
Il problema allora qual è, o meglio c’è una via che possa condurre al vero ben-essere dell’umanità? Non è forse questo il vero messaggio del Vangelo?
Ecco cosa dice Etty Hillesum: «Mio Dio… cercherò di aiutarti, affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, è anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi».
Notate: Etty Hillesum dice: «E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini».
Ecco il dovere di noi cristiani: “disseppellire” Dio dai cuori devastati di una società diciamo quasi alla deriva. Pensiamo già al dovere pastorale di togliere il Natale da ogni incrostazione consumistica, ma credo che sarà impossibile ripristinare in tutta la sua purezza una festività caduta nelle mani di una strumentalizzazione oscena e blasfema.
Ma il problema va oltre una festività liturgica: “disseppellire” Dio da strati e strati di formalità religiose e di ogni tipo di dissacrazione che ha sepolto il mondo dello spirito, riducendo l’essere umano a sole due dimensioni, corpo e psiche, proibendo allo Spirito divino di agire in tutta la sua grazia liberante.
Capiamo allora le parole di Etty Hillesum: «O Dio, tu non puoi aiutare noi, ma siamo noi a dover aiutare te», perché tu agisca liberamente in noi.
Quindi, tocca a noi disseppellire Dio dai cuori umani, a partire dal nostro essere, dove Dio sembra scomparso, eppure il Figlio di Dio si rigenera continuamente in noi, ogniqualvolta trova spazio per respirare profondamente.
Disseppellire Dio sembra richiamare la Risurrezione, quando il cadavere di Cristo non ha conosciuto a lungo la tomba, e, paradossalmente, noi cristiani nel nostro essere siamo come una tomba in cui teniamo sepolto il Mistero di Dio.
La Nascita e la Risurrezione ci richiamano al dovere di permettere a Dio di Rinascere interiormente.

1 Commento

  1. Martina ha detto:

    STUPENDA.
    GRAZIE DON GIORGIO.

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