Dalla “grande menzogna” a oggi: Russia e Ucraina

da rivista.vitaepensiero.it

Dalla “grande menzogna” a oggi:

Russia e Ucraina

25.03.2023
di Dario Fertilio
La prima mossa fu la “Grande menzogna” escogitata da Stalin, e a cui l’Occidente volle credere. Il genocidio per fame dei contadini ucraini nell’Urss degli anni trenta – almeno cinque milioni di morti, quasi la metà bambini, privati del cibo con le requisizioni – venne fatta passare all’estero per una calamità naturale di cui le autorità comuniste non sarebbero state responsabili. Assicuratasi l’impunità e la disattenzione del mondo, il Cremlino procedette sistematicamente dal 1930 e durante i tre anni seguenti a eliminare la nazione ucraina, abbattendone le colonne portanti: intellettuali, sacerdoti e contadini che si rifiutavano di entrare nelle fattorie collettive.
Il silenzio continuò ad avvolgere lo Holodomor – come oggi è internazionalmente conosciuto quel genocidio – fino a quando uno storico inglese di nome Robert Conquest pubblicò nel 1986 “Raccolto di dolore, collettivizzazione sovietica e carestia terroristica”, un libro che spezzò il cerchio delle omertà con un atto di accusa contro i responsabili. Oggi quel volume è ripubblicato dalla Rizzoli (537 pagine, 25 euro, con prefazione di Marco Clementi e postfazione di Federigo Argentieri), mantenendo la carica di sconvolgente denuncia, persino accresciuta dalla contemporanea, e per molti versi simile, invasione messa in atto dall’esercito di Mosca sulle medesime terre.
Constatando le similitudini tra passato e presente, è possibile comprendere le premesse storiche e le motivazioni attuali di quanto sta avvenendo. Agli occhi di Stalin, l’esistenza stessa della nazione ucraina costituiva una minaccia per la stabilità e legittimità della Russia bolscevica, che prevedeva secondo il dettato di Lenin il superamento delle nazionalità interne e la diffusione all’estero della ideologia marxista-leninista. Una frase del dittatore chiarisce la sua linea d’azione: “il diritto all’autodeterminazione non può e non deve costituire per la classe operaia un ostacolo all’esercizio del suo diritto alla dittatura”. Lo sradicamento della nazione ucraina diventava così una sacra missione che tutto giustificava: rastrellamenti, fucilazioni, torture, deportazioni, interventi dell’esercito contro chi osava ribellarsi. Imponendo prelievi forzati di grano superiori alle capacità effettive di produzione delle fattorie, fu possibile annientare per inedia gran parte della odiata popolazione locale, fino a raggiungere vertici di orrore che giustificano la definizione di Conquest: l’ex paese più ricco dell’Urss divenne “un unico, immenso Bergen Belsen”. E in effetti il paragone con la Shoah ebraica è inevitabile nel ripercorrere le tappe dello Holodomor.
A rendere ancor più impressionante il parallelo, c’è un aspetto della ideologia marxista-leninista che sconfina nel razzismo: l’idea cioè che esista una “essenza di classe”, cioè che i rapporti economici determinino le coscienze degli individui, sicché nessun cambiamento o pentimento successivo può mai redimere i “nemici del popolo”, inclusi i familiari dei “kulaki” e i loro discendenti.
I “kulaki”appunto, cioè i contadini “ricchi” in quanto proprietari di una mucca o di un calesse, furono inventati dalla propaganda comunista come nemici, meritevoli di estinzione.
Nella guerra d’invasione, oggi attuata dal Cremlino, non è difficile ritrovare la medesima propaganda leninista che definisce i resistenti “degenerati”, “drogati”, “neonazisti” e servi del capitalismo occidentale. Leggendo Conquest, distruzioni e deportazioni, arruolamento di criminali, riscrittura della storia recente, inviti alla delazione nei territori occupati e decimazione della popolazione civile richiamano il presente, e paiono confondersi con esso.
Ma c’è una differenza. La “Grande menzogna” degli anni trenta poté contare su connivenza e disinteresse occidentale, nel quadro dell’equilibrio del terrore determinato dalla guerra fredda e dagli accordi economici con l’Urss. Oggi, bruscamente risvegliati alla realtà, abbiamo tutti la possibilità di valutare e giudicare quanto sta avvenendo.
Dario Fertilio (1949), giornalista e scrittore, discende da una famiglia di origine dalmata e vive a Milano, dove insegna Teorie e tecniche della comunicazione all’Università degli Studi di Milano e collabora a vari quotidiani, fra cui «L’Osservatore Romano» e «il Giornale». Con l’ex dissidente antisovietico Vladimir Bukovskij, ha promosso il “Memento Gulag”, giornata della memoria per le vittime del comunismo e di tutti i totalitarismi, che si celebra il 7 novembre. È autore di saggi (fra essi Il virus totalitario, 2018), opere di narrativa (fra queste la raccolta di racconti La morte rossa, 2004) e pièces teatrali (come Uomini e cyborg, 2016, dedicata alla guerra nel Donbas).

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