Omelie 2023 di don Giorgio: QUINTA DI QUARESIMA

26 marzo 2023: QUINTA DI QUARESIMA
Es 14,15-31; Ef 2,4-10; Gv 11,1-53
Diciamo subito che nel Prologo del quarto Vangelo troviamo anticipati due temi che poi verranno spiegati nella narrazione evangelica: il tema della luce e il tema della vita, che richiamano i primi versetti della Genesi. Infatti, il primo versetto della Bibbia parla di “terra informe e deserta”, e di “abisso”. In aramaico le parole tradotte come “informe”, “deserto”, “abisso” non sono molto chiare, anche se possiamo avere una certa intuizione come se si trattasse di qualcosa di vuoto, di non vita, di non luce. Ed ecco la prima parola di Dio: “Sia la luce!”. “E la luce fu”, aggiunge subito l’autore sacro. E ancora: “Dio vide che la luce era cosa buona”. In modo antropologico, cioè usando un nostro linguaggio umano, Dio vide se stesso in quanto Verità/Luce che si rifletteva in ciò che stava per creare.
C’è di più, “lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”. Adesso si parla di acque, dopo aver parlato di terra e di abisso. Ma già si anticipa colui che darà luce e vita a tutto: lo Spirito di Dio che aleggia, espressione con una forte simbologia.
E, dopo aver creato tutti gli elementi materiali (anche la luce è fisicità, scientificamente parlando), ecco lo Spirito, sempre usando un linguaggio umano, soffiare nel fango una scintilla di se stesso. Già la parola “scintilla” richiama luce e vita. Scintilla, parola che verrà poi usata dai grandi Mistici medievali, per indicare la realtà più divina che è dentro di noi.
Vorrei ancora chiarire. La Bibbia non è un libro scientifico, ma religioso. Soprattutto i primi capitoli della Genesi sono stati scritti non da uno scienziato, ma da un credente, il quale ricorre al mito, che è simbolico, e non descrive scientificamente la realtà. Tutte le polemiche o le lotte tra scienziati e credenti sui primi versetti della Bibbia sono nate da un grosso equivoco, chiarito da Galileo Galilei con quella espressione, che lui dice di aver appreso dal cardinale Baronio: la Bibbia mi insegna “come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo», ovvero la Bibbia mi insegna come si possa andare in cielo, e non come sia fatto il cielo. Come andare in cielo spetta alla Bibbia insegnarcelo, come è fatto il cielo spetta alla scienza. Più chiaro di così!
Giovanni dunque prima anticipa nel Prologo i due temi, poi li spiega. In che modo? Narrando due miracoli: il miracolo cosiddetto del cieco nato, a cui Gesù ridà la vista o la luce fisica, e in seguito anche la luce interiore della fede; e il miracolo (ecco il brano di oggi) di Lazzaro, morto da quattro giorni, che Gesù fa tornare in vita fisica.
Per essere più completi, non ci sono solo i due miracoli a spiegare la luce e la vita. Non possiamo dimenticare certe affermazioni, quando ad esempio Gesù si auto-presenta come “Io sono la via, la verità e la vita”. Inoltre, lo stesso Giovanni presenta la croce in un alone di Luce, da cui proviene la nuova vita, attraverso la Risurrezione, già del resto anticipata in quel dono dello Spirito, quando Gesù muore: mentre muore, scrive Giovanni, Gesù ci consegnò, ci donò il suo Spirito.
Torniamo ai due miracoli narrati da Giovanni. Le due narrazioni andrebbero spiegate confrontandole tra di loro. Presentare il miracolo di Lazzaro, che torna a vivere fisicamente dopo quattro giorni che era rimasto nel sepolcro, non avrebbe quel senso profondo che ha, se non lo confrontassimo con il miracolo dei cieco nato: l’uno richiama l’altro, proprio perché la luce e la vita si esigono a vicenda.
E allora possiamo già dire che non basta vedere fisicamente per dare alla nostra vita una più ampia possibilità di avere una esistenza meno problematica per il fatto di essere ciechi, ma Gesù ha dato a quel cieco ancora di più della vista fisica: il dono della fede, o quella vista spirituale che permette di vivere nel senso più pieno.
Anche gli animali vedono fisicamente, ma non hanno gli occhi dello spirito. Certo, ci sono ciechi fisicamente che hanno magari più fede, vedono interiormente meglio di chi ha la vista fisica. Ma il problema è un altro: purtroppo viviamo in una società di gente che vede bene, magari troppo bene con gli occhi fisici, ma che non vede con gli occhi dello spirito le stesse cose per cui valutarle come cose, senza perciò idolatrarle.
Dunque, come possiamo vivere in quanto esseri umani, se non vediamo il nostro mondo interiore? La vita sarà più piena, se più sarà divina, di quel Divino che è presente nel fondo del nostro essere più puro.
Se nascere è venire alla luce, uscendo dal buio del grembo materno, che dire quando torniamo in noi stessi, e qui riscopriamo la Sorgente della luce, che è l’Intelletto divino?
E oggi a che cosa assistiamo? Il grembo fisico partorisce la vita fisica, ma appena la vita viene a contatto con l’esterno, un mondo di tenebre, come direbbe l’evangelista Giovanni, è destinata a spegnersi. Ma che cosa significa una vita che si spegne? Tornare al nulla.
Vorrei ora farvi notare come Giovanni ha ricostruito letterariamente il racconto dei due miracoli. Brevemente: nel primo racconto, Gesù ridà prima la vista fisica al cieco, poi improvvisamente scompare dalla scena, lasciando solo quel cieco, che ora vede, ad affrontare ogni discussione e critiche anche durissime da parte soprattutto dei farisei, i quali, sentitisi offesi dall’ironia pungente e provocatoria del miracolato, lo buttano fuori dalla sinagoga, e “fuori” Gesù lo sta aspettando, per donargli il dono della fede, ovvero gli occhi dello spirito.
Nel secondo racconto, il miracolo avviene alla fine, e allora possiamo scoprine la vera ragione. Anche per il cieco il vero miracolo era avvenuto alla fine, con il dono della fede, allo stesso modo dobbiamo scoprire il senso profondo del miracolo di Lazzaro.
Non è tanto l’aspetto esteriore che ci deve interessare, ovvero il fatto che Lazzaro sia uscito dal sepolcro per tornare a vivere fisicamente su questa terra, per poi di nuovo morire.
Dunque, attenzione: Gesù ha compiuto il miracolo per farci capire che uscire dalla tomba è uscire dal buio di una esistenza terrena, che non permette di vivere intensamente nel proprio essere interiore.
Anche qui è questione di fede: di vedere le cose con gli occhi dello spirito. E allora possiamo dire che i due miracoli portano allo stesso messaggio: “vedere” spiritualmente come condizione per vivere intensamente.
In altre parole: se già la vita fisica deriva dalla luce fisica, che dire se la luce è interiore, è divina? Quale vita ne verrà?
Qui dovrei insistere nel dire e ripetere che, secondo il quarto Vangelo, i miracoli di Gesù sono da leggere come “segni”, ovvero rivelatori di qualcosa di profondo, al di là del loro racconto. E qui si apre tutto un discorso sul significato di ciò che è la vita in quanto risurrezione. La vita è già risurrezione, un seme di risurrezione. La vita nasce alla luce dell’Intelletto divino, già dentro di noi. Il tempo passa, ma la vita è nell’Eterno presente.

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