Dico ciò che penso senza voler essere un avvoltoio

Dico ciò che penso

senza voler essere un avvoltoio

di don Giorgio De Capitani
Mi ricordo – anni addietro, tanti anni fa, ma non troppi da non essere stato anche io protagonista di quei tempi di tensione, quando anticlericali incalliti e anche comunisti arrabbiati con l’istituzione ecclesiastica per averli dimenticati, disprezzavano i preti trovando modo anche per il color nero della talare di umiliarli, definendoli “sgurbat” (cornacchia) ogni volta che li incrociavano – di aver saputo la risposta di un prete che ha reagito semplicemente dicendo: “gli sgurbat si fanno trovare dove ci sono le carogne!”.
Con questo vorrei già rispondere al signor Massimo Gramellini, che ha parlato di “avvolti” (potremmo dire sgurbat o cornacchie) coloro che, appena hanno saputo della morte di Maurizio Costanzo, hanno emesso magari senza pietà (che vuole il rispetto soprattutto per un cadavere ancora caldo), giudizi non certo benevoli verso colui che è stato già esaltato, vezzo altrettanto ripugnante, come il profeta inventore di un modo nuovo di fare televisione, che in ogni caso, perché fingere di non saperlo?, ha nel suo dna l’arte dell’inganno o della perversione.
Ebbene, vorrei partire da alcuni commenti/elogi a caldo di alcuni frutti oramai troppo maturi del mondo televisivo.
Bruno Vespa non sapeva come smettere nella sua lunga litania, definendo Maurizio Costanzo: l’innovatore, il creatore di un linguaggio, di un modo nuovo di fare televisione, professionista d’avanguardia, sempre in anticipo sui tempi, precursore del costume, ma anche il giornalista senza paura e l’uomo capace di grandi sentimenti. «Gli dicevo sempre: per me sei come un padre, dal punto di vista professionale. Perché è stato il primo ad importare i talk show dagli Stati Uniti e a presentarli in Italia: li ha modificati, adattati, è stato il padre di questo format».
Giampiero Mughini è intervenuto subito con un articolo pubblicato su huffingtonpost con un titolo che dice già tutto: “La tua morte mi strappa brani della pelle”. Ho avuto un istinto ridaiolo, ma sarei venuto meno alla pietas che esige rispetto per un cadavere ancora caldo. E il noto opinionista rissoso scrive: “Sono stato al suo show poco meno di cento volte, con uno sguardo mi invitava a parlare e mai mi disse che cosa dire. Gli bastava che fossi Mughini, e gliene sarò sempre grato. E ora scoppio a piangere”.
Ti capisco: ti dava aria, ti dava visibilità, ti dava modo di esprimere anche le tue cazzate.
Potrei continuare a citare noti personaggi che ora piangono o fingono, come ringraziamento per uno che, per il suo potere mediatico, è riuscito a mettere in ginocchio davanti a sé intellettuali di ogni risma, di destra di centro e di sinistra, e, se talora invitava anche dei poveracci, era solo per sfruttare la loro presenza con lo scopo di fare show o meglio talk show, spettacolo in cui le parole sono protagoniste ai fini dello stesso talk show, che è sempre la regia del padrone di casa.
Ho detto “intellettuali”, forse sarebbe meglio chiamarli “intellettualoidi”, sempre disponibili per ogni talk show, pur di esibire tutta la patina della loro cultura. E Maurizio Costanzo show aveva l’arte (questa l’aveva, bisogna riconoscergliela) di saper trasformare un anatroccolo in un cigno. Peccato che, finito lo spettacolo show, l’intellettualoide tornava anatroccolo, e non perdeva occasione di tornare dal prestigiatore occasionale.
Che volete? Non ho mai digerito di vedere una girandola di persone di ogni risma attorno a un prestigiatore che si divertiva a tenerli ai suoi piedi, gente anche rispettabile, ma per il fatto che si faceva invitare al grande circo equestre perdeva anche quel minimo pudore di coscienza che bisognerebbe “vedere”, con tanta fede, anche nel criminale più bastardo.
Sì, Maurizio Costanzo show sapeva di essere come una calamita, che attirava tutti, anche persone che mai avrei creduto che si vendessero anche l’anima pur di partecipare al grande circo equestre.
Non vorrei dare anche un mio giudizio di pelle: quando vedevo Costanzo parlare con quel suo quasi osceno modo di aprire bocca e lingua, avevo quella naturale reazione di chi non sopporta persone viscide.
Viscide, ma opportuniste, viscide ma potenti, viscide ma prestigiatori, capaci di attirare al suo harem mediatico gente di ogni risma, affamata di visibilità.
Certo, viscido ma anche furbo, perché ha saputo sfruttare per il scopo mediatico anche temi di una certa rilevanza politica: mafia, emarginazioni, ecc.
Per amor di quella pietà che esige rispetto per un cadavere ancora caldo, mi guarderei bene dal tirar fuori la sua iscrizione alla P2: peccato di ingenuità!
E ora come sopportare, anche solo per alcuni giorni, poi tutto finirà per fortuna nell’oblio, la tipica esaltazione all’italiana per il deceduto famoso?
Ma questa morte, che è un dramma di sofferenza per la povera gente, perché deve diventare l’occasione per la santificazione di personaggi, che possiamo anche apprezzarli per la loro dote d’ingannare, ma che dovrebbero essere denudati da una morte che senza pietà ingoia tutti, poveri e ricchi, sapienti e imbecilli, giusti e criminali, ma come un fuoco dovrebbe la paglia e lasciare intatta la nobiltà d’animo della gente onesta?

1 Commento

  1. Giuseppe ha detto:

    Sicuramente senza un po’ di dietrologia e di cinismo non avrebbe avuto il successo mediatico che ha riscosso. Il fatto di aver importato i talk show, più che un merito mi sembra un disastro, visto che ormai siamo inflazionati da questo genere di programmi…

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