25 dicembre 2024: NATALE DEL SIGNORE
Is 8,23b-9,6a; Eb 1,1-8a; Lc 2,1-14
Oggi, Natale del Signore, dobbiamo essere del tutto positivi. Non ci dovrebbe essere neppure un’ombra di quel pessimismo che ci ha accompagnato per tutto l’Avvento, constatando con amarezza ancora una volta quanto il Mistero natalizio sia stato sepolto sotto un mucchio di pietre.
Sì, oggi il Mistero natalizio sprigiona un faro di luce potentissima. Anzitutto, dentro di noi. Quando, dentro, siamo illuminati, tutto prende luce anche nel nostro modo di pensare e di agire. È questa luce che vincerà le tenebre. E, oggi, siamo qui perché la Parola di Dio ci garantisce la vittoria della luce sulle tenebre. Nel suo prologo Giovanni scrive: “In lui (il Logos eterno, o il Verbo, o la Parola secondo le varie traduzioni) era la vita, e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”. Per dire: l’ultima parola sarà la Luce divina.
Notate: ogni essere umano è in rapporto stretto con la luce, anzi è luce. La lingua della filosofia, il greco, lo dice chiaramente, indicando con la stessa parola, “phòs”, tanto la luce quanto l’uomo, e, dal canto suo, la fisica dei nostri giorni sembra confermarlo: siamo fatti di luce. Siamo luce già per natura, perché siamo divini.
Non dimentichiamo che il giorno di Natale, 25 dicembre, è una data diciamo fittizia o simbolica, perché i primi seguaci del cristianesimo, non conoscendo il giorno esatto della nascita di Gesù, avevano “cristianizzato” una festa pagana in onore del dio Sole.
Nel primo brano della Messa, Isaia, profeta del Signore, lasciando dietro alle spalle un passato disastroso, sa che ora deve portare la speranza al suo popolo.
C’è sempre per ciascuno di noi un passato più o meno negativo o poco luminoso da dimenticare, oppure da ricordare ma come un cammino di conversione che di esperienza in esperienza, dal meno al meglio, è in continua evoluzione, fino a quando, ecco, come dice il profeta: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete».
Perché dobbiamo gioire, esultare, ringraziare il Signore, oggi che è Natale?
Il profeta Isaia, in nome di Dio, dà la risposta: «Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio». Un figlio sì del tutto eccezionale, è il Figlio di Dio, ma non basta dire che storicamente, tanti anni fa, si è incarnato. Non è tanto una data storica da ricordare (tra l’altro che nessuno conosce), non è tanto l’Evento storico, come sosterrebbero alcuni, che ci deve interessare, ma una realtà, ancora più storica del fatto storico, che è la generazione mistica del Logos nel nostro essere più profondo.
Sembra quasi che già il profeta Isaia, pur non conoscendo tutta la portata eccezionale delle sue parole, già presagisse il miracolo strepitoso, pur ordinario (sta qui il prodigio divino) di un Dio che, ad ogni istante di un tempo che passa, si fa presente eternamente nel grembo di ogni essere che nella sua verginità si fa fecondare dallo Spirito.
Tornano le parole del mistico Angelus Silesius: «Mille volte nascesse Cristo a Betlemme, ma non in te: sei perduto in eterno», e queste altre: «Se l’anima tua è vergine e pura come Maria dev’essere all’istante gravida di Dio». Ancora: «Devo esser Maria e da me far nascere Dio perch’egli mi conceda beatitudine eterna».
Questo si chiama il Natale del Figlio che si fa misticamente ma realmente presente anche nel nostro grembo, e nello stesso tempo si fa storia autentica, nel suo senso più teologico e mistico. E allora le parole “giustizia e pace” non si sprecano nei nostri discorsi, ma si compiono, già nel silenzio più contemplativo, nella storia che realizza man mano nel tempo che passa il Disegno divino.
Se dalla luce proviene la vita, lo dicono anche i fisici, luce e grazia sono la stessa cosa. Grazia come gioia, perché tutto è dono di un Dio che vuole il suo bene nel nostro essere. Mi piace provocare con un paradosso: Dio non ci ama, ma ama se stesso in noi. Ovvero: Egli vuole che il suo bene si realizzi in noi, e perciò non ci accontenta mai nelle nostre sbagliate pretese, nel nostro ego, che impone i suoi diritti. Dio non ascolta il nostro io, ma ascolta Se stesso e parla in nome proprio, perché solo così cresciamo secondo i diritti di un Dio, che è il Bene Assoluto.
Passando al brano del Vangelo, a che cosa assistiamo? Ecco, i cieli si sono aperti, perché finalmente si è avverata la nostra invocazione, senz’altro accorata, ma forse ancora molto dubbiosa, che abbiamo cantato in Avvento: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi…”.
C’è un’espressione biblica – si trova nel libro della sapienza capitolo 18 – dove leggiamo: «Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo rapido corso, la tua Parola onnipotente scese dal cielo, dal tuo trono regale».
Meister Eckhart, il rappresentante più originale della Mistica speculativa medievale, così interpreta il passo biblico: «Mentre tutte le cose erano in silenzio, venne pronunciata in me una parola segreta». E si chiede: “Dove è il silenzio e dove il luogo ove è pronunciata questa parola?”. Risponde: “Nella parte più pura e più nobile che l’animo può offrire, nel suo fondamento, nella sua essenza. Là è il profondo silenzio, perché là non giunse mai creatura né immagine alcuna: là non appartiene all’anima alcun operare, né alcun conoscere: là essa non sa più di alcuna immagine, né di sé, né di altra creatura”.
E notate. Scrive Luca: «C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”».
Ecco le due parole magiche: luce e gioia. E quei rozzi pastori si fanno conquistare dalle parole dell’angelo. Parole di un essere del tutto spirituale. Dunque, parole spirituali, che entrano nel cuore duro di quei pastori.
E Maria, all’arrivo dei pastori, forse non capiva come non capiva il mistero di un Dio che quella notte entrava nel mondo. Luca scrive, forse per una confidenza della stessa Madonna: «Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria da parte sua custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore».
Custodire e meditare il Mistero di un Dio che si è fatto bambino per convertire un mondo di adulti che si sono dispersi ovunque, perdendo la strada della verità. Il Natale non finisce la sera del 25 dicembre: continua in quella fede contemplativa di credenti che permettono al Logos eterno di rigenerarsi nel loro grembo d’essere, libero da ogni contaminazione carnale.
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