26 gennaio 2025: Sacra Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Sir 44,23-45,1a.2-5; Ef 5,33-6,4; Mt 2,19-23
In occasione della Festa in onore della Sacra Famiglia di Nazaret: Gesù, Maria e Giuseppe (già l’ordine dei nomi è emblematico, indicativo di un certo ordine di importanza: prima Gesù, il Figlio di Dio, poi Maria, sua Madre, e infine Giuseppe solo padre putativo), noi preti siamo divisi tra l’elogio della Sacra Famiglia in sé, e parlare delle famiglie cristiane di oggi.
Credo che sia oltremodo difficile, per non dire impossibile, parlare della Sacra Famiglia di Nazaret come un modello delle famiglie cristiane. Modello in che senso? In realtà, non può essere un modello se il figlio è il Figlio di Dio, se la Madre l’ha avuto in modo verginale per opera dello Spirito santo, e se Giuseppe è solo padre putativo, per questioni strettamente legali. Già parlare di unico figlio crea dei problemi con le indicazioni ecclesiastiche che promuovono più figli. E allora dobbiamo uscire da questo schema di famiglia ideale, per elevare il discorso puntando su alcune virtù che dovrebbero interessare non solo le famiglie cristiane. Ad esempio, come intendere l’amore tra marito e moglie, tra genitori e figli, come intendere l’educazione dei figli, senza poi entrare in tutte quelle problematiche che stanno oramai interessando ogni famiglia, cristiana o no.
Quando si parla di amore si parla di un bene che va al di là di ogni schema. Già la parola “amore” dovrebbe essere sostituita con l’espressione “voler bene”, anche se qualche studioso di etimologia vede nella parola “amore” un bellissimo e affascinante significato: amore deriverebbe dal latino “a-“, privativo, e “mors”, morte, ovvero “senza morte”, ovvero “eterno”. In ogni caso, è l’amore è visto in senso negativo (senza morte), però che richiama, ed è qui il punto, qualcosa di altamente positivo, ovvero il bene, che filosoficamente richiama il Sommo Bene, che è l’Uno divino.
Se tra Dio e ogni suo figlio c’è un rapporto del tutto unico, ed è il Bene divino che si effonde sulle creature, in modo unico, singolare, per cui dovremmo dire che Dio ama Se stesso in noi, ovvero in quanto Lui è il Bene che si effonde in noi, in un certo senso dovremmo dire la stessa cosa quando parliamo dell’amore tra due coniugi. Che significa allora quando la moglie o il marito, e anche prima che siano sposati, dice all’altro o all’altra: “Ti amo” o, forse meglio “Ti voglio bene”? Quale bene ti voglio? Possiamo anche dire “voglio il tuo bene”. Ma qual è il tuo bene? Non è una domanda che esige una risposta facile.
Se non ci mettiamo su un piano elevato, che esce da un campo diciamo carnale e anche psicologico o emozionale, l’amore o il bene resterà chiuso senza quello sbocco sul Divino, che è la sorgente del vero Bene.
Nel Bene tutto è bene, non solo per ogni creatura, ma anche in quell’unione profonda che lega in modo unico due cuori. Possiamo anche dire che, senza per forza fare raffronti, non c’è solo il matrimonio sacramento o l’amore anche fisico tra due persone. C’è un’unione mistica che va al di là di ogni corporeità, fisicità.
Da tempo sto dicendo che, andando al di là della solita questione finora solo dibattuta della concessione per i preti cattolici di una libertà di scelta tra il celibato e il matrimonio, ci potrebbe essere la proposta del matrimonio cosiddetto mistico tra un prete e una donna, tra una suora e un uomo, tra una suora e un prete, ecc. Avevo sottoposto questa mia idea allo stesso vescovo Mario Delpini, il quale era rimasto scettico, quasi fosse un mio pallino. D‘altronde, me lo dovevo aspettare…
A proposito di questa proposta di un matrimonio mistico avevo scritto tempo fa un lungo articolo spiegando anche che di per sé non è una idea nuova, visto che nel passato ci sono stati matrimoni mistici tra santi importanti e famosi: tra S. Giovanni della Croce e S. Teresa d’Avila, tra San Francesco e Santa Chara, ecc., anche se oggi azzarderei di più di un matrimonio mistico alla distanza. In un certo senso potrei parlare anche di un matrimonio mistico tra Maria e Giuseppe. Perché no?
Soffermiamoci ora sulle parole di san Paolo del secondo brano, che si chiude con queste parole: “E voi, padri (meglio allargare con la parola “genitori”), non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore”.
Solitamente non lo faccio, ma data la chiarezza, vorrei riprendere ciò che avevo scritto tre anni fa: riflessioni ancora molto attuali.
Che cosa intende l’Apostolo per esasperazione? Forse sarebbero troppi gli atteggiamenti sbagliati dei genitori nei riguardi dei figli, ma almeno vorrei evidenziare, ed è quel metodo educativo che non tiene conto della cosa essenziale, già contenuta nella parola “educazione”, dal verbo latino “ex ducere”, ovvero portar fuori. I genitori, come del resto gli educatori in genere, tendono a mettere nei loro figli (nella testa e nel loro essere) ciò che i genitori o educatori vogliono, ovvero desideri sbagliati, modi di vedere la vita troppo personali, quindi un avvenire già frustrato. I genitori prendono i figli come dei contenitori da riempire, soffocando così ciò che ogni essere umano è dentro, ovvero quella realtà profonda che i Mistici chiamavano divina.
I genitori dovrebbero preoccuparsi di far capire al figlio la sua ricchezza interiore, e di aiutarlo a farla crescere, quindi a portarla fuori: ex ducere. Si tende invece da parte dei genitori a immettere nel figlio il loro mondo, o il loro modo di vedere le cose, le loro aspirazioni con quelle stupide allucinanti parole: “Tu devi riuscire là dove io ho fallito oppure tu devi essere erede dei miei beni o della mia fortuna!”. Dunque, educare è ex ducere, aiutare il figlio a realizzare quel mondo interiore che è di ciascuno, e che non è di nessun altro, all’infuori di Dio. Per il fatto che i genitori hanno dato la vita al figlio, ciò non giustifica un diritto di possesso sul figlio. Forse oggi costa poco concepire un figlio, a parte la gestazione di 9 mesi nel grembo della madre e il suo parto, costa poco relativamente al dovere educativo. Ovvero, costa di meno concepire carnalmente un figlio che educarlo nel senso che ho appena spiegato.
Vorrei citare alcuni pensieri di Sant’Ambrogio, sempre stimolanti, veri, provocatori: «Il bene dei vostri figli sarà quello che sceglieranno, non sognate per loro i vostri desideri. Basterà che sappiano amare il bene e guardarsi dal male e che abbiano in orrore la menzogna». E ancora: «Non incoraggiate ingenue fantasie di grandezza nei vostri figli, ma se Dio li chiama a qualcosa di bello e di grande, non siate voi la zavorra che impedisce di volare. Non arrogatevi il diritto di prendere decisioni al loro posto, ma aiutateli a capire che decidere bisogna, e non si spaventino, se ciò che amano richiede fatica e fa qualche volta soffrire».
E se aveva tutte le sacrosante ragioni Gesù dodicenne nel rispondere alla madre che l’aveva rimproverato di essere rimasto nel Tempio senza avvertire i genitori con queste parole: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”, anche i figli dovrebbero dire ai genitori: “Anche noi siamo figli di Dio”. La Grazia è un legame che supera ogni vincolo di sangue.
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